Sei sono i soggetti verbali che vengono alla luce durante i sei giorni della creazione. Nel primo e nel secondo giorno di creazione, Elohim si esprime attraverso la terza persona singolare, manifestando una volontà: «Elohim disse: “Sia la luce”» (Gen 1,3); «Elohim disse: “Sia un firmamento in mezzo alle acque”» (Gen 1,6). Al terzo e quarto giorno, la presenza divina passa dalla terza persona singolare alla plurale, ma le espressioni verbali continuano a esprimere un’intenzione: «Le acque si raccolgano…»; «La terra produca…»; «Ci siano fonti di luce…» (Gen 1,9.11.14). In questi primi quattro giorni, la parola di Elohim, espressa attraverso la terza persona – singolare o plurale – manifesta una volontà che chiama, che definisce l’essenza delle cose, che annuncia quanto accadrà. Non avendo l’uso delle seconde persone, sembra quasi che di fronte all’Essere parlante, Elohim, non ci sia un altro soggetto corrispondente. Nel terzo giorno, si verifica un’intrigante svolta: Elohim utilizza la sua parola creatrice per far sì che altre creature generino alla vita, attraverso un processo di riproduzione: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto…» (Gen 1,11).
Il quinto giorno
Con l’arrivo del quinto giorno, il locutore divino passa alla terza persona plurale, mentre i verbi continuano ad esprimere una volontà. Ora è il turno delle acque di «brulicare» di esseri viventi, mentre gli uccelli sono incaricati di volare sopra la terra, davanti al firmamento. Anche qui rileviamo una novità: si ricorre al verbo «creare» (bāraʾ; v. 21), che era rimasto latente dopo la prima frase di Gen 1,1a. La sua utilizzazione è legata alla categoria degli «esseri viventi» (v. 20 nefeš ḥayyâ). Dopo la loro creazione, narrata in Gen 1,21, Elohim può finalmente parlare «per dire» (lēmōr) una benedizione: «Siate fecondi, moltiplicatevi e riempite» (1,22). Prima, Elohim diceva e creava il mondo, ora parla pronunciando una benedizione sugli esseri viventi e lo fa utilizzando l’imperativo alla seconda persona plurale: “voi”. Il soggetto “voi” emerge per essere benedetto: il primo “altro”, il primo “soggetto” identificato e la prima benedizione.
Il sesto giorno
Il sesto giorno porta di nuovo la terza persona singolare e i verbi esprimono una volontà. È il turno della terra di essere chiamata a «produrre l’essere vivente» (nefeš ḥayyâ), o meglio, Elohim fa si che terra stessa generi l’essere vivente. La traduzione italiana della CEI ha: «La terra produca esseri viventi»; ma nel testo ebraico c’è il singolare. L’essere vivente emerge quindi dalla terra, grazie a essa, nel sesto giorno. Come nel giorno precedente, anche in questo caso, il soggetto alla terza persona cambia. Nel secondo discorso del sesto giorno, Elohim pronuncia in modo inaspettato: «Facciamo [un] umano (ʾādām)…». È il «noi» che inizia questa conversazione di Elohim, non l’”io”. Il “noi” precede l’io, il noi crea e fonda l’essere umano, o come dice letteralmente il testo, l’«umano». C’è subito una conseguenza nel «facciamo»: Elohim parla con un «altro». Dice “noi”, un “noi” che, per essere veramente la prima persona plurale, implica differenza, somiglianza, alleanza. Avremo l’opportunità di ritornare su questo aspetto del discorso di Elohim. Per il momento ci basti osservare che il “noi” precede l’”io” e il “tu”, incorporandoli. Per l’autore o gli autori l’esistenza dell’uomo ha questa matrice plurale che è una medicina per la nostra società che vede uno sviluppo ipertrofico dell’io. Se la terra ha prodotto gli esseri viventi, è nel “noi” divino che viene creato l’essere umano, creato non “dalla” parola di Elohim, come le altre creature, ma “nella” parola che Elohim rivolge a colui con cui parla. Rimane da scoprire chi sia questo “altro”. Ma questa è una questione per un altro giorno.