Nell’ultimo post, ci eravamo lasciati con un interrogativo intrigante: in Gen 1,26 chi era questo “altro” che insieme ad Elohim costituisce il soggetto plurale “noi” del verbo «facciamo»? Il mistero si dissolve leggendo un poco più in basso, quando nel terzo discorso divino del sesto giorno il narratore afferma: «Elohim benedisse loro e disse loro (1,28). Il pronome può solo riferirsi all’umano, maschio e femmina. Per la prima volta, Elohim si rivolge direttamente a qualcuno.
Elohim
Ricordiamo che Elohim aveva già benedetto gli animali «con il dire» (lēmōr v. 1,22), ma non aveva mai parlato direttamente a “loro”. Ora, con l’umano, le cose cambiano: «Siate fecondi e moltiplicatevi… Ecco, io vi do ogni». La novità del “parlare” divino si rivela quando appare l’essere a cui può parlare, l’umano. Solo a questo punto, Elohim può dire “io”, può usare la prima persona. Ma perché avviene questo? Elohim non è un mago onnipotente della parola. Nella Genesi non leggiamo mai «Io creo la luce», ma piuttosto «Sia la luce». Elohim nonostante possa essere considerato l’“io” totale della creazione e della storia, si mostra in Gen 1 in modo decisamente diverso. Solo quando l’altro è presente – e sono presenti sia l’uno sia l’altra, maschio e femmina – egli usa la prima persona. Quando parla come “io”, è perché un “altro” può parlare a lui. Il Dio della Genesi è estremamente generoso, ma è anche il Dio che getta le basi per una relazione dialogante tra soggetti.
I sei giorni
Tuttavia, alla fine dei sei giorni, manca una persona grammaticale, il “tu”. Dovremmo aspettare fino al capitolo successivo, fino al comando di Yhwh-Elohim all’umano, per sentire il “tu”. La creazione si conclude con questa mancanza. Nel sesto giorno tale “mancanza” è segnalata dal fatto che, dopo l’opera di creazione dell’umano, non segue l’usuale ritornello: «E Elohim vide che era cosa buona». Infatti, il ritornello del v. 31 non si riferisce alla seconda opera del sesto giorno, ma a tutta l’opera della creazione. Pertanto, la seconda opera del sesto giorno ne è priva. Come spiegare questa assenza? A ben guardare anche in precedenza era mancato il ritornello, precisamente nel secondo giorno della settimana di creazione. Allora Elohim aveva separato le acque superiori da quelle inferiori grazie alla volta celeste (v. 8). Ma il narratore non aveva concluso con «e vide che era cosa buona». L’omissione è facilmente spiegabile dagli esegeti: la semplice sistemazione di una volta tra le acque non era sufficiente per rendere lo spazio abitabile. Era necessario che la terra asciutta emergesse dalle acque inferiori, opera del terzo giorno, e solo a quel punto è risuonata la formula: «E Elohim vide che è cosa buona» (v. 10). Concludendo, quando viene omesso il ritornello, significa che l’opera è incompleta. Forse lo stesso vale per il sesto giorno? Non manca qui il “tu”, ma non solo il “tu”? È necessario che esaminiamo nuovamente le opere del sesto giorno, e sarà l’argomento del prossimo post.