Festa della Presentazione di Gesù al Tempio
Cari fratelli e care sorelle, al primo piano del nostro Convento di Rovigo vi è una Cappellina dove i Frati sostano in preghiera durante il giorno. In essa sono affissi alle pareti tre quadri molto antichi: un’effige di San Francesco, una deposizione di Gesù dalla Croce e un terzo raffigurante la Presentazione del Bambino Gesù al Tempio: la festa che celebriamo oggi. L’Autore è ignoto, mentre i particolari balzano agli occhi in maniera piuttosto lampante. Al centro vi è il Bambino Gesù, nudo e pare anche un po’ impaurito, offerto con tenerezza da Maria sua madre al vecchio Simeone, mentre sullo sfondo si scorgono Giuseppe, Anna figlia di Fanuele e alcuni personaggi, tra cui degli angeli. Tra i tutti i dettagli, quello che colpisce l’occhio attento è il fatto che, come dice il Vangelo di Luca, Simeone «lo accolse tra le braccia» (Lc 2,28). Il pittore, però, fissa dei limiti: le mani aperte di Simeone non toccano le manine di Gesù, e viceversa. Commentiamo il Vangelo di oggi partendo da questo particolare dell’offrire e dell’accogliere, pur senza toccare, e con questo metodo osserviamo i tre protagonisti.
Il primo protagonista
Senza dubbio il primo protagonista, sul quale l’evangelista Luca attira la nostra attenzione, è Gesù, alla tenera età di quaranta giorni dopo la nascita a Betlemme. Simeone, mosso dallo Spirito Santo, attribuisce al quel Bimbo titoli che, per sé, spettano solo a Dio: «gloria del popolo», «luce di rivelazione» (Lc 2,32), «salvezza personificata» (Lc 2,30). Nel momento in cui Maria e Giuseppe stavano presentando il loro unico Figlio al Tempio di Gerusalemme, queste parole di Simeone annunciano che nel Tempio non vi era più e soltanto una qualche «presenza di Dio», ma la presenza di Dio, in un certo senso Dio stesso. Questa è la ragione che fa stupire il padre e la madre di Gesù per le «cose che si dicevano di lui» (Lc 2,33) e, forse, è proprio per questo che Simeone accoglie Gesù, ma non lo sfiora.
Il secondo protagonista
Il secondo protagonista è, infatti, Simeone che qui rappresenta la punta di diamante di tutta l’attesa del popolo di Israele, anche di quello di oggi. Questo uomo giusto e pio, cioè un uomo onesto sia verso gli uomini che verso Dio, aveva ricevuto una rivelazione interiore: che prima di morire avrebbe visto l’unto, il Cristo del Signore (Lc 2,26). Osiamo presumere che non si sarebbe certo aspettato di vederlo in un Bambino di quaranta giorni. Ma ci chiediamo: perché Simeone esulta? Innanzitutto perché ottenne da Dio di vedere ciò per cui aveva atteso una vita intera, il Messia promesso. Poi, perché, mosso da Spirito Santo, Simeone intuì che aveva a che fare con un “Dio Trinitario” – se così possiamo dire – perché ringrazia Dio, nel contemplare il Figlio in quanto mosso dallo Spirito Santo. Diciamolo meglio: ebbe a che fare con un Dio trinitario perché con un Dio in movimento, che lascia Betlemme ed entra nel Tempio di Gerusalemme. Ma è la terza ragione di esultanza che fa di Simeone un protagonista: l’aver designato quel Bambino «luce [per rivelarti] delle genti» (Lc 2,32). Simeone, compiendo un balzo in alto con la propria fede, capisce che non è più il Tempio di Gerusalemme il centro di riferimento geografico per Dio, bensì il corpicino santissimo di quel bambino che fa prorompere la presenza di Dio dal Tempio di Gerusalemme fuori verso tutti i confini delle genti, proprio come accade per la luce del sole quando si espande in ogni direzione al suo albeggiare. In quel Bambino vi è molto di più delle due tavole contenenti la Legge mosaica, molto di più della presenza di Dio («schekinàh»): vi è, addirittura, Dio. Ed ecco perché non lo sfiora, ma esclama: «nunc dimittis, ora lascia, o Signore, [ora lasciami] che io vada in pace» (Lc 2,29) perché «non ho più nulla per cui attendere e stare quaggiù. Ora so che la Tua salvezza» raggiunge «ogni carne» (Gn 9,16), ogni popolo, ogni singola persona, ogni confine della terra. Con Gesù ogni uomo e ogni donna della terra ha la possibilità di portare in mano la candela con la luce della propria fede e può, così, presentarsi gradito a Dio.
Il terzo protagonista
Il terzo protagonista è sintetizzato nella famiglia composta da Maria e Giuseppe, i quali entrano per primi nel Tempio, anticipando l’entrata successiva di Simenone. Sono essi a presentare Gesù. Come in ogni altra sezione dei Vangeli, loro non parlano mai, se non per dire «fate quello che vi dirà» (Gv 2,5). Per lo più, stanno sempre in silenzio. Eppure parlano, operando. Avrebbe dovuto soffrire molto Maria, la madre di Gesù, nei futuri eventi dell’arresto, della passione e della morte di Gesù. Quante calunnie si sarebbe sentita dire sul conto del proprio unico figlio fuori dalla fortezza Antonia, luogo del processo fasullo intentato dai Sommi Sacerdoti, dai Giudei e da Ponzio Pilato in quella stessa città a Gerusalemme. Quanto sangue avrebbe visto uscire dal suo corpo flagellato e, successivamente, inchiodato sulla Croce. Per questo «anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,35b). In quel corpicino di quaranta giorni presentato al Tempio, è racchiusa e anticipata, dunque, tutta l’innocenza del Figlio di Dio, ma anche ogni singola carne, ogni persona a cui Dio abbia suggerito di offrire se stessa in obbedienza, povertà e verginità, appunto, a maggior gloria di Dio: frati, suore, mariti, mogli e qualsiasi creatura umana che creda ancora nel valore dell’essere innocenti, del sapersi offrire e del soffrire.
Il significato
Il significato profondo della Presentazione di Gesù al Tempio sta proprio qui: nell’offrire la propria vita e il proprio corpo unendolo a quello di Gesù Bambino, sollevato da Maria verso il Tempio, non toccato da nessuno, tranne che dalla santità di Dio affinché la Sua luce – la luce di Dio – renda la nostra esistenza una candela sempre accesa, fino al giorno che Egli vorrà. Così sia.