Lettere dal convento. Il presepe, come immagine del Natale, nacque quasi ottocento anni fa, nel mese di Dicembre del 1223, a Greccio nella valle reatina. E nacque dalla fantasia e dal cuore di San Franceso. Furono turbolenti i mesi autunnali di quell’anno per il Poverello di Assisi, perché impegnato a far approvare la “Regola” di vita dei frati a papa Onorio (1150-1227). Francesco, assieme ai tre compagni Leone, Rufino e Angelo, si trovava nei pressi di Rieti e poi ben presto nel territorio di Greccio.
L’invenzione di San Francesco a Natale: il presepio
Oramai mancavano appena dieci giorni a Natale, il freddo era cattivo, il vento tagliava la pelle e le capanne di frasche, lassù al romitorio dove erano accampati, facevano pena. Francesco aveva trovato una grotta, abbastanza protetta, voltata a mezzogiorno quasi sopra un dirupo: era tranquilla, perfino tiepida. E lì si accesero la sua preghiera e un nuovo desiderio: celebrare il Natale come se fosse stato a Betlemme, proprio in quella grotta. Chiamò i tre frati e li mandò in paese, poco più in là, da un certo Giovanni Vellita, il padrone del monte dove c’era il romitorio; gran amico di Francesco, persona autorevole e gran buon cristiano. Giovanni venne e Francesco, con una gioia che gli traspariva dagli occhi, gli chiese il favore di preparare per la notte di Natale, proprio in quella grotta, il fieno, un bue, un asino; la pietra per la messa c’era, bastava quella sulla quale Francesco aveva riposato; e poi lo invitò a chiamare gente, tanta gente, per quella notte. Al resto avrebbe pensato lui, Francesco.
Il centro era ed è un Bambino
I tre frati rimasero su al romitorio quella notte. Più tardi, con tutti gli altri frati, verso mezzanotte, i tre compagni presero una torcia, si infagottarono, uscirono in silenzio dalla capanna e furono presi da un nodo alla gola. Anzi, furono costretti ad asciugarsi le lacrime. Dal paese veniva gente, a gruppi, poi si univa e piano piano si faceva come torrente, un torrente di torce, di canti. E con loro tutti i frati, che dal romitorio facevano come un altro torrente di torce e di canti. Due torrenti diretti alla grotta. Era tutto preparato: la greppia, il bue, l’asino, le pecore, la paglia e tutta quella gente. Sembrava giorno pieno. Sulla pietra c’era l’occorrente per la messa. Tutto cominciò un modo solenne. Celebrante il parroco di Greccio; diacono Francesco: suddiacono un giovane frate.
Francesco era radioso
Francesco era radioso. Cantò il Vangelo e poi si fece un poco avanti, all’imboccatura della grotta; fuori era tutto luminoso. E ci fu subito un preziosissimo silenzio. Francesco cominciò forte a predicare. Sembrava un fiume di dolcezza: gli occhi scintillavano, le mani danzavano, la voce era chiara e melodiosa. Parlava di Lui, della povertà di Cristo, e le sue mani lo avvolgevano; parlava del re povero, e le sue mani dicevano stupore; parlava del Bambino nato nella grotta, e le sue mani dicevano dolcezza; parlava della Madre poverella, e le sue mani sembravano voler raccogliere stracci; parlava di quell’amore, di quanto Cristo ci aveva amati e le sue mani tremavano come incredule.
Era di notte, come fosse di giorno
Quando Francesco ebbe finita la sua predica, qualcuno tossì, qualche donna si asciugò gli occhi con il grembiule, i pastori finsero di accarezzare le pecore e si misero in ginocchio, il prete di Greccio si soffiò il naso. I tre compagni e i frati stavano piangendo – ma piangevano tutti – e tutti avevamo la certezza di avere assistito a un Natale vero; sulla mangiatoia tutti avevamo visto una grande luce e Francesco, con quel suo gesticolare, sembrava cullare un bambino. La messa finì. Furono slegati il bue e l’asino e le pecore tornarono al paese. La gente, con le torce ancora accese, cantava. Tornarono anche i tre compagni al romitorio. Per alcune ore, fino al mattino, ci fu silenzio. Francesco aveva creato un gran bel Natale. Un Natale che bisognava vedere. E che tutti, grazie alla fede e alla fantasia di San Francesco, possiamo rimirare oggi nel presepe, da lui inventato, in ogni parte del mondo. Se vogliamo anche a casa nostra.