Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone.
Le riflessioni di oggi
Secondo il Vangelo dello pseudo-Matteo, invece, «Tre giorni dopo la nascita del Signore nostro Gesù Cristo, la beatissima Maria uscì dalla grotta ed entrò in una stalla, depose il bambino in una mangiatoia, ove il bue e l’asino l’adorarono. Si adempì allora quanto era stato detto del profeta Isaia, con le parole: Il bue riconobbe il suo padrone, e l’asino la mangiatoia del suo signore. Gli stessi animali, il bue e l’asino, lo avevano in mezzo a loro e lo adoravano di continuo. Si adempì allora quanto era stato detto dal profeta Abacuc, con le parole: Ti farai conoscere in mezzo a due animali (14,1)».
Non ci si vuole, qui, addentrare nel valore attribuibile a tali testi, poiché ciò è compito degli specialisti, teologi e filologi, ma non vi è alcun dubbio, come ognuno di noi sa, che la «fortuna» dell’immagine del bue e dell’asinello è ormai indissolubile dal presepe. Lo stesso san Francesco, allestendo nel 1223, a Greccio, quello che può essere considerato il primo accenno di presepe, non fece altro che riunire in una stalla una greppia colma di fieno, un bue e un asino, senza, per altro, osare aggiungere chi fungesse da Gesù, da Maria e da Giuseppe.
l’iconografia del presepe
Da quel momento, tuttavia, l’iconografia del presepe è costantemente, fino ai giorni nostri, appunto, accompagnata da questi due animali pazienti. Non dimentichiamo che il bue compare in Ezechiele e nell’Apocalisse, simbolo di potenza del lavoro e del sacrificio; lo Pseudo-Dionigi l’Areopagita, dopo averne sottolineato la forza e la potenza, gli attribuisce la capacità di «scavare solchi intellettuali per ricevere le feconde piogge del cielo, mentre le corna sono simbolo della forza conservatrice e invincibile»[1]. A sua volta, l’asino «ha una funzione positiva nel presepe e nell’ingresso di Cristo in Gerusalemme: ma Guénon fa osservare che nel primo caso si contrappone al bue come le tendenze malefiche si oppongono a quelle benefiche e che nel secondo caso interpreta il ruolo delle forze malefiche stesse vinte dal Redentore. […] Nell’episodio della Domenica delle Palme si tratta comunque di un’asina. Nel mito del falso profeta Balam, il ruolo dell’asina è nettamente benefico […], simbolo della conoscenza, della scienza tradizionale, con un completo rovesciamento del simbolo iniziale»[2].
Come si schiera Fra Tommaso? Inevitabilmente, potremmo dire, con il sentire popolare e non soltanto. Aveva, del resto, almeno quattrocento anni di tradizione alle spalle e, sebbene, come ben scrive Ratzinger, i Vangeli non parlino di animali, come poteva ignorare che il suo lettore si aspettasse la loro comparsa?
Ignorando (per mera questione cronologica) i nostri dubbi e anche i rilievi più autorevoli, Fra Tommaso riprende le fila del suo racconto, e ne scaturisce altra tenerissima poesia.
Riposava in questo mentre il bambino, e svegliandosi cominciò di nuovo a piangere: e come vero Dio che era, era anche vero uomo, e come uomo piangeva di fame. Sapeva la santa Vergine che piangeva di fame ed essa Madre, benché aveva impartorito questo figliolo, non aveva però latte; ove levando la mente sua al cielo, ricorse all’eterno Padre dicendo queste e altre simil parole: «O ineffabile Iddio, avendo la maestà vostra mandato dal cielo l’unigenito vostro figliolo a prender carne umana nel mio povero ventre, dove lo portai per nove mesi, e ora lo ho impartorito in questo luogo pieno di disagio, e avendolo involto in poveri pagni, l’ho riposto in una mangiatora d’animali. Ora, o eterno Padre, il vostro figliolo piange di fame, avendo fin ora pianto di fredo e altra necessità, e io non ho che dargli, non avendo latte nelle mamelle per nutrirlo». E mentre la Beata Vergine così orava, sentì in un subito rimpienirsi quelle mamelle di latte; ove tutta contenta arringraziando Iddio si accomodò sopra il tenero bambino che di fame piangeva.
O anima divota, contempla ora quest’atto che fece la Beata Vergine, cavando di senno e mettendo alla bocca del bambino quelle mamelle. Videlo prender quel latte che viene dal cielo e con che tenereza quella Madre popava il suo figliolo. E mentre lattava, accarezzava con le manine sua Madre, la quale con dolce parole e atti incitava il suo putino a prender il latte. Godevasi la Beata Vergine in vedersi al petto il figliol di Dio, piangeva di tennerezza. Contempla ora, anima mia, come cadendo da quegli occhi le beate lacrime a guisa di perle cadevano sopra la facia del putino e anche sopra le proprie mamelle. E mentre il caro putino gustava il dolce latte, in un instesso tempo gustava anche le lacrime della Madre; ed era tanto dolce questo latte di Maria che il suo dolcissimo figliolo lo volse temperare con le lacrime. (Selva, 153-154)
È tanta la dignità di Maria, in questa sua nuova veste di madre, che della «giovenetta», della «tenera verginella» non vi è più traccia, e non ritornerà più nel racconto del Beato. Ella è ormai assurta a ben altra dignità: «La Signora con che pompa se ne stava in tanta povertà quella ch’è regina delli angeli e Madre vera di Dio (Selva, 154).
Lo ricordino, dice Fra Tommaso, tutte le sorelle dei conventi.
O tempi lagrimabili, che le spose de un tanto povero sposo vivono in tante commodità, e dirò sensualità, senza memoria squasi del loro Dio, lontane da sì caro sposo, colme d’ogni commodi! Che questa pur non è la via che ci insegna Cristo, il qualle vi chiama alla croce, alli disagi, alle mortificazione e negazione della propria voluntà, vi chiama alla povertà: udite la voce sua. (Selva, 155)