La Lettera dal Convento di fra’ Gianluigi Pasquale di oggi venerdì 7 aprile. Dopo la fede, di cui abbiamo parlato nella Lettera precedente, osserviamo la seconda virtù teologale; la speranza.
Molto più di quella contenuta nel vaso di Pandora
Assieme alla fede e alla carità, la speranza costituisce una «virtù teologale» perché è una forza («virtù»), che viene da Dio («teologale»), essendo queste le tre sole realtà che, secondo san Paolo, rimarranno alla fine dei secoli (1Cor 13,13). E non sarà certo un caso che l’illuminato papa Benedetto XVI (1927-2022) abbia dedicato alla speranza addirittura una lettera Enciclica, la «Spe salvi» (2007).La speranza («elpis») non era sconosciuta al mondo antico. Anzi, Esiodo nel mito di Pandora ci racconta che quando questa aprì per curiosità il vaso di tutti i doni, uscirono tutti, tranne la speranza. Come a dire, che questa «è l’ultima a morire», che è un tratto permanente e connotante l’essere umano. Il che, però, non dice nulla, come si intuisce. Il significato bibico e cristiano di «elpis» è, invece, molto più profondo nei suoi tre tratti specifici, perché indica, la certezza di conoscere Dio, la convinzione che egli intervenga nella storia e guarisca l’uomo e il fatto che, alla fine, c’è una meta: l’incontro con Dio per sempre nell’eternità. Osserviamo il primo tratto.
Come sorretti alla mano di Dio Padre
In una delle più importanti catechesi della primitiva comunità cristiana, san Paolo fa presente ai cristiani come prima della conversione essi fossero «senza speranza e senza Dio nel mondo» (Ef 2,12). Essi, cioè, conoscevano alcuni dèi, ma questi erano muti. Diversamente, i cristiani hanno la speranza di aver incontrato il Dio vivo e vero non perché l’abbiano cercato, ma perché Egli si è loro rivelato essendo certi di aver incontrato un “Padre” e, quindi, di poter sperare in lui, come farebbe qualsiasi bambino sorreggendosi alla mano del proprio babbo.
Al di là dei sogni, delle aspirazioni e dei desideri
Il secondo tratto è costitutivo della speranza cristiana, la quale è più dei sogni, delle aspirazioni e dei desideri latenti nell’inconscio e sub-inconscio di ciascuno. È quell’alcunché di positivo e inaspettatoche il buon Dio provvidente inserisce improvvisamente nei nostri giorni e nei nostri progetti, per cui se uno desidera per sé il meglio, Dio gli dà ancora di più in salute, benessere, figli e benedizione. E ciò è così possibile solo a Dio, che agisce e penetra nella nostra storia, modificandola sempre in meglio (Ez37,13). Ecco perché, sapendo di essere accuratamente conservato nelle palme delle mani di Dio, l’uomo, oltre a credere e ad amare, può anche sperare.
«In Te è la nostra speranza, non saremo confusi in eterno»
Il terzo tratto della speranza cristiana è quello che la rende – per così dire – indistruttibile perché ne dichiara, appunto, l’eternità. Si tratta della speranza di poter incontrare Dio faccia a faccia (1Cor13,12), dopo averlo atteso per una vita intera. La speranza di quell’incontro riaccende e rinfocola il desiderio di ogni giorno, cosicché quando mettiamo i piedi giù dal letto al mattino abbiamo la certezza di un giorno nuovo e migliore, in attesa di quello finale. In questo caso san Paolo parla della «certezza di speranza» (Rm 5,5) come la speranza di “poter sperare”, l’unica vera caratteristica che rende l’uomo, appunto, un uomo. Non a caso, da secoli il canto del «Te Deum laudamus», così si conclude, menzionando a proposito la speranza: «Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno».