Pubblichiamo, come ogni venerdì, la “Lettera dal Convento” di fra’ Gianluigi Pasquale. Oggi si parla della fede resiliente.
Fede in affanno?
«Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). Osserviamo, con quest’ultima Lettera di Marzo 2023, la prima virtù teologale: la fede. Che, rispetto alla speranza e alla carità, pare oggi essere più in affanno.
La fede è relazione
La fede è la risposta dell’uomo a Dio che si rivela (Gv 11,25). È, quindi, una virtù teologale composta da un elemento soprannaturale, la grazia che spinge a credere, e da uno naturale: la libertà e la volontà di credere. Tra i due il primato spetta al primo, cioè a Dio che suscita la fede, prendendo l’iniziativa nel generare il credere. L’uomo, in quanto, tale è un essere che crede sempre: crede che l’esperimento scientifico riesca, che il treno non faccia un incidente mentre sfreccia sui binari, che la moglie non lo tradisca. Quindi è vero che la fede è – come si dice – l’atto antropologico più qualificante. Tuttavia, questa fede “scientifica” – oggi diffusissima dopo la pandemia – non è ancora la fede teologale. Quest’ultima è, piuttosto, una relazione vivente che un uomo ha con la persona di Gesù Cristo, il figlio di Dio, iniziata con il battesimo e destinata a protrarsi oltre la morte. Si tratta, dunque, di una relazione che “vale un capitale” e anche di più.
«Io» cristiano e «noi» ecclesiale
La vera fede, pertanto, è solo quella cristiana: almeno in senso stretto. La fede, infatti, nacque come reazione alla risurrezione di Gesù Cristo dai morti (Gv 20,8), che gli apostoli ricevettero e trasmisero dopo aver visto il risorto in persona. La fede e la Chiesa che ne è scaturita hanno, infatti, un solo scopo: testimoniare anche oggi che Gesù è risorto e che lui è il Salvatore perché è l’unico Figlio di Dio. Cosa ci stanno a fare un cristiano e la Chiesa sulla terra? Questo: testimoniare la risurrezione e annunciarla, prima ancora che compiere la carità. Con la fede, di fatto, l’«io» cristiano e il «noi» ecclesiale offrono al mondo la speranza di potersi salvare per sempre nell’eternità. Il che significa: di vedere Dio, la «luce da Luce» (Gv 8,12) e il senso autentico del perché siamo nati. Perché allora, oggi, la fede è in affanno?
I tre Atti degli apostoli che sprigionano la fede
Le ragioni della crisi sono molte. E pare che in questi primi anni del secolo XXI si siano concentrate tutte per creare una tempesta perfetta. Ne osserviamo due, in ordine crescente. La prima è di ordine ecclesiale: l’ultima generazione è incredula perché non ha ricevuto una catechesi adatta e robusta. Non le è stato dato il linguaggio cristiano e, quindi, non può parlare e, anzi, quando partecipasse alla vita liturgica della Chiesa percepisce come se si “parlasse in arabo”. Questo “baratro catechistico” potrebbe essere riempito da quei movimenti ecclesiali che ripristinano il catecumenato, tenendo, però, sempre un occhio di riguardo ai cosiddetti cristiani “protestanti”. La seconda ragione è sociologica: nei paesi cristiani la denatalità è atroce per cui l’«io» cristiano giovane, che può essere un adolescente, non riesce più a sintonizzarsi con il «noi» ecclesiale molto anziano. Questa è esattamente la «gapgenerazionale» che provoca molte uscite nelle diocesi e tra gli istituti religiosi. Questi giovani, poi, sono imbottiti dal linguaggio pervasivo del telefonino il cui dànno peggiore e di sentirsi solo individui, cioè persone che sono più tali quanto più sono isolate. E che non hanno bisogno di nulla, nemmeno di Dio. La soluzione, ancora una volta, potrebbe essere offerta da quei movimenti ecclesiali che rimettono al centro la regola degli «Atti degli apostoli»: l’annuncio del Vangelo come attività (At4,33), la preghiera come identità (At 2,42), la rinuncia assoluta al denaro e alle proprietà come premessa (At 4,35). Questa è la risposta offerta a cosa ci stanno a fare la Chiesa e il cristiano sulla terra.
L’amicizia (ri)genera la fede
Abbiamo detto che la fede è una ellisse tra l’«io» credo e il «noi» ecclsiale. L’uno sostiene l’altro e viceversa. Ora, la soluzione immediata e urgente affinché si possa tenere acceso lo «stoppino dalla fiamma smorta» (Is 42,3) fu intravista sessant’anni or sono dalla Costituzione dogmatica «Dei Verbum» n. 2 sulla Rivelazione: l’amicizia. Dio intrattiene con l’uomo un rapporto di amicizia, è detto. Tra il «noi» della Chiesa e l’«io», per esempio giovane, credente è l’amicizia la carta vincente per trasmettere e irrobustire la fede. Se fosse presente tra preti, religiosi e tutti i laici cristiani, vedremmo di più con gli «occhi della fede», la fede.