Quando venne al mondo, aveva cucito addosso i crismi della gloria: sognava – ed era venuto al mondo esattamente per questo – di diventare generale d’armata: un generale di cuori, più che di spade. Per fare questo, aveva a disposizione il mondo intero: le migliori scuole dell’epoca, i seminari più all’avanguardia, i migliori maestri del mondo avrebbero sgomitato pur di avere tra gli alunni quell’adolescente Gesù di cui tanto si parlava nel vicinato.
“Figlio di papà”
Avrebbe potuto, qualora avesse voluto, saltare di punto in bianco tutto ciò che veniva richiesto agli altri: era pur sempre, infatti, il “Figlio di Papà”. Tra tutti i modi possibili per diventar grande com’era chiamato a diventare, scelse invece di dar fiducia alla dottrina spiccia del carpentiere che gli fece da padre quaggiù: “Ricorda, Figliolo mio – sembra di sentire Giuseppe, a voce bassa, tra trucioli, segature e mobilio da restaurare – che nessuno avrà mai il diritto di comandare se prima non ha imparato ad obbedire. Fidati di tuo padre”. Impossibile, dopo aver appreso la storia del padre e della Madre– di come venne al mondo in maniera a dire poco rocambolesca – non era il fidarsi, ma il non fidarsi: “Più che coi loro discorsi, sto apprendendo dal loro esempio” si diceva tra sé alla fine di qualche giornata lavorativa. Diventò grande così. Si vide crescere la barba coi peli sotto le ascelle – da buon mediorientale – tra le mura di una casa qualsiasi. Tra tutte le forme di vita a disposizione, non trovò di meglio che scegliere quella più feriale, umana: la vita familiare. Non se ne andò in seminario, non si ritirò in un convento, non si nascose in una foresta sperduta: scelse di vivere come un uomo normale, come un semplice figlio, una semplice creatura, come un adolescente qualunque. E ciò fece di Lui un uomo imitabile e da imitare. Non scelse d’andare a studiare a Gerusalemme, d’andare a lavorare all’estero, di perfezionare qualche esperienza al di là dei confini della sua geografia familiare: Lui – proprio a Colui ch’era stato concesso ogni potere nel cielo e sulla terra – «trascorse quasi tutta la vita in un meschino villaggio celato in una povera vallata, senza splendore alcuno di pompe o evenienze» (F. Sheen). Di più: crebbe restando soggetto a una Vergine e a un uomo giusto che Lui già conosceva prima ancora che fossero nati. La qual cosa, a posteriori, arrecò fatica nell’allevare come figlio chi, in un certo senso, era già loro Padre: è (gran) mistero della fede una cosa così.
Leale con gli uomini
Scelse d’esser leale con gli uomini: “Ci sono cose che non si dicono, si fanno, caro il mio Gesù – è sempre Giuseppe a bisbigliare -. Quando le fai, parlano per te”. Crebbe così il Figlio di Dio, facendo la gavetta: proprio Lui che, la gavetta, la poteva evitare alla grande. “Nessuno potrà mai diventare un grande generale d’armata se prima non avrà imparato a stare nei ranghi” ripeterà un giorno ai suoi amici, dilettanti in fatto di grandezza. Vergognarsi d’essere operaio: e perché mai? La vergogna, casomai, sarà quella di far male il proprio lavoro. Ecco, dunque, il generale che si comporta da soldato semplice nella falegnameria, tra il banco di lavoro, la pialla, la sega e la raspa. Tempo che madre e padre sbrigassero le pratiche religiose (nemmeno loro cercarono scorciatoie) e tornassero nella loro Nazareth – «Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore» – il piccolo garzoncino di bottega «cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e la grazia di Dio era su di lui» (cfr Lc 2,22-40). Non volle far il mantenuto come quei sindacalisti che non facevano niente: volle guadagnarsi lealmente, senza favori, i gradi, gli speroni del Cavaliere. Poi la mattina che iniziò a predicare, si percepì subito che sapeva ciò di cui parlava.
Autore: Don Marco Pozza
Marco Pozza (Calvene, 21 dicembre 1979) è uno straccio di prete al quale Dio si intestardisce ad accreditare simpatia, usando un’inspiegabile misericordia. Sacerdote e scrittore, è il parroco del carcere Due Palazzi di Padova. Presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma ha conseguito il dottorato in Teologia Fondamentale con una tesi su Cittadella, unica opera uscita postuma dello scrittore-aviatore francese Antoine de Saint-Exupèry. Il motivo? Era infastidito assai dal fatto che il mondo intero conoscesse Il Piccolo Principe ma quasi nessuno conoscesse chi fosse il suo papà letterario. Più le infinite cose belle che aveva scritto oltre a quella sua favola divenuta nel tempo gigantesca. Immortale. La sua passione è quella di provare a contaminare mondi tra loro, in apparenza, ben differenti: a volte riuscendoci, a volte meno. In ogni caso gli rimane addosso la bellezza di averci comunque provato: come nella primavera del 2020 quando, assieme alla comunità del suo carcere, ha ideato e scritto i testi della famosa Via Crucis 2020 celebrata in una Piazza san Pietro deserta a causa della pandemia. Per Rai1 conduce dei cicli di puntate de Le ragioni della speranza, la rubrica settimanale del programma A Sua immagine. È autore e conduttore di programmi televisivi di approfondimento culturale e religioso: Padre Nostro (Tv2000, 2017), Ave Maria (Tv2000, 2018), Io credo (Tv2000, 2020), Dei vizi e delle virtù (Discovery Channel, 2021) che hanno avuto la partecipazione fissa di Papa Francesco e dai quali sono nati altrettanti bestseller (usciti con Rizzoli) tradotti in tutto il mondo. Nell’autunno 2022 scrive e conduce Il Discorso della montagna (Canale5, 2022). Appassionato di sport e giornalismo, nel tempo libero che gli rimane ha già iniziato ad abbozzare la sua prima enciclica, qualora gli toccasse la dura avventura d’essere eletto Papa. L’incipit è già stato scritto: «Ho odiato ogni minuto di allenamento ma mi dicevo: non rinunciare. Soffri ora e vivi il resto della vita da campione» (M.C.Clay). Non è il miglior uomo del mondo: non pretende nemmeno di diventarlo, tra l’altro. Gli basta, al tramonto di ogni giorno, avere fatto di tutto per essere il migliore uomo possibile.