«Maria è colei che sa trasformare una grotta per animali nella casa di Gesù, con alcune povere fasce e una montagna di tenerezza. Lei è la piccola serva del Padre che trasalisce di gioia nella lode. È l’amica sempre attenta perché non venga a mancare il vino nella nostra vita. È colei che ha il cuore trafitto dalla spada, che comprende tutte le pene. […] Vi è uno stile mariano nell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Perché ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti. Guardando a lei scopriamo che colei che lodava Dio perché “ha rovesciato i potenti dai troni» e “ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1,52.53) è la stessa che assicura calore domestico alla nostra ricerca di giustizia»[2]. Sono certamente queste le migliori espressioni del recente magistero pontificio che pongono tra loro in equazione il ruolo di Maria di Nazareth che è entrata nella nostra storia e il significato teologico della visioni private di cui sono spettatori alcuni fedeli, anche negli ultimi anni. Il tessuto linguistico di Papa Francesco, peraltro, suona così positivamente dirimpettaio alla nefasta previsione di F. Nietzsche (1844-1900), addossata oltre centoquarant’anni fa a coloro che si riconoscono nell’egida di essere cristiani[3]. Questo articolo vuole essenzialmente rispondere alla seguente domanda che gode di un’originale attualità: qual è il ruolo delle rivelazioni private rispetto alla Rivelazione cristiana, ultima e definitiva, realizzatasi in Gesù Cristo? (Dei Verbum n. 4). Per farlo, muoviamo dal caso particolare di Fátima, ossia dalle apparizioni mariane, riconosciute dalla Chiesa, e, quindi, non da qualsivoglia «visioni del soprannaturale» in generale. Potremo così ottenere i criteri generali utilizzati dalla teologia, che pur interessano a molti fedeli, e capire se le visioni private illuminano od oscurano la Rivelazione cristiana ufficiale, ovvero tutto ciò che Gesù Cristo ci ha detto di Dio Padre nello Spirito Santo.
Solo di «recente» il Magistero si pronuncia sulle visioni e sulle apparizioni
È sempre opportuno conoscere un po’ di storia per comprendere appieno il presente. E qui ci si imbatte d’abbrivio dinnanzi a una scoperta piuttosto interessante. Il Magistero (l’insegnamento dei vescovi e dei Papi) iniziò a interessarsi a questo tema specifico soltanto dopo San Pio X (1835-1914)[4] e, più precisamente, con Pio XII (1876-1958) e San Giovanni Paolo II (1920-2005), il quale indicò ai fedeli la possibilità di credere alla veridicità di taluni fatti, inerenti le apparizioni mariane. Eravamo, infatti, nel pieno del Grande Giubileo dell’Anno Duemila. Tra le varie iniziative messe in cantiere – ricordiamo soltanto le celeberrime «richieste di perdono», – Karol Jóseph Wojtyła desiderò che si rendesse pubblico il contenuto del «terzo segreto» di Fatima, anche se, a dire il vero, non si può parlare di un contenuto esplicito vero e proprio, tale da potersi classificare tra i segreti svelati. Su quest’ultima affermazione ritornerò a breve. Con questo intento, Wojtyła incaricò l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede Card. Joseph Ratzinger (*1927) a rendere noto Il messaggio di Fátima il 26 Giugno 2000 preceduto da un’interessantissima «Introduzione Teologica»[5]. È da questa che dobbiamo partire.
Comprendere cosa è la «profezia neotestamentaria»
Con la finezza che gli è propria, il futuro Benedetto XVI, trattando assieme visioni private e apparizioni, fu molto esplicito nel ribadire che entrambe non appartengono al «deposito della fede» (le verità del cristianesimo) e che il loro ruolo non è quello di «completare» la Rivelazione, bensì di «aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica», come recita appunto il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC n. 67); con molta precisione, esse non richiedono un assenso di fede (essere d’accordo che), ma un «as-sentimento (prestare attenzione a) di fede umana, conforme alle regole della prudenza»: si tratta – scriverà Benedetto XVI più avanti – di «un aiuto che è offerto, ma del quale non è obbligatorio fare uso» («Verbum Domini» n. 14)[6]: esattamente questa del consenso/assentimento è la distinzione che è diventata famosa nella spiegazione ratzingeriana assieme all’orientamento a Cristo [ad Jesum per Mariam] che delle visioni/apparizioni dice la loro veridicità e, quindi, il fatto di possedere un valore per l’orientamento al bene. Al di là di tutto, però, è il riscontro se esse rientrano in quella che si chiama la «profezia neotestamentaria»[7], oppure no, la possibilità che ci è data per fare discernimento e, quindi, ipotizzare che le visioni/apparizioni abbiano anche un valore morale, nel sapersi per noi comportare meglio. Mi spiego: la profezia del Nuovo Testamento è l’esatto contrario delle premonizioni, dei vaticini futuri, delle previsioni, ossia proprio di quei «messaggi» che, solitamente, si leggono in alcuni passi dell’Antico Testamento, e che oggi sono la «materia prima» di cartomanti, astrologi, oroscopi e, purtroppo, talvolta anche di presunti «veggenti» (o visionari). Dove sta la differenza? Le prime incutono timore, generano, ansia, creano insicurezza e instabilità, provocando, in ultima istanza, nel soggetto la necessità indotta a (dover) rivolgersi nuovamente a un nuovo vaticinio, proprio come fece il Re Saul (1Sam 28,6), quantunque il medesimo Antico testamento avesse continuato a mettere in guardia dal ricorrere a indovini e negromanti (Dt 18,10-12) Al contrario la profezia neotestamentaria include dei messaggi di consolazione – sia detto di passaggio Maria di Nazareth è sempre «sorgente di consolazione e di sicura speranza», come recita la liturgia – di incoraggiamento e accorpa la comunità cristiana attorno alle tre virtù teologali della speranza, della carità e della fede. Se un teologo dovesse analizzare dei «messaggi» appartenenti alla prima tipologia, a fianco del testo deve scrivere: «non placet» (sono, cioè, erronei) o «placet iuxta modum» (conviene controllare che non vi siano errori); a fianco dei secondi, invece, può scrivere «placet», indicando per ciò stesso che il testo del messaggio può eventualmente essere preso in considerazione.
Il «genere» della visione o della apparizione
Abbiamo, dunque, compreso che le visioni o rivelazioni private rientrano nella categoria di «profezia» a partire dal tipo di messaggi che esse contengono, cosicché, se positivi, hanno pure un valore morale: sollecitano il veggente a rivolgersi al proprio mondo circostante e ultimamente alla Chiesa. Una parola va spesa, però, anche per l’uomo o la donna soggetto che «vede» perché il fenomeno delle visioni e delle rivelazioni private in generale è radicalmente diverso dalle apparizioni con le quali Gesù Cristo risorto si mostrava vivo ai suoi discepoli (At 1,3). Nel primo caso – quello che qui ci interessa – conviene considerare la struttura antropologica, poiché la visione accade mediante i sensi, la percezione interiore, o attraverso una visione spirituale. Detto in maniera piuttosto semplificata, la visione e la rivelazione interiore rientrano nella «categoria di mezzo» che ha per il veggente una forza di presenza di visualizzazione di veri oggetti che toccano l’anima, essendo la sintesi dell’impulso proveniente dall’alto, la quale, però, porta in sé anche i limiti del destinatario che percepisce. In una parola: nelle visioni o nelle rivelazioni il veggente può sbagliarsi, nelle apparizioni di Gesù Cristo risorto non vi è (stato) errore semplicemente perché il soggetto delle prime è umano, quello delle seconde è Dio in persona. Il che costituisce un elemento discriminante di non poco conto.
L’unicità di quelle di Fátima
Ed eccoci arrivati al «caso di Fátima» (Portogallo), quello che ci interessa di più, nel primo centenario dalle apparizioni (1917-2017). Qui, infatti, abbiamo a che fare con delle visioni e apparizioni singolari perché i destinatari sono stati dei fanciulli in tenera età: Giacinta Marto, Francesco Marto e Lucia dos Santos, i primi due canonizzati da Papa Francesco lo scorso 13 Maggio 2017, creando un «unicum» nella storia dopo duemila anni di cristianesimo perché sono i primi due bambini non martiri dichiarati «santi». In realtà, era stato proprio Joseph Ratzinger a precisare, ancora nel 2000, che: «forse si può [così] comprendere perché proprio i bambini siano i destinatari preferiti di tali apparizioni: l’anima [loro] è ancora poco alterata, la sua capacità interiore di percezione è ancora poco deteriorata». Insomma, proprio perché si tratta di fanciulli, le visioni profetiche di Fátima trattengono delle caratteristiche davvero peculiari: in primo luogo sono l’esito contemporaneo di un’originaria comunicazione dello Spirito e di una conseguente mediazione umana da parte dei bambini profeti; in secondo luogo, si presentano come quel carisma profetico neotestamentario – cui abbiamo fatto cenno prima – che viene dato da Dio alla Chiesa per edificarla nella fede, speranza e carità; infine, appare chiara la relazione tra l’opera vivificante dello Spirito e la maternità universale della Vergine, così come è esercitata a Fátima. Le parole della Vergine sono state «tradotte» e comunicate dai tre veggenti nella visione del 13 Luglio 1917, con altre nove visioni tra il 1916 e il 1917, alle quali andrebbero aggiunte le altre tre avute da Suor Lucia a Pontevedra e a Tuy, ma specialmente dalla testimonianza delle loro esistenze. In generale vi è, dunque, un «filo rosso» comune tre lega tra loro le visioni dei tre pastorelli fanciulli che sta nel loro essersi resi progressivamente conformi all’immagine, non della Vergine, bensì a quella di Cristo. Ciò che è interessante notare, però, è il fatto che ciascuno dei tre – Giacinta, Francesco e Lucia – possegga una connotazione personale e specifica nell’aver assunto, dopo le visioni/apparizioni, la forma di vita che fu di Cristo Gesù (Rm 6,3-5) e che, almeno per chi qui scrive, costituisce ciò che di più ecclesialmente rilevante ci si possa aspettare dopo Fátima, quale «messaggio» consegnato a ciascun lettore e lettrice. È l’ultimo passo che ci spetta di compiere alla fine. (segue).
La seconda parte di questa analisi verrà pubblicata venerdì prossimo.