Papa Francesco ha detto: la fede non è una teoria, non è una filosofia, non è un’idea, non è un contenuto di dogmi, non è un insieme di riti. La fede è un incontro. Un incontro con Gesù. Se non è così, si può pure recitare il Credo a memoria, ma non avere fede. Puoi anche sapere tutto della teologia e del catechismo, puoi anche avere una morale irreprensibile e partecipare alla liturgia spesso, e non avere fede, perché è tutta questione di cuore. Invece può essere vero il contrario! La fede non è una cosa decorativa, ornamentale, non è decorare la vita con un po’ di religione, come si fa con la panna che decora la torta. No! Chiedersi cosa si possa fare o non fare per la Chiesa, oppure cosa sia o non sia lecito, è cadere nella casistica che, insieme all’ideologia, è il segno di riconoscimento di una persona che conosce a memoria la dottrina ma è senza fede. Perché la fede non è mai astratta: è quotidiana.
Avere fede non è avere una conoscenza: avere fede è ricevere il messaggio di Dio che ci ha portato Gesù Cristo, e provare ogni giorno a viverlo e a portarlo avanti. La fede concreta non è solo la carità intesa come il dare un’elemosina e sentirsi apposto, ma va a toccare qualcosa che mi riguarda più direttamente come ad esempio il provare a tollerare la gente che mi dà fastidio, tollerare a casa i bambini quando fanno troppo rumore, o il marito o la moglie quando ci sono difficoltà, o tollerare la suocera. Questa è la fede operosa.
La fede operosa è il capire che la felicità dell’uomo è la gloria di Dio. Gesù non chiede mai di scegliere tra Dio e la felicità dell’uomo. Gesù sconvolge i suoi compaesani quando dice: “Il sabato è per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (il sabato era il giorno di Dio, il momento del culto, della preghiera, il giorno santo, la sintesi delle opere della religione ebraica). Gesù non gioca come un adolescente bizzoso con la legge. Non si diverte ad infrangerla, per il gusto anarchico di farne senza. La fede spinge ad andare oltre ma nel senso di “dentro”, oltre l’apparenza per trovare il nucleo, il senso, il significato, la qualità che contagia. Attenzione però al termine “felicità”. Rischiamo di accantonare la scommessa di Dio su di noi solo perché interpretiamo male la parola “felicità”. Per definire la felicità il Vangelo sua il concetto di “beatitudine”, la nostra società usa il criterio del “piacere”. Il piacere fa parte della beatitudine, ma non la riempie del tutto. La beatitudine è più vasta, anche se il piacere luccica di più. Curioso che il piacere tende poi all’edonismo (letteralmente eu-daimon, il demonio della faccia bella, il demone gustoso che incanta ma poi ti avvinghia e di soffoca: è esattamente l’immagine di Genesi del serpente tentatore: intelligente, ti fa scegliere qualcosa di bello e di buono come il frutto di qualità, quello speciale, ma che poi ti lascia nudo e ti fa perdere il paradiso). La beatitudine invece fa godere delle cose della vita e paradossalmente fiorisce dal dolore, è il gusto dell’alba dopo la notte, del germoglio dopo l’inverno, del risultato dopo il fallimento, del passo dopo la paralisi, del cibo dopo il digiuno.
Si può essere felici anche nelle lacrime quindi? Sì, secondo Dio. Sì se le lacrime io le prendo e le faccio diventare collirio: beato chi ci riesce. La beatitudine è la capacità di trasformare le crisi, i fallimenti, i pericoli, le difficoltà, in opportunità. Questo è essere “figli di Dio”. Ecco che ritorna il concetto di Cristo come punto di domanda piuttosto che come risposta: Dio non risolve i miei problemi, Dio crede in me più di quanto io creda in lui, Dio mi fa scoprire quella dignità che lui vede in me talmente alta e profonda che nessun problema può abbattere. Dice il Salmo 56 che Dio conta le lacrime dell’uomo e non ne lascia cadere una, anzi le raccoglie tutte in un otre e le conserva. Dio lascia cadere i peccati e gli sbagli, mai le lacrime. Questo è il segreto della beatitudine. Questo è il nocciolo per cui la fede non è un teorema ma è un rapporto personale. Le lacrime sono il primo linguaggio degli umani. Entriamo nel mondo piangendo. La lacrima è il nostro primo occhiale per vedere il mondo. Solo gli uomini piangono: noi diciamo infatti “lacrime di coccodrillo”. Gli altri animali si lamentano o urlano. Nessun animale piange, come nessun animale diventa rosso per la vergogna. L’essere a immagine e somiglianza di Dio si gioca in queste differenze, e non nell’intelligenza o nella parola.
Per questo, amare la vita è un diritto, ma è un dovere di fede. Vuol dire, in fondo, condividere la passione di Dio per la vita. Veniamo da una tradizione religiosa che ha spesso programmato “mortificazioni”. La risurrezione invece è “vivificazione”. In questo il cristianesimo è assolutamente incomparabile con qualsiasi altra religione. Non pone al centro un insegnamento da accettare e da vivere. Pone una persona da incontrare o da rifiutare: Gesù di Nazareth risorto principio di vita nuova. Nessun fondatore di religione aveva presentato se stesso come più importante della dottrina che insegnava. È davvero qualcosa di unico. Tutte le religioni hanno una morale che si compone di tre capitoli fondamentali: doveri verso Dio; doveri verso il prossimo; doveri verso se stessi. E quindi tutte le religioni chiedono all’uomo di vivere in maniera decorosa e degna, onorando Dio e realizzando una rapporto di umana fraternità fra gli uomini. Il cristianesimo non entra per sé in questa categoria. Perché – per fare solo un esempio – ha senso parlare, e di fatto si dice “fede cristiana”, ma non si dice, né avrebbe senso dire “fede buddista” ma religione buddista? perché il buddismo è una saggezza umana che non implica alcuna Presenza di Dio dentro la storia dell’uomo. Ed infatti nel buddismo, così come nell’Islam, si richiede una adesione a quanto viene prescritto e non si chiede di entrare in una relazione viva, personale con Dio.
Qui si apre il mondo della preghiera come dialogo. Siamo gli unici che invochiamo Dio come “padre” e spesso lo riduciamo ad essere patrigno o peggio ad un “padrino” mafioso a cui pagare il pizzo per stare tranquilli e sicuri. Cosa è quindi la scommessa della fede? Una massa di mattoni può essere disposta in tanti modi e dare origine ad una casa, ad un ponte, o mille altre cose. La “forma” che i mattoni dovranno assumere, è ciò che stabilisce come devono esser disposti: la forma che deve avere una casa è ben diversa dalla forma che deve avere un ponte. E la nostra vita come deve essere “disposta”? come deve essere edificata? in quale “forma”? Se uno risponde: “nella forma che è Gesù Cristo”, è un cristiano. Concretamente: pensare come pensava Gesù Cristo; avere le stesse preferenze che aveva Gesù Cristo ; avere gli stessi “valori” di Gesù Cristo. Diciamo una cosa straordinariamente grande: Gesù Cristo entra a tal punto nella definizione di me stesso che io mi ritrovo più in Lui che in me stesso. Chi è il cristiano? un altro Gesù Cristo; uno che si lascia “formare”, dare forma da Gesù Cristo. Quanti mattoni abbiamo accatastato (preghiere, messe, carità) senza dargli forma?