Non solo Gesù è il verbo fatto carne, ma è una parola che si fa gesto concreto. Leggendo i vangeli, una cosa che sorprende è l’agire di Gesù. Egli parla ma soprattutto agisce. C’è in Gesù la priorità dell’agire. Un intreccio continuo dove la parola porta all’azione, in quella che per noi è la dinamica della fede che si fa testimonianza della carità, cioè stile di amore. Gli evangelisti riportano queste parole di fuoco pronunciate un giorno da Gesù: “Non chi mi dice ‘Signore, Signore’ entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio”.
La premura
Il tratto specifico dell’agire di Gesù è la premura, che va dai grandi gesti miracolosi di guarigione, agli insegnamenti nelle parabole, allo stile con cui guarda e affronta le persone. Quando guarisce dalle malattie, quello che a Gesù interessa non è “la salute” ma “la salvezza”, egli cioè attraverso una malattia del corpo mostra quel virus di cui tanti siamo portatori sani che è la disintegrazione interiore, per questo spesso c’è il legame con la presenza di “demoni” (in greco dia-ballo separazione), o “satana” ostacolo, inciampo. Secondo la mentalità dei popoli primitivi, le malattie di cui non si conoscevano le cause venivano attribuite a forze superiori, soprattutto se di origine neurologica o psichiatrica. I vangeli iniziano narrando una serie di guarigioni non per dire che Gesù è un guaritore dotato di poteri straordinari, non per provare che egli è figlio di Dio con effetti sensazionali, bensì per svelare che tutto quello che egli fa o pensa o dice è mosso dalla compassione.
Uomo figlio di Dio
Ma è possibile un agire che sia sempre e solo compassione, motivato non dal proprio bisogno da riempire ma dal vuoto dell’altro da colmare? Gesù mostra un modello di uomo non come l’io-per-me bensì come l’io-per-altro: da una idea di homo homini lupus (ciascun uomo è per l’altro un lupo, un avversario, pericolo, antagonista, concorrente) a una idea di uomo figlio di Dio. Dio nell’umanità di Gesù rivela la verità della nostra umanità. Una verità nascosta dalla nostra fragilità o meschinità. Se io mi guardo allo specchio vedo solo me stesso, ma se io guardo Gesù vedo in lui la bellezza che non so più riconoscere in me. Se Gesù è Dio che è diventato uomo come me, in lui allora posso riconoscere la verità della mia vita, che poi è esposta alla debolezza, alla contraddizione, al tradimento, ma non per questo viene cancellata. Ritrovo in lui le ragioni per apprezzare quella mia dignità che mi è tanto cara ma che troppo spesso è smentita da me stesso. Solo così capisco il suo stile della compassione: noi siamo fatti per donare. Gabriele D’Annunzio disse di sé: “io ho quello che ho donato”. Io sono quello che dono.In questo consiste la nostra densità, perché il dono è la quintessenza della libertà: non c’è dono dove non c’è libertà, lì c’è costrizione, c’è necessità, c’è dovere – nobilissimo – ma non c’è dono.
Essere liberi
Essere liberi significa decidere chi e come voglio essere. Quindi posso allenarmi a disporre sempre di più l‘esistenza al dono oppure – al contrario – alla pretesa. A volte siamo fortemente tentati di pensare che il dono è bello ma è un di più della vita; la vita nella sua quotidianità deve rifarsi ad altri criteri: la logica del possesso, della paura, della difesa, dell’interesse, del calcolo della necessità, dei bisogni. Queste sono logiche inossidabili. Eppure senza il dono la nostra umanità è stravolta al punto da diventare dis-umanità. Senza dono diventiamo disumani. I calcoli sono necessari, l’organizzazione è necessaria, ma solo il dono è capace di aprire il futuro. Accogliere il dono che è che è lo stile di Gesù è la vera conversione alla compassione. Compassione non è pietismo, ma è “cum-passio” patire insieme nei periodi duri e “sim-patior” (simpatia) avere passioni simili, avere gli stessi sentimenti, sentire le stesse cose nei periodi felici. L’anti-patico, “anti-patos” è colui che è anti sentimenti, che non sente di niente, che sente al contrario di te. San Paolo ci esorta: “abbiate gli stessi sentimenti di Gesù”. Queste parole diventano fatti nell’avere gli stessi sentimenti di chi ho vicino. Non deve essere solo una convinzione, ma una decisione.
Le guarigioni di Gesù
Sono interessanti le tipologie delle guarigioni di Gesù: ci riguardano da vicino. La prima figura di malattia è quella in cui il corpo è lacerato nella sua dimensione espressiva e funzionale: una mano incapace di indicare o accarezzare, un occhio chiuso per sempre ai colori e alle forme, un udito sordo alle parole e alla musica, un piede impossibilitato a correre e a saltare. Guarisce e sempre dice “prendi il tuo tettuccio”: non dimenticarti mai di cosa sei stato e stai attento perché non sei immune dal ricaderci. La gratitudine è la salvezza da questa malattia. La seconda figura di malattia è quella psichica, intendendo con questa il cattivo rapporto del soggetto con se stesso. In greco indemoniato è lo stesso termine di “lunatico”. Gesù le reintegra nella loro dignità e responsabilità. Nessuna etichetta di errore è per sempre.
Le altre figure
La terza figura di malattia è quella sociale, della difficoltà nel rapporto con gli altri che produce ugualmente ferite e sofferenze: l’adultera, Zaccheo, la samaritana. La quarta figura di malattia assume, nei racconti evangelici, la forma della povertà, che consiste nella carenza o insufficienza dei beni materiali e culturali, senza i quali l’esistenza umana si dispiega come esistenza incompiuta e infelice. Per il Vangelo è la più grave forma di malattia che mina alle basi il convivere umano per l’ingiustizia, l’egoismo, l’incapacità di condivisione solidale. La moltiplicazione dei pani sconfigge la povertà e ristabilisce l’ordine della fraternità proprio nella condivisione del poco della merenda di un ragazzino. La quinta figura di malattia dalla quale Gesù guarisce è spirituale, intendendo con questo il cattivo rapporto che l’uomo ha con Dio, per cui quest’ultimo è percepito estraneo o ostile. Il nome biblico per questo tipo di malattia è il peccato. Non è tanto l’errore morale di un gesto, quanto il fare a meno di Dio, il non considerare Dio come criterio di scelta, come presenza che illumina nella vita. È la condanna dei benpensanti ipocriti che si credono giusti, come la differenza tra il pubblicano e il fariseo.
La libertà di fronte alle debolezze
Guarire per Gesù non è solo curare il corpo, ma è soprattutto restituire all’uomo la libertà di fronte alla debolezza: “non dire a Dio quanto sono grandi i tuoi problemi, quanto piuttosto impara a dire ai tuoi problemi quanto è grande Dio”. La verità vi farà liberi, dice Gesù. La coscienza della fragilità ci fa “riconoscenti”, ci fa accorgere/riconoscere il dono. Questo è vivere la compassione: “rimetti i miei debiti così che io sia capace di farlo ai miei debitori”. Rimettere è un termine che non usiamo più (oggi resta solo nel gergo fiscale come “remissione del debito”). Non è far finta di niente o abbuonare. Mi si permetta un’immagine cruda per spiegarlo: quando non hai digerito e stai male, se “rimetti” ti liberi. “Tirare su” è lo stesso termine di “rialzare”, perché ti ridà la possibilità di “rimetterti” in piedi. Rimetti a me i debiti così che io sia capace di rimettere in piedi gli altri. Io ho e sono ciò che ho donato.

Autore: Don Giulio Dellavite
Prete bergamasco, nato nel 1971, è Segretario Generale della Curia di Bergamo dal 2012 dove svolge anche il ruolo di responsabile per le relazioni istituzionali e i rapporti con la stampa. Ha pubblicato con Mondadori "Se ne ride chi abita i cieli: il manager e l'abate, lezioni di leadership all'interno di un monastero" (2019) e "Ribellarsi, la sfida di un'ecologia umana" (2021) e prima “Benvenuti al ballo della vita: la nostra vita quotidiana e il Vangelo. Collabora con la Business School LUISS di Roma nel EMBA Executive Master in Business Administration School su temi di Business Ethics, con LUM Milano School of Management nel Master "Diplomatic, Economic and Strategic Perspectives in Global Scenarios" (insegnando “diplomazia vaticana”) e con altre università come CUOA Vicenza o agenzie di formazione per imprenditori e manager. Tiene corsi o interventi specifici di motivazione per aziende o per categorie di professionisti (un esempio www.seneridechiabitaicieli.it). Ha svolto servizio in Santa Sede come Officiale della Congregazione per i Vescovi in Vaticano dal 2002 al 2012 dopo il Dottorato in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma applicando al governo della Chiesa le teorie del management, pubblicato da Treves Editore (2012) "Munus Pascendi: leadership e tutela dei diritti dei fedeli nel procedimento di un atto amministrativo" rielaborato poi con Avagliano "All'angelo della Chiesa scrivi: autorità e autorevolezza nella Chiesa". Dal 2022 è anche parroco nella periferia di Bergamo.