È secondo natura e secondo ragione – nonché una risposta a quanto ci ha chiesto di attuare Papa Francesco[1] – porsi l’interrogativo inerente il rapporto che esiste tra la vita consacrata oggi e i giovani del nostro tempo. A questo proposito, a nessuno sfugge il dettaglio che, all’inizio del terzo millennio, la vita consacrata in Europa e nell’America settentrionale sta in qualche modo «sbadigliando», sia perché il numero dei consacrati e delle consacrate è in caduta libera, ovvero in consistente decremento, sia perché – come qualcuno osa recentemente far notare – alcuni religiosi vivrebbero la radicalità del Vangelo meno efficacemente dei laici cristiani, magari proprio di quelli sposati. Al di là dell’ovvia constatazione per cui, secondo papa Francesco, la «radicalità» nell’osservare il Vangelo è caratteristica di ogni cristiano. Osservare che queste due ultime affermazioni provengano da pura – e superficiale – analisi empirica «regionale», è puro truismo. Il darsi del fenomeno ci impone, piuttosto, di prendere atto che nel resto del mondo, là dove pulsa la Chiesa, la vita consacrata gode di ottima salute, continuino a fiorire nuove Congregazioni e si ponga, piuttosto, il problema di un serio e urgente discernimento dei e delle candidate alla vita religiosa, solitamente contraddistinta dai tre voti di povertà, obbedienza e verginità. La novità apportata dal Concilio Vaticano II (1962-1965) alla vita consacrata si potrebbe, pertanto, connotare come un’autentica eruzione vulcanica dello Spirito Santo a tal punto che – come ci è dato sapere – la stessa competente Congregazione Vaticana fatichi soltanto a «fotografare» il risveglio di cui siamo gioiosi spettatori.
I tre «desideri giovanili» dei nostri fondatori e fondatrici
Quali che siano i motivi eziologici che hanno finora assicurato l’immutata attualità della vita religiosa nel mondo – osservandoli certamente come presenti in qualsiasi tipologia tra i nostri Istituti religiosi – è, tuttavia, conveniente prospettare quelli che garantiranno – se vedo giusto – la sua attualità per il mondo d’oggi, così radicalmente allogeno al periodo in cui sono nate le nostre fondazioni, e questo non soltanto per la temperie che respiriamo in Europa. L’attualità della vita consacrata nel mondo odierno si potrebbe, a mio modesto parere, ripristinare nel suo proprio fondamento trinitario che qui, tuttavia, vorrei precisare nel suo versante storico-salvifico, senza puntare direttamente a quello della Trinità immanente. Cosa intendo dire: il fondamento trinitario della comunione che regge a tutt’oggi la vita religiosa rimane ancorato a tre peculiari intuizioni riscontrabili nella biografia di ogni Fondatore e Fondatrice, le quali intercettano al meglio la sensibilità – e i desideri – dell’uomo e della donna contemporanei: ovviamente, e in primo luogo, la ricerca di Dio, poi, il bisogno di un fratello (o di una sorella) e, infine, la cura per il mondo e i bisognosi, definibile anche quale rispetto della creazione. Guarda caso sono tutte “parole” presenti nel magistero di papa Francesco quando ha parlato alle consacrate e ai consacrati in tutti i suoi ultimi interventi, dicendo loro che essi nella Chiesa tengono accesa la «nota della profezia».
I giovani sono affamati di semplice umanità: e sentono se c’è tra i «religiosi»
Partiamo dalla prima intuizione. Se osserviamo il fenomeno dalla più corretta prospettiva storica, ci si accorgerà facilmente che la vita religiosa occidentale o latina si accosta a Dio partendo, fin da subito, da un altro approccio rispetto a quello della tradizione «monastica» del «quaerere Deum», pur così importante. I nostri Fondatori hanno conosciuto Dio, il quale è una comunione di tre persone e non semplicemente una dottrina, ma lo hanno fatto attraverso un appello al cambiamento e attraverso una conversione, che li hanno trascinati, loro malgrado, verso l’Alto, verso le cose invisibili. Il Fondatore, dunque, non cerca Dio, ma «si sente» attratto dal Dio trinitario, che è vita, a un cambiamento della propria personalità, mediante una duplice evidente modalità: primariamente attraverso un capovolgimento della sua esistenza, avvenuto per il fatto di essersi sentito interpellato per nome da una persona, nella quale soltanto egli intravide la possibilità di realizzare se stesso, in quanto per lui è l’unico bene assoluto, non relativo.
In secondo luogo, Colui che fa nascere nel Fondatore l’appello e il desiderio ancor vago di una più grande bontà, prende contorni sempre più nitidi a mano a mano che questo richiamo viene concretizzato e precisato da altre suggestioni esteriori, provenienti dal mondo e non rifuggendo dal mondo. Su questo punto, ogni forma di vita religiosa latina è stata, fin dall’inizio, antielitaria in maniera radicale e certamente agli antipodi di quella forma di monachesimo orientale rubricabile nel fenomeno iniziato, per esempio, con Sant’Antonio abate.
Detto altrimenti tutti, credenti e non, percepiscono nei Fondatori di un carisma l’immediatezza del loro rapporto con Dio, ma proprio per il fatto che essi hanno voluto rappresentare nelle loro piccole e minute persone l’immagine «umana» del Figlio di Dio: scalzo, con la tunica, povero; elementi che li distinguono chiaramente dai rappresentanti della Chiesa istituzionale non carismatica, come si vede ancora oggi. E da qui sporge anche il punto di svolta che essi hanno impresso alla storia della salvezza e a quella del mondo. I nostri Fondatori avevano davvero visto che l’umanità del Figlio del Padre è esattamente la stessa di un povero qualsiasi. Ma questo modo di entrare in contatto con Dio, guarda caso, sta in perfetta equazione con la modalità con la quale i giovani a noi contemporanei – quelli che vivono ora a cavallo tra il secondo e il terzo millennio – si accostano al soprannaturale, ossia: direttamente, con frugale essenzialità, soprattutto ricercando la divinità nell’umanità dell’«altro», in cui Dio lascia sempre la traccia di sé. In una parola lasciandosi guidare dall’attrazione.
Il bisogno della tenerezza di un fratello non ostile
Proprio a questo limitare affiora il secondo elemento costituente il fondamento trinitario della comunione presente nella vita consacrata, il quale ne fa sporgere la preponderante attualità, essendo senza dubbio la più geniale e inoltrepassabile intuizione della vita religiosa: la testimonianza che è possibile vivere in una famiglia di fede come se fosse una famiglia di carne, possibilità acquisibile nel considerare ciascuno per davvero come un fratello oppure una sorella.
Su questo bisogno, che nel mondo giovanile riveste i panni di un’autentica necessità, si innesta al meglio, oggi più che mai, l’«invenzione» dei nostri Fondatori: ovvero il considerare l’«altro», come il fratello per me. Così ogni consacrato deve considerarsi il fratello più piccolo della grande famiglia che ha Dio per Padre, e questo sottomettendosi a tutti e a tutte le cose create dall’amore del Padre, al fine di gettare le solide fondamenta della vera umiltà nella costruzione della carità, diventando pietre vive del tempio dello Spirito Santo. Anzi, per amore del Padre che è nei cieli, i consacrati devono amare anche – e per primi – quei suoi figli che sono nel peccato[2].
Dar voce alla creazione per gli abitanti della notte che i giovani sono
Vorrei, quindi, introdurre la terza sezione del fondamento trinitario della comunione presente nella vita consacrata, il quale va di pari passo con la terza peculiare caratteristica che erge alla sua propria attualità la figura del religioso e della religiosa: la cura per il bisognoso ovvero per il mondo che è nel bisogno. Questa nuova consapevolezza – è forse truistico farlo notare – ratifica la mentalità tecnica alla quale l’uomo supinamente continua ad adeguarsi; ciò nondimeno essa sporge anche come una rinnovata responsabilità a (dover) proteggere il mondo bisognoso, la natura, in una parola la creazione. E, anche osservato da questo terzo angolo visuale, ogni nostro Fondatore torna quanto mai alla ribalta in tutta la sua attualità e, senza tema di smentita, si propone al mondo giovanile con la potente forza per attrazione, che il rispetto per il creato in esso provoca.
[1] Francesco, Testimoni della gioia, Lettera apostolica di Papa Francesco alle religiose e ai religiosi per l’inizio dell’Anno della Vita Consacrata (28 Novembre 2014), in «L’Osservatore Romano» 154 (2014), n. 276, pp. 6-7.
[2] Cf G. Pasquale, San Francesco d’Assisi. All’aurora di un’esistenza gioiosa. Con una conversazione con Papa Francesco, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2014, 78-92..