Si sono riaperte le scuole. Molte limitazioni dovute al Covid si sono attenuate, contemporaneamente nuovi gravi problemi si sono affacciati all’orizzonte e il futuro, se non drammatico, sarà di certo molto difficile. Il Covid e le conseguenze sulla nostra vita economica, insieme alla crisi delle materie energetiche, hanno modificato radicalmente la nostra comunità: tutti abbiamo notato una popolazione che si è fatta sempre più anziana, sempre meno sollecita agli inviti, a iniziative, sempre meno propensa a impegnarsi in azioni di volontariato. A tutto ciò dobbiamo aggiungere la diminuzione sensibile del numero di sacerdoti, suore e religiosi con conseguente limitazione di momenti liturgici o di catechesi.
La pratica della “rete”
Ogni comunità cerca di correre ai ripari attraverso incontri mirati ad affrontare i problemi e a immaginare possibili soluzioni. Verrà sicuramente in aiuto l’ormai collaudata pratica della “rete”, cioè mettere in contatto tante realtà lontane tra loro, ma interessate allo stesso problema.
E questo anche perché i problemi, almeno quelli più significativi e urgenti, sono ormai comuni a tutte le comunità e necessitano di risposte il più possibile condivise.
Analisi della situazione locale
Il primo punto da trattare sarà sicuramente una seria e onesta analisi della situazione locale, di come era prima di questi anni difficili. Occorre stare attenti a non farsi prendere la mano da rimpianti del tempo passato o da speranze irrealizzabili; i piedi devono stare ben saldi al suolo confidando che ogni tempo ha i propri problemi e le proprie risposte, senza pretendere che risposte adeguate, valide per il passato, lo siano ancora per l’oggi. Di contro nemmeno lasciarsi andare a pessimismi ingiustificati o a riduzionismi esagerati che stroncherebbero sul nascere proposte di novità o fertili nuove intuizioni. Anche qui mai porre limiti alla fantasia di Dio che sa scrivere dritto sulle righe storte delle vicende umane.
I gruppi interessati all’attenzione pastorale
Un secondo momento dell’incontro dovrà verificare quali siano le persone, i gruppi, gli ambienti interessati alla attenzione pastorale (gli ammalati, i giovani, le famiglie, le istituzioni, le associazioni, ecc.). In contemporanea dobbiamo mettere sul tavolo (anche qui con la maggiore sincerità possibile) la qualità e la quantità delle forze umane e strutturali che possediamo. Da un corretto rapporto tra queste due condizioni si potrà stabilire con realismo l’entità della nostra azione. Una volta analizzato lo status dell’arte arriva la parte più impegnativa: quale deve essere il nostro messaggio? Cosa ci attendiamo dalla nostra azione pastorale? Quali dovranno essere i suoi obiettivi?
I punti fermi
Anche in questo caso occorre partire da alcuni punti fermi. Da anni ci siamo accorti che la nostra società non possiede più quelle radici culturali ed etiche di derivazione cristiana, o al più le possiede superficialmente. D’altra parte, esistono ormai tante persone che dichiaratamente dicono di non essere cristiani. Quindi oggi, parlare di fede, non ha più un’implicazione immediatamente cristiana. Facciamo parte di un’umanità “delle fedi”, al plurale. Di qui l’esigenza di trovare le forme e le ragioni della convivenza.
La “differenza cristiana”
Diventa allora indispensabile per il cristiano mettere a fuoco lo specifico della propria fede (la “differenza cristiana”) come tratto distintivo della propria identità. Dove l’identità non è da intendere tanto come motivo di rivendicazione o di esclusione, quanto piuttosto come presupposto del riconoscersi e dell’essere riconosciuti; quindi, è il presupposto della relazione. Senza identità non c’è volto, non c’è incontro. Per dare un contenuto alla fede cristiana bisogna risalire alla parola biblica in cui se ne ritrova l’origine: il senso della fiducia, intesa come la stabilità e la sicurezza derivanti dall’appoggiarsi a qualcuno.
Un Dio affidabile
Fede è il conoscere un Dio che si rivela come affidabile, degno di fiducia, fedele alle promesse. Ecco, allora, Abramo il quale «credette al Signore che glielo accreditò come giustizia» (Gen 15,6) e Maria di Nazaret, che è beata per aver creduto all’adempimento di ciò che il Signore le ha detto (cfr. Lc 1,45). La fede viene dunque dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo (crf. Rm 10,17), nel quale i cristiani riconoscono il Verbo di Dio, il rivelatore del Padre. Benedetto XVI ha scritto nella sua prima enciclica che «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus caritas est, 1).
Fede uguale fiducia
Allora la fede sia soprattutto fiducia, abbandono, disponibilità, disposizione all’ascolto. Che poi, essendo un fatto globale, la fede cambia lo stare nel mondo, lo trasfigura, ma non lo sostituisce e non lo soppianta. Non sta fuori dalla vita, ma dentro. Non è negazione dell’umanità, ma umanizzazione. In questa chiave può risultare persuasiva e comprensibile al nostro tempo. Il nostro sforzo sarà quello di comunicare e testimoniare questa capacità di umanizzazione che sta nella nostra fede. Con questo obiettivo il nostro impegno pastorale dovrà infine assumere tutte le possibili strade di attualizzazione, chiaramente tutto accompagnato dall’indispensabile preghiera.