Il Movimento dei Focolari prende forma nel 1943, nel pieno del dramma umano della seconda guerra mondiale, quando, nell’apparente crollo di ogni valore e positività dell’esistenza, Chiara Lubich è portata a riflettere sull’amore di Dio e a scoprirne la continua manifestazione nelle pieghe di ogni evento, gioioso o doloroso. La natura stessa, l’oggetto di tale riscoperta è tale da implicare la sua comunicazione e condivisione, come riflesso dell’amore di Dio per ogni uomo e, di qui, a mirare ad un progressivo avvicinamento reciproco fino a ritrovare la piena unità in Dio. Di questa unità convergente la Lubich ha ravvisato la cifra espressiva massima nella consegna di Cristo sofferente sulla croce al Padre, quale gesto-chiave diretto a ricomporre l’umanità oltre le sue profonde lacerazioni e realizzare l’unità nel Padre.
Amore di Dio
Amore di Dio e amore del prossimo rinviano continuamente l’un l’altro e portano all’esercizio della carità verso i fratelli nel volto dei quali si viene a riconoscere Dio stesso. Tale esercizio della carità è compreso come attuazione dell’amore in analogia a quanto avviene nella relazione intratrinitaria, anzi è tale da attivare o, per usare l’espressione della Lubich, ‘accendere’, per iniziativa donante di Dio, la Trinità che ‘riposa nei cuori’, in modo di amare il prossimo in Cristo e Cristo nel prossimo. La stessa Lubich è stata spinta, lungo questa direttrice di riflessione, ad approfondire il Mistero Trinitario e le relazioni interpersonali svolte all’insegna della carità come suo riflesso[1]. La specificità del movimento non è altro, dunque, al fondo, che la valorizzazione massima del “comandamento nuovo” dato da Gesù Cristo ai discepoli, in cui consiste l’essenziale del Cristianesimo stesso. Di conseguenza, il movimento si presenta come una riscoperta ‘semplificatrice’ (non ‘semplicistica’) dell’intera prospettiva e comprensione cristiana della realtà, ricondotta al suo nucleo originario, essenziale.
Il movimento
Il movimento, forse per queste ragioni costitutive di essenzialità, non sembra avere un filone referente teologico preferenziale, ma tende piuttosto a valorizzare tutto ciò che, della tradizione cristiana, pone l’accento su questo nucleo primario. Nel contemporaneo si riscontra comunque una qualche simpatia e vicinanza per la spiritualità – più che per l’elaborazione teologica in senso proprio – di Karl Rahner, mentre la descritta concentrazione intorno all’amore di Dio tende a far gravitare le scelte sulla tradizione agostiniana e, per la tensione alla semplicità assoluta, sulla mistica apofatica facente capo agli scritti dello Pseudo-Dionigi. L’amore professato su tali saldissimi quanto essenziali princìpi teologici assume le forme della concretezza che l’incarnazione della Chiesa nella Storia la chiama ad attuare. Ma ciò che è interessante notare è che questa forma, che spinge fino alla circolazione dell’amore nel riconoscimento reciproco, consapevole che la positività del rapporto è generativa e diffusiva di reciprocità, incontra, dopo averle per molti aspetti anticipate, alcune delle istanze più luminose della filosofia morale contemporanea, che a dispetto dell’individualismo imperante vede, appunto, nella qualità della relazione, e nella relazione di ‘riconoscimento’ in particolare, il fronte sul quale investire per elevare la qualità dell’umano e promuoverne la dignità. La forte coscienza di unità presente nel movimento come ideale regolativo porta a valorizzare l’appartenenza alla Chiesa ‘Una’, ed in particolare della sua unità sacramentale realizzantesi attorno all’Eucaristia, mentre al tempo stesso ha sviluppato una speciale riflessione mariologica intorno alla Beata Vergine quale Mater unitatis[2] ed una pneumatologica sulla potenza unitiva dello Spirito Santo, vincolo di unità tra le membra del Corpo mistico di Cristo, in analogia a quanto avviene nell’unità della vita trinitaria.
[1] Cfr., ad es. Cristo nella comunità, in: «Città Nuova», XI, 1978, p. 40.
[2] L’epiteto risale ad una lettera di Chiara Lubich del 6 settembre 1947.