Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, saggezza umana e sapienza divina” a cura di Clemente Fillarini, Messaggero di Sant’Antonio Editrice.
La riflessione di oggi
Iddio, con queste parole: «Adamo, dove sei?», l’andava provocando alla confessione del suo peccato; ma perché Adamo si scusò attribuendo la colpa alla donna, si rese indegno del perdono, onde fu scacciato dal paradiso (III 159).
L’indegnità è la condizione di chi, per gravi mancanze morali, non merita di avere titoli o mansioni d’importanza; per la nostra legge, ad esempio, nemmeno la legittima eredità. Un tale si era detto “indegno” di una carica propostagli; ma non essendogli poi stata data, disse: «No si può nemmeno fare un atto di umiltà che lo prendono sul serio». Sinceramente indegno delle grazie di Dio, invece, si considera più volte nei suoi Scritti fra Tommaso, come del resto tante anime sante, e questo perché erano davvero tanto umili.
«O degnissima regina, custodite me, vilissimo verme, favorite me, povera e indegnissima creatura, indegna di levar gli occhi al cielo» (II 266). «O ineffabile e investigabile e incomprensibile Dio dell’anima mia, io poverino indegno di levare gli occhi alla maestà vostra, degno dell’inferno» (I 284), «sono certo che quella misericordia che avete usato a tanti peccatori la userete anco a me, ancorché io ne sia indegno, acciò in questa vita mortale possa amar voi» (I 286). «O celeste Signore, non guardate alla bassezza mia, ma rimirate all’altezza vostra; non rimirate alla indegnità mia, ma rimirate alla dignità vostra» (II 477). «O gloriosa regina […], vi prego per i meriti di quel Dio sommo bene del vostro unigenito Figliolo che vogliate intercedere per me, vostro indegnissimo servo, ch’io rinasca dai vizi e peccati miei a una vita di virtù, perfezione e santità» (II 601). «Io, miserabile e indegno peccatore, anzi indegnissimo, a voi genuflesso mi rivolgo, santa Maria, degnissima Madre di Dio […], nostra vera speranza, nostra guida, quiete e pace, gloria e felicità» (II 265). Concludendo due lettere scrive: «Di Vostre Altezze Serenissime vilissimo e indegnissimo servo di Gesù Cristo» (IV 133 e 142).