Francesco Anfossi per Famiglia Cristiana.it
L’incubo nucleare che stiamo vivendo a causa del conflitto ucraino rimanda a quell’ottobre 1962, quando mancavano 5 minuti a mezzanotte. Le navi sovietiche con i missili diretti a Cuba per essere puntati sugli Stati Uniti, l’imponente blocco navale americano. Le trattative frenetiche. L’appello di Giovanni XXIII a Kennedy e a Krusciov, la decisione delle imbarcazioni russe di invertire la rotta. Anche 60 anni fa era ottobre, un tempo di vendemmia che teneva il mondo con il fiato sospeso. Ma ieri e oggi le analogie si fermano qui? Lo chiediamo allo storico Agostino Giovagnoli, docente all’Università Cattolica, che ha scrutato a fondo quel periodo. «La prima differenza tra allora e oggi», spiega lo studioso «è che oggi non c’è più la guerra fredda e la divisione in blocchi come allora».
Le riflessioni dello storico Agostino Giovagnoli
E infatti allora si paragonava quel conflitto alla contrapposizione tra Atene e le sue poleis della Lega, impero marittimo come gli Usa e Sparta, superpotenza militare terrestre. Due sfere contrapposte come nella guerra del Peloponneso …
«Oggi il quadro è diverso, non è più quello uscito dagli accordi di Yalta dopo la Seconda Guerra Mondiale, con una robusta rete di organizzazioni internazionali, a partire dall’Onu, che hanno impedito che dalla guerra fredda si arrivasse a quella calda. Oggi questa rete è meno garantita e la situazione più pericolosa. Non essendoci un quadro stabile si rischia la guerra nucleare». (…)
Allora la Casa Bianca e il Cremlino si parlavano attraverso il telefono rosso. Oggi ha ancora un senso?
«Un telefono rosso ha ancora molto senso. Ma ci dovrebbero esser molti telefoni rossi. Con Ankara, con Pechino… il dramma è che mancano. Il telefono rosso presuppone un ambito di comunicazione riservato tra i potenti della terra. Purtroppo oggi la riservatezza non c’è e la diplomazia ha uno spazio di azione molto più limitato perché deve rendere conto continuamente in pubblico delle sue scelte. Quando Lavrov parla, deve fare propaganda, quando il segretario di Stato Usa Blinken prende posizione lo ascolta tutto il mondo e non solo il suo interlocutore russo. Questo rende il tutto molto pericoloso. I telefoni rossi sarebbero una garanzia per tutti.
Cosa accadde in quell’ottobre del 1962?
«Dopo la crisi di Cuba, i sovietici decidono di installare dei missili sull’isola in grado di supportare testate nucleari. Gli Usa erano a distanza di 90 miglia. Allora non c’erano i missili intercontinentali, bisognava piazzarli a ridosso del nemico. A questo punto Kennedy decide il blocco navale. In caso di forzatura del blocco sarebbe stata guerra nucleare. Ma a un certo punto le navisovietiche tornarono indietro».
E perché?
«Perché si attivano tutti per scongiurare la fine del mondo. E tra questi Giovanni XXIII, che ha avuto un ruolo importante per evitare l’inizio della fine. La mediazione aprì la strada a un compromesso tra Urss e Usa. I sovietici rinunciano alle basi a Cuba in cambio dello smantellamento delle basi missilistiche americane in Puglia e in Turchia, da dove gli ordigni nucleari potevano raggiungere il territorio sovietico».
Quanto fu determinante l’azione di Giovanni XXIII?
«Non lo sappiamo di preciso ma è probabile che sia stato determinante perché è stato accompagnato da azioni riservate della diplomazia vaticana. Non senza un certo ruolo italiano. Bisogna tenere conto che il canale diretto tra Vaticano e Mosca era stato creato da Fanfani e Bernabei, favorendo il rapporto tra Krusciov e Kennedy”. (…)
Tutto questo ci porta a sperare che analogamente, anche sull’onda dell’efficacia dei risultati della diplomazia vaticana in quei momenti drammatici, l’azione di Francesco sul piano pubblico e l’azione diplomatica vaticana possa essere efficace anche in questo frangente storico …
«Certo, ma ai nostri giorni questa azione è più complicata. Il mondo bipolare era un mondo più semplice con regole collaudate. Kennedy fece un azzardo, ma un azzardo calcolato. C’era una questione molto specifica da risolvere: lo scambio delle rinunce alle basi missilistiche. C’era anche una diplomazia riservata e molto efficace. E’ interessante vedere che il messaggio di papa Giovanni del 25 ottobre è in francese, la lingua della diplomazia. Francesco si rivolge a tutti usando l’italiano e questo già ci dà il senso che ci muoviamo in un contesto comunicativo diverso e paradossalmente più difficile. Oltre tutto nel 1962 la guerra non era scoppiata. Oggi è già in corso da mesi».(…)
Oggi la Chiesa ortodossa di Cirillo è una delle principali supporter dell’invasione russa in Ucraina. Che ruolo aveva la Chiesa ortodossa allora?«La Chiesa Ortodossa in Unione sovietica fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale era totalmente annientata e perseguitata. Poi Stalin si accorge che può concorrere a quella mobilitazione generale per sconfiggere l’invasore nazista. Allora come oggi era molto subordinata al potere. Se non che l’interesse del potere sovietico allora era quello di mostrarsi favorevole alla pace e non alla guerra come oggi la Russia di Putin. Quindi la chiesa ortodossa russa era uno strumento di propaganda per la pace. Cercava il dialogo ecumenico. Solo con i cattiolici non c’era dialogo, ma col Concilio poi, cambiano tante cose. Mentre oggi siamo in una situazione diversa: la Russia ha interesse a una propaganda di guerra e dunque la chiesa ortodossa russa si pone sulla stessa linea». (…)
Cosa ci insegna la Pacem in terris oggi?
«Ci insegna la visione di un mondo che è un’unica realtà globale, in cui il genere umano è uno solo e tutti sono interdipendenti tra di loro. In questo senso la guerra non è mai una guerra locale ma ha sempre dei riflessi globali che toccano tutti. Per questo la pace è divenuta un bene necessario. Non ci sono alternative alla pace se non la distruzione dell’umanità. Ciò è evidente quando si parla di arma atomica ma lo deve essere anche per ogni guerra dei nostri giorni. Ogni conflitto chiama in causa un altro conflitto. La guerra in Siria si riflette sull’Afghanistan e a sua volta sull’Ucraina. Da parte di papa Giovanni c’è questa grande intuizione dell’ unità del genere umano, che non è solo un’unità morale, ma soprattutto storica».