Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, saggezza umana e sapienza divina” a cura di Clemente Fillarini, Messaggero di Sant’Antonio Editrice.
La riflessione di oggi
E il serafico padre [san Francesco] con il solo nominare il nome di Gesù tanta dolcezza sentiva che si lambiva le labbra, come se le avesse avute immelate e zuccherate (II 519).
Il termine “labbra” indica l’orlo che contorna alcuni orifizi, il principale dei quali è la bocca. Queste labbra hanno un importante ruolo nell’assumere il cibo, nell’emettere i suoni e nella mimica facciale, nei bambini anche come organo tattile, e sono un’importante zona erogena. Oggi per alcuni diventano oggetto di vari interventi chirurgici per migliorarne l’estetica, per altri possono addirittura essere rivelatrici di certi aspetti del carattere della persona. Vediamo l’uso di questo termine negli Scritti di fra Tommaso.
«Rimirava la gran Madre quelle ferite, baciava quella divina faccia, quelle labbra [di Gesù] aride e secche» (I 256), «quelle labbra che succhiarono quel dolce latte da quelle beate vostre poppe» (II 527); «quella beata lingua, bocca e labbra che, mentre se ne stava nostro caro Cristo in croce, erano tanto aride e secche» (II 567); «Oh quanto grande fu la sete corporale che patisti, e quante volte quella gola, quel palato, quella lingua, quei labbri erano aridi e secchi! (II 522). «E tu, anima mia, vattene a quel cuore spalancato […], piangi, lava quella ferita con le lagrime, metti le tue labbra a quell’apertura e grida con cordiale affetto a quel cuore, acciò abbia pietà di tanti tuoi peccati» (II 159). Dei suoi innamorati Dio dice: «Io gli ho porto un confetto così dolce e gustoso nella bocca che sempre hanno le labbra immelate: e questa dolcezza gli dà forza per operare negli stenti e fatiche, e tanto mi amano e servono nelle dolcezze come anco nelle amarezze» (II 326); ma questo «Dio solo lo può capire perché lo praticò; e meglio sarebbe chiuder le labbra e mutire che con lingua trattare dello smisurato amore di Dio» (II 258).