Il commento al Vangelo di domenica 22 giugno di don Giulio Dellavite.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare».
Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
Il commento
Quanto deserto intorno a noi, ma anche dentro di noi! Quante persone affamate di attenzione e di cura!Quanta fame di pace! Quanta fame di senso! Quanto ci sentiamo al tramonto, pessimisti e desolati. Esattamente come il giorno di cui ci parla il Vangelo. Abbiamo bisogno di un boccone di speranza.“Speriamo!”, diciamo spesso. Ma il tono può essere diverso. Speranza non è la viltà dei deboli, di quelli che per impotenza e debolezza bofonchiano pessimisti: “booo, speriamo”.
Speranza non è l’alibi dei pigri che non fanno nulla attendendo che altri si impegnino, mentre sbadigliano “chissà, speriamo”. Speranza non è l’uscita di sicurezza dei rassegnati che alzano le spalle, sforzando un “mah, speriamo”. Speranza è la virtù dei forti, che trovano nel negativo il senso del positivo. È nella fame che si percepisce la preziosità di un boccone.
Allora decisi si motivano: “dai! speriamo!”. Dio ci insegna a cavarcela senza Dio. L’amore di un genitore è vero quando rende il figlio autonomo, indipendente, responsabile. Se invece fa le cose o le risolve al suo posto, lo rende debosciato, vuoto, insulso, scimunito. “Date loro voi stessi da mangiare”, dice Gesù. Frase grammaticalmente geniale, perché “voi stessi” è 2 cose. Può essere “soggetto”: voi date qualcosa a loro, anche se poco.
Può essere anche e soprattutto “complemento oggetto”: date voi stessi in cibo. Voi siete il cibo per la fame che c’è. Ciascuno di noi è un boccone di speranza. Václav Havel (1936-2011) è stato scrittore e attivista contro la dittatura comunista in Cecoslovacchia, promuovendo diritti umani, libertà e democrazia. Nel 1989 fu uno dei leader della “Rivoluzione di Velluto”, movimento non violento che portò alla caduta del regime. Divenne primo presidente della Repubblica di Cecoslovacchia (1989-1992) e poi della neocostituita Repubblica Ceca (1992-2003). In un periodo in cui fu incarcerato un giorno scrisse: “La speranza è una dimensione dell’anima e non dipende da calcoli sulla situazione.
La speranza non è una previsione, ma un orientamento dello spirito e del cuore. La speranza non è la convinzione che una cosa finisca bene, ma la certezza che abbia un senso al di la da come va a finire. La speranza è la capacità di impegnarci in qualcosa perché è giusto e non solo perché è sicuro che avrà successo. La speranza non è ottimismo.
Più avversa è la situazione in cui dimostriamo speranza, più profonda è questa speranza. La speranza ci dà la forza di vivere e di continuare a tentare, anche in condizioni disperate come quelle che ci circondano”. Havel che ha vissuto la fame vera per la repressione del regime ma ha avuto soprattuto fame di senso e di pace, ci dimostra che è possibile essere bocconi di speranza.
Dio si fa prendere in mano e mangiare come pezzo di pane per insegnarci ad essere bocconi di speranza. Il corpo di Cristo, il “Corpus Domini”, è la presenza di Gesù in noi per riempirci della virtù dei forti. A noi la scelta di decidere se dire “mah speriamo” o “dai! Speriamo!”.