Giacinta Marto è la più piccola dei tre veggenti. Al momento delle apparizioni ha solo sette/otto anni, essendo nata nel Marzo del 1910. Il suo primo tratto biografico sta nel fatto di cominciare a desiderare, fin dall’inizio delle apparizioni, di prendere parte alle sofferenze di Gesù; il secondo nel fare penitenza «in riparazione» delle colpe dei peccatori, con una passione compassionevole per la loro salvezza (la goccia che fece traboccare il vaso fu l’impressionante visione dell’inferno del 13 Luglio 1917) e convertendo in offerta d’amore a Gesù e a Maria l’accettazione di tante cose o situazioni spiacevoli, anche del proprio disagio fisico. Giacinta si sentì – per così dire – attratta dal Cristo servo di Dio e degli uomini, per cui assunse un atteggiamento di generosa dinamica oblativa e riparatrice, di cui è verosimile che la causa scatenante sia da rintracciarsi specialmente nelle visioni/apparizioni mariane. Ai nostri giorni sarebbe impensabile, eppure è vero che la piccola Giacinta offrì a Gesù ogni tipo di realtà, sia quelle piacevoli, che quelle spiacevoli con l’intenzione di favorire la salvezza dei peccatori e sostenere il Santo Padre (il Papa). Giacinta, più in particolare, prese parte alla passione e alla croce di Cristo con il suo modo di affrontare la malattia e la morte. Infatti, dopo la pleurite purulenta che la piegò in due e che durò dal 1° Luglio a tutto il mese di Agosto del 1919, nel fianco sinistro le si aprì addirittura una fistola, dalla cui piaga usciva pus abbondante. L’anno seguente, esattamente il 1° Febbraio 1920, le furono asportate, con la sola anestesia locale, ben due costole distrutte dal male, mentre il successivo venerdì 20 Febbraio 1920 il Parroco, dopo averla confessata, le assicurò che sarebbe tornato il giorno dopo per portarle la Santa Comunione. La sera stessa, però, attorno alle 22:30, arsa dalla disidratazione del corpo e, quindi, dalla sete per quelle disagiate condizioni fisiche, Giacinta morì sola come era morto solo Gesù rimasto così sulla croce. Giacinta, insomma, seppe offrire al Signore e alla Vergine anche quella solitudine, come aveva fatto di tanti altri patimenti precedenti, perfino la sete (Gv 19,28), sopportata come Gesù per la salvezza dei peccatori. Infatti, avviene sempre così: tutte le volte che una persona di fede affronta i momenti crocifiggenti della vita «con gli stessi sentimenti di Gesù Cristo» (Fil 2,5), lo Spirito Santo la conforma a Cristo.
Francesco si unisce a Cristo, «nascosto e silenzioso»
È impossibile non rimanere un tantino commossi dinnanzi alla vicenda umana che «travolse» il piccolo Francesco Marto. Vediamone i contorni e, quindi, comprenderemo la ragione di questa affermazione. Le visioni interiori di Francesco, nato nel Giugno 1908, si caratterizzarono per un silenzio «assordante». Ovvio che «da profeta» Francesco aveva le stesse visioni di Giacinta e di Lucia, tuttavia non «sentiva» né le parole dell’Angelo della pace, né quelle della Vergine, ma solo quelle di Lucia, che dialogava con entrambe le figure personali: fu proprio il silenzio a connotare la sua esistenza e non vi è dubbio che è un segno luminoso di umiltà il fatto che Francesco abbia accettato in silenzio questa notevole differenza rispetto alle due bambine. In realtà, il fanciullo era timido e riservato di suo, schivo nel parlare con gli altri, nella preghiera preferiva contemplare o – come dichiarava egli stesso – amava «pensare». Ancora prima delle visioni mariane, cominciò a ritirarsi a pregare in silenzio, talvolta restando a digiuno, in luoghi isolati, proprio come Gesù che prediligeva pregare in «luoghi deserti» (Lc 6,12), appartati (Lc 9,18) o anche montuosi (Lc 6,12). A questo proposito, non bisogna dimenticare un dettaglio, di indole geografica: la somiglianza tra Aljustrel, il villaggio natale dei tre profeti bambini, situato «in un angolo sconosciuto della Serra do Aire»[8] e Nazareth, un villaggio rurale di circa cinquecento persone, proverbiale perché da esso non sarebbe potuto venire nulla di buono (Gv 1,46). Francesco, insomma, rispecchiava Gesù «mite e umile di cuore» (Mt 11,29). Sapeva tacere davanti agli scettici che davano dell’imbroglione a lui, mentre egli, invece, era sempre stato sincero. Evidentemente Gesù lo stava preparando a qualcosa di più grande. Di lì a poco, Francesco fu colpito nell’ottobre del 1918 dalla «spagnola», morbo terribile che egli seppe sopportare con fede grazie alla forza della «croce», radicata in lui per una fine devozione all’eucarestia. Degenerata in polmonite e poi in un terribile mal di testa, la malattia lo portò alla morte, il 4 Aprile 1919, anch’egli di venerdì, alla pari di Giacinta. Francesco patì e soffrì molto, «senza mai lasciarsi sfuggire un lamento, né un gemito»[9]. Morì dopo aver affrontato nel nascondimento tali patimenti «per» Gesù, ossia per «consolarlo», ma anche «come» Gesù. Da varie testimonianze appare come Francesco fosse affascinato dal Cristo eucaristico, che amava chiamare «Gesù nascosto», Anzi, il desiderio dell’eucarestia giunse nel bambino all’acme del pianto dirotto, quando gli fu impedito dal Parroco di fare la prima comunione per le sue ripetute distrazioni – «contemplative»! – a catechismo. Tuttavia, in tutte queste esperienze lo Spirito operò per conformare gradualmente Francesco Marto a Cristo, preparandolo in modo misterioso alla prima e ultima comunione, ricevuta a casa sua il giorno prima della morte, occorsa il 3 Aprile 1918. Senza tema di smentita, si può, dunque, dichiarare che l’intento di Francesco fosse oltremodo più «cristocentrico» di quanto si possa pensare: il bambino volle soprattutto «consolare» Gesù e anche Maria, entrambi rattristati dalle offese degli uomini. Ma, appunto, in quel silenzio che fu di Cristo Gesù. E di molti bambini, anche oggi presenti nelle terre martoriate e crocifisse della terra.
Lucia obbediente a Cristo, «fino alla fine»
La cornice esistenziale di Lucia è, invece, diversa. Morti Francesco e Giacinta, Lucia (28 Marzo 1907-13 Febbraio 2005) è rimasta in vita a lungo per continuare la comune missione profetica all’interno della Chiesa: diffondere la devozione al Cuore Immacolato di Maria attraverso la cosiddetta pratica dei primi cinque sabati del mese, e chiedere al Papa e alla Chiesa di consacrarle la Russia. A tal fine, nella visione del 13 Luglio 1917 ha preso forma la «pedagogia del segreto», del quale per decenni Lucia resta l’unica depositaria. Il Teologo nota qui un triplice tratto distintivo nel perseguire questa pedagogia. In primo luogo, il compito affidato a Lucia fu molto arduo dato il contesto della Chiesa di allora, soprattutto perché affidato a una donna che ben presto divenne suora; in secondo luogo, suor Lucia, pur continuando a parlare profeticamente alla Chiesa in nome di Dio, le rimase obbediente «fino alla morte» (novantotto anni); da ultimo, gli inizi di questa «missione ecclesiale» furono tutt’altro che semplici: dagli oltraggi dei primi tempi inflittile dagli increduli, inclusa sua madre, non mancò mai una certa «prudenza» – talvolta diffidente – dei romani pontefici rispetto alle richieste della Madonna.
Ciò nonostante, fu proprio grazie alla presenza di queste «barriere» se oggi noi possiamo affermare esserci stata una maturazione nella spiritualità da parte di suor Lucia. Primariamente è una spiritualità – come si cominciò a dire da allora – «ad Jesum per Mariam». Pensando, poi, alle tre visioni dell’Angelo della Pace nel 1916, diventò molto intenso il legame affettivo dei bambini profeti non solo al «Cuore» di Maria, ma anzitutto a quello di Gesù, e questo soprattutto in Lucia. In terzo luogo, vi è la costante presenza della luce, proprio come dichiara il nome della terza veggente da noi presa in considerazione: nelle visioni del 13 Maggio, 13 Giugno e 13 Luglio 1917 – così scrive Lucia – «ci faceva [la Madonna] vedere noi stessi in Dio, che era quella luce», in quella del 13 Luglio «penetrando addirittura la terra» per illuminare di speranza persino la scena dei dannati all’inferno, che altrimenti sarebbe risultata unicamente terrificante per bambini come Giacinta, Francesco e Lucia. Infine, nel suo modo di seguire «Gesù nascosto» nel nascondimento, prima di un convento e, poi, di un monastero, Lucia cercò di «diminuire» sempre di più, per far crescere Cristo in sé e negli altri.
Alcune conclusioni: Fátima porta a Cristo
Le apparizioni mariane di Fátima, sulla base di quanto finora dimostrato, puntano a un effettivo cristocentrismo. E penso sia questo il vero motivo per cui Papa Francesco ha deciso di dichiarare santi Giacinta e Francesco. «Cristocentrismo» non significa semplicemente mettere Gesù Cristo al centro di tutto, bensì come il centro di tutto. Ciò implica per ogni cristiano e cristiana, sapere, innanzitutto, partecipare alla «passione di Cristo» per salvare tutti gli uomini di tutti i tempi, passione redentrice, tuttavia, alla quale non manca nulla: a questa partecipazione nessuno di noi sarà escluso, prima o poi. Con «ciò che manca», si intende quel che manca in noi, in me (Col 1,24) – ovvio non in Cristo –, ossia la piena e consapevole capacità di affrontare i patimenti della vita con «gli stessi sentimenti che furono di Cristo» (Fil 2,5). Tradotto ulteriormente: portare la propria croce con gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù, rende più simili a Cristo, invita a «correre da lui» (2Cor 4, 14), fenomeno che vediamo spesso anche nel «Pellegrinaggio dell’ammalato» presso il nostro Santuario Mariano di Thiene (VI) osservando certi anziani e/o giovani in carrozzella, che tali sono senza pur lamentarsi. Per noi oggi, vi è, insomma, una consolante conclusione che possiamo trarre osservando i tre pastorelli fanciulli. Ed è questa: Giacinta, Francesco e Lucia, da profeti cristiani quali erano, sono stati primariamente imitatori di Cristo, sue memorie viventi, originali e creative, come potremmo essere noi. In questo modo, hanno portato a termine la loro missione profetica, consentendo al Risorto di esercitare, per mezzo di loro, sulla Chiesa una forte attrazione centripetaverso l’amore trinitario. E ci hanno lasciato questo messaggio: c’è salvezza solo nel «sì» detto «di cuore» a Cristo, come fece per tutta la vita Maria di Nazareth, apparsa a Fátima. Siccome sono stati dei bambini a consegnarci questo messaggio, oggi esso diventa ancora più con-vincente.
[2] Papa Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium (n. 286; n. 288, del 24 Novembre 2013). Introduzione di Mons. Marcello Semeraro, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2013, pp. 281-283; 284-287.
[3] «Le vostre facce sono state per la vostra fede più dannose delle vostre ragioni. Se il lieto messaggio della Bibbia vi stesse scritto in viso, non avreste bisogno di esigere così costantemente fede dall’autorità di questo libro»: F. Nietzsche, Umano troppo umano, II, Mondadori, Milano 1976, p. 39.
[4] Precedentemente se ne occupò in parte Prospero Lambertini (1675-1758), il futuro Benedetto XIV, nel De Servorum Dei Beatificatione. Ad perpetuam rei memoriam, s.n., Romae 1742, il quale inserì il principio dell’«assentimento di fede umana» che colloca le apparizioni in un contesto neutrale, fuori dalla Rivelazione divina (storia della salvezza).
[5] L’ultima parte del «segreto» di Fátima fu pubblicata con le altre due parti come Supplemento a L’Osservatore Romano 140 (2000) n. 161, del 26-27 Giugno 2000.