«Si tratta di una tale impresa – continuò messer Michelangelo – che a un pittore non basta essere un grande maestro e molto acuto per imitare in parte la venerabile immagine di Nostro Signore;
ma io sostengo che gli è necessario condurre una vita assai onesta o anzi, possibilmente, essere un santo,
perché il suo intelletto possa venire ispirato dallo Spirito Santo»
(F. de Holanda, Dialoghi romani con Michelangelo, Rizzoli, Milano 1964, pp. 73-74)
La questione della veridicità della storia di Gesù di Nazareth
Il tema che qui si vuole affrontare è assai impegnativo[1]. Proprio perché è attuale e altamente evocativo. Istanziare oggi la domanda «se il cristianesimo ha tradito Gesù» – al di là del dettaglio se porsi questa domanda sia un membro della comunità credente oppure no – significa, almeno, ma esattamente, prendere atto che il contenuto e il significato della fede cristiana è oggi avvolto da un nebuloso alone di incertezza, che si è reso fitto e spesso, come forse mai prima d’ora lo è stato nella storia. La semplice constatazione, da una parte, che proprio nel tempo della crisi del libro cartaceo il thriller Il codice da Vinci[2] – ma dello stesso autore si potrebbero citare anche Angeli e demoni[3] e Il simbolo perduto[4] – sia uscito a distanza di soli tre anni nell’originale inglese e in traduzione italiana nel 2003 e che quest’ultima, in soli otto mesi, abbia dovuto soddisfare il mercato fino a stampare qualcosa come 27 edizioni, fa, almeno, pensare; dall’altra parte, osservare che alcuni biblisti ambiscano a rompere la cosiddetta cortina di fumo, inerente i dati storici della fede cristiana, rabberciando un’intervista titolata Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo[5] a braccetto con giornalisti laici rientranti nel girone del “politicamente corretto”, sollecita chi crede in “Gesù Cristo” a tessere con più precisione le coordinate teologiche del nostro credere[6]. Come vogliamo fare noi. In questo mio intervento, senza addentrami troppo nel contenuto dei quattro citati best-seller – pur potendo rubricare in questo genere anche titoli di ben altri autori – cercherò di spiegare quanto segue: innanzitutto vedremo perché nello scenario di questi primi dieci anni del terzo millennio ci si interessi così tanto sulla veridicità della storia di Gesù di Nazareth; in secondo luogo vorrei brevemente dimostrare come il problema non sia affatto nuovo e che, pertanto, fra dieci anni, assai probabilmente, lo stesso manichino si ripresenterà rivestito, eventualmente con altri panni, ma che, ciò nonostante, esso esiga di essere smascherato; in terzo luogo verranno elencati, per sommi capi, alcuni tra i principali modelli cristologici che avevano già affrontato la questione; infine vorrei proporre una soluzione che ci permetta di affermare che il cristianesimo non ha affatto tradito Gesù. Questa ultima ipotesi risolutiva sarà tripartita e si concluderà con uno stigma ecclesiale: se non altro per il fatto che molti tra coloro che hanno letto con una certa avidità quei quattro libri, e altri del genere, vengono anche ad ascoltare le nostre omelie; anzi, alcuni sono nostri colleghi, altri addirittura miei nell’insegnamento della teologia: con il differenziale che conoscono piuttosto bene le domande che Sophie rivolge Teabing su Maria Maddalena[7], meno il nocciolo teoretico del De unitate intellectus di Tommaso d’Aquino (1225-1274)[8], sapendo gli addetti agli lavori che questa citazione non è del tutto casuale.
La ripresa del problema sotto “mentite spoglie” nella tardo modernità
Dobbiamo adesso cominciare ad addentraci nella prima questione che interessa il nostro intervento ossia rispondere a questa domanda: perché in questi primi dieci anni del terzo millennio ci si aggroviglia e ci si attarda a mettere in essere qualcosa come un’Inchiesta su Gesù[9] e a indagare sulla storicità della sua persona? Senza dubbio, questa apparentemente nuova curiosità origina quale prodotto di due fattori: innanzitutto, vi è (stato) il ritorno di un certo “romanticismo” incentrato su Gesù che io oserei definire “neoromanticismo cristiano” – al quale peraltro il fenomeno di un certo attuale devozionalismo non è del tutto allogeno; in secondo luogo, oggi ciascuno di noi respira un clima non più postmoderno, bensì “tardo moderno”, originatosi da quando, dopo quell’11 Settembre 2001, l’uomo e la donna vivono in un’atmosfera che non è più soltanto irritata, ma addirittura scossa. Detto in maniera stringata, con “tardo modernità” intendo quello scenario culturale attuale dove l’uomo si è così fissato sul presente da aver pressoché completamente dimenticato che passato, presente e futuro non esistono l’uno senza l’altro: in questo senso, l’11 Settembre ha conglobato ogni tempo in una sola e unica data: il presente di questo mio presente. Senza volermi addentrare adesso in questioni di filosofia della storia – affatto banali – voglio qui far notare che sia il “neoromanticismo cristiano” come anche la tardo modernità stiano derubricando passato, presente e futuro dalla loro esatta collocazione e, quale effetto finale, sollecitino una curiositas distorta su quanto si intende per “storia”: vengono, così, prodotti degli alambicchi che costruiscono artificiosamente figure (Gestalten) di un Gesù ricavato da codici segreti o da presunti nuovi documenti che possono addirittura istruire un’inchiesta. Ora, al teologo – ma prima ancora al filosofo cristiano – non deve interessare né questi, né quella (il “che”) – tra dieci anni, dicevo, salterà fuori un altro vaso di Graal –, bensì il “perché” la curiositas abbia attecchito così bene creando una certa confusione. Esibendo la teoria del cosiddetto “neoromanticismo cristiano” abbiamo in parte già risposto: esso, quale tentativo di raggirare l’autentico cristianesimo storico, si limita a constatare il passato, naturalmente considerato come contraffatto dalla società che da esso origina, la Chiesa, ed esibendo, per converso, quella pericolosa tesi per cui la mera storia di ciò che è trascorso non crea alcun presente, essendo quest’ultimo privo di qualsiasi avvenire, una volta scoperta la falsa trama sottesa agli avvenimenti. Vogliamo spendere qualche parola in più, invece, per illuminare, il più semplicemente possibile, il nocciolo teoretico che tiene in piedi la tardo modernità, essendo questo il secondo fattore che fa da terreno fertile alla curiositas. In realtà, dopo l’11 Settembre l’uomo e la donna si sono così ripiegati sul presente che non sanno più aspettare. Paradossalmente, questa “faccenda” di cui parliamo ha a che fare proprio con la Chiesa anche perché l’atmosfera tardo moderna è stata innescata dalla spiritualizzazione dell’éscathon cristiano che ha raggiunto le sue estreme conseguenze. Sarebbe come dire: il ritardo della parusia è diventato insopportabile a tal punto che ci si chiede se quel Gesù che l’aveva promessa, non fosse stato, appunto, soltanto un faccendiere. Anticipo già un primo risultato finale: è esattamente nella eventuale spiritualizzazione dell’éschaton che, forse, ci si può chiedere se «il cristianesimo ha tradito Gesù».
(continua venerdì prossimo).
[1] L’Autore è Professore incaricato di Cattedra presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense di Roma e Professore stabile nello Studio Teologico affiliato «Laurentianum» dei Cappuccini di Venezia.
[2] Cf Dan Brown, Il codice da Vinci, Mondadori, Milano 200428, p. 291. L’idea di fondo del romanzo è che la chiave del segreto di Graal, che la Chiesa si è prodigata a nascondere attraverso «la più grande opera di insabbiamento della storia», sia da ricercare nell’allusivo linguaggio della pittura, grazie all’utilizzo dei simbolismi della religione e dell’arte. Viene, così, esibita la fandonia secondo la quale Gesù si sarebbe sposato con Maria Maddalena e che i re di Francia sarebbero suoi successori. Il successo di questo primo thriller della serie inaugurata da Dan Brown sta nella tecnica del “page turner”, che ingabbia il lettore a proseguire, pagina dopo pagina, dandogli la percezione di situarsi in una sequenza filmatica, Molti critici hanno sostenuto che le idee principali del libro siano state tratte da opere precedenti e meno famose. Una di queste è il saggio Il Santo Graal di Michael Baigent– Richard Leigh – Henry Lincoln, Il santo Graal: una catena di misteri lunga duemila anni, Mondadori, Milano 2003 [or. 1996], i quali hanno perfino citato Dan Brown in tribunale per plagio.
[3] Cf Dan Brown, Angeli e demoni, Mondadori, Milano 200625. Il tema fulcro di questo romanzo è la contrapposizione tra fede e scienza. Robert Langdon, massimo esperto di simbologia religiosa, dopo essere stato svegliato nel cuore della notte e trasportato dagli Stati Uniti in Svizzera, si trova a dover esaminare un cadavere orribilmente mutilato e marchiato a fuoco dal terribile segno degli Illuminati, sétta molto potente che da secoli combatte il primato della Chiesa sulla terra. La trama di questo libro è molto simile nella struttura al precedente Codice da Vinci, ma non ha lo stesso fascino. Al di là delle imprecisioni linguistiche e storico-artistiche che sono assolutamente evidenti, il racconto, seppur costruito con sapienza, non è, a mio parere, il capolavoro di cui molti parlano. L’idea della storia improntata sul conflitto tra scienziati e uomini di fede è “geniale”, e forse anche il suo primo svilupparsi, ma nella parte finale rasenta l’assurdo o forse il ridicolo.
[4] Cf Dan Brown, Il simbolo perduto, Mondadori, Milano 2009. Il teorema fondante di quest’ultimo libro poggerebbe le basi sul presunto fondo gnostico-massonico dell’ethos americano. A fare da scenario alle ultime vicissitudini di Langdon non è più l’Europa, ma il cuore pulsante del potere americano, Washington. Il luogo dell’ambientazione rievocherebbe le relazioni massoniche di George Washington (1732-1799), fondatore della città (la cui stessa pianta urbanistica ne richiamerebbe i simboli), disegnata dall’architetto e urbanista, nonché, secondo quanto si legge nel libro anch’egli un massone, Pierre Charles L’Enfant. A differenza dei primi due, Il simbolo perduto fa inceppare il lettore nella noia, tralasciando – non si comprende appieno la motivazione – la tecnica del “page turrner”.
[5] C. Augias – M. Pesce, Inchiesta su Gesù: chi era l‘uomo che ha cambiato il mondo, Mondadori, Milano 200721.
[6] In Italia una risposta articolata venne dai Colloqui teologici dell’Istituto Teologico Abruzzese-Molisano tenutisi nell’Anno Accademico 2007-2008 e ora pubblicati in R. Cantalamessa – R. Penna – G. Segalla, Gesù di Nazaret tra storia e fede, a cura di Giovanni Giorgio, Edizioni Dehoniane, Bologna 2009.
[7] «Sophie lanciò un’occhiata a Langdon, che anche questa volta le indirizzò un cenno d’assenso. La donna si rivolse a Teabing. “Che importanza poteva avere, per la Chiesa delle origini, il fatto che Maria Maddalena fosse di sangue reale”?»: Dan Brown, Il codice da Vinci, p. 274, con mio corsivo, visto che si parla di «Chiesa delle origini».
[8] Cf Tommaso d’Aquino, Tractatus de unitate intellectus contra Averroistas, editio critica cur. Leo W. Keeler, (Textus et documenta in usum exercitationum et praelectionum academicarum 12), Apud aedes Pontificiae Universitatis Gregorianae, Romae 1957.
[9] A dire il vero Mauro Pesce (*1941) almeno quindici anni prima aveva mosso, tuttavia, i suoi “primi passi” intorno a questa questione quando scrive: «tutti gli scritti proto cristiani, pur avendo un riferimento assolutamente necessario alle origini, non descrivono le origini. Le origini rimangono occulte, implicite, non trasmesse. Appaiono negli scritti proto cristiani solo come evocazione e ricordo, come rifrazione e allusione, come oggetto di rimpianto o dibattito. Gli scritti proto cristiani nascono dal presente, non dal passato»: M. Pesce, Le due fasi della predicazione di Paolo. Dall’evangelizzazione alla guida della comunità, Edizioni Dehoniane, Bologna 1994, p. 274.