Un unico libro, un’unica promessa. Quasi un’unica corsa. L’Antico Testamento non si contrappone al Nuovo (come credeva Marcione), anche se è inevitabile vedervi qualche incongruenza, dovuta a vari fattori. Compimento dell’antico è il nuovo, prefigurazione dell’antico è il nuovo e, leggendo il Vangelo, possiamo scoprire che, se cerchiamo da dove la Chiesa, a partire dai Padri1, abbia scelto tale criterio, scoprire che l’origine è proprio il Verbo incarnato è come questi si rapporti alle Scritture.
Una “bussola”
Specie quando maneggiamo un brano proposto dalla liturgia, è importante collocarlo al suo posto, affinché non sia come un arnese estratto casualmente dalla cassetta degli attrezzi, perché non può mai esserlo. Ogni evangelista, nella stesura della sua opera, ha sempre avuto cura di scegliere come collocare i frammenti, scritti ed orali della narrazione su Gesù di Nazaret che già erano in circolazione. In questo caso, siamo quasi alla fine (ci fermiamo al quartultimo versetto) del ventiquattresimo capitolo di Luca: appena prima dell’Ascensione e poco dopo l’apparizione alle donne, ai due discepoli di Emmaus ed infine agli apostoli.
Mosè, Profeti e Salmi
«Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi» (Lc 24, 44)
Compimento e prefigurazione: questo il rapporto (sicuramente “sbilanciato”, o, comunque, asimmetrico, nella lettura cattolica delle Scritture2).Comparando la storia dell’umanità a quella del singolo, un principio generale potrebbe aiutare nella comprensione: la progressività. Così come ad un bambino di due anni non puoi pretendere di insegnare a leggere e scrivere, così ad uno studente universitario non puoi pensare di insegnare come se non avesse mai aperto un libro. Ciò aiuta – credo – a comprendere anche una certa progressione nella rivelazione di Dio: dice della premura di non dire tutto subito, perché “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso” (Gv 16, 12). Al contempo, racconta anche dell’autocoscienza che Cristo ha di sé. Sa di essere il compimento delle antiche profezie e lo ripete spesso3.
Aprire la mente
Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture (Lc 24, 45)
Questo passo ci ricorda una aspetto che alle volte dimentichiamo. Non siamo soli, di fronte alla Scrittura. Né possiamo illuderci che stia soltanto in noi lo sforzo per la comprensione. L’accesso ai misteri di Dio è una grazia, cui ci fa partecipe il Figlio di Dio, come di un dono che non è una ricompensa. È nella familiarità con lui che anche la Scrittura diventa più conforme a noi. Basti pensare all’esperienza dei discepoli di Emmaus: senza l’esperienza pasquale, la vita stessa di cristo risulta un enigma. Perché è più della fine coerente di un grande uomo e non è solo la vita donata per amore. In lui, tutte le Scritture convergono, dando ragione delle promesse di Dio e del suo disegno di salvezza per l’umanità
Il kerygma
Ecco perché quanto segue, nella narrazione è una sintesi efficace di quello che è l’evento principale (il kerygma) e – insieme – il senso della venuta di Cristo: passione, morte e resurrezione sono il preambolo dell’annuncio che la chiesa ha compiuto e continua a compiere. Come una corsa senza sosta, da qui all’eternità.
Testimoni, nello Spirito
La pericope si conclude con ha una chiosa che ha il sapore di un invio4. “Avete visto, avete sperimentato. Ora tocca a voi”. Ma con una precisazione: non sarete soli. Se Matteo chiude il Vangelo con il suo: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»5, in Luca c’è la promessa dello Spirito.
Unità trinitaria
Inviato nel nome del Padre, compiuta la missione che è propria del Figlio, quest’ultimo “lascia spazio” alla missione che è propria dello Spirito Santo: consigliare, ricordare, istruire, formare i discepoli per la nuova avventura di Cristo, che, tutt’ora, cammina con le gambe della sua Chiesa. Che sono le nostre gambe, i nostri piedi, le nostre mani, le nostre menti, la nostra vita.
Il volto di Cristo
Siamo noi, oggi, il volto di Cristo che anche i “lontani” possono vedere. Perché, come dice san Giacomo nella sua . È attraverso ciascuno che può nascere la curiosità, il desiderio di capire se, davvero, ancora adesso, il figlio del carpentiere di Nazaret, che è il Cristo di Dio, possa rispondere al desiderio di felicità dell’uomo.
Nel nome di Giovanni Paolo II
Giovanni Paolo II, proprio il 22 ottobre 1978, all’inizio del suo Pontificato, ne era assolutamente convinto, quando pronunciava queste famose parole:
«Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!
Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa!»6
Non si può, ovviamente, crogiolarsi in un ricordo del passato, per quanto si tratti solo del secolo scorso. Il mondo di oggi è senz’altro diverso. La sfida è quella di rendere ragione della stessa speranza, ancora oggi. Di mostrare la Parola Viva di Cristo: di cambiare il linguaggio, compiendo quella stessa operazione di inculturazione compiuta dai Padri Greci e Latini, senza intaccare la sapienza della Tradizione e la testimonianza verace a Cristo.
Un martirio non impossibile
È possibile: testimoni veraci in tempi e luoghi difficili ce ne danno la prova. Pensavamo che il martirio fosse ormai una pratica archiviata, dei tempi antichi o, al massimo, del secolo scorso, ai tempi del nazismo. Gli eventi più recenti ci costringono a ricrederci. Il cardinal Pierbattista Pizzaballa (OFM, Patriarca latino di Gerusalemme), nella sua offerta di scambio con bambini ostaggio ricorda da vicino, il vescovo Ignazio7: in un mondo che si muove guerra, incapace di vedere il perdono, se non come una chimera, offrire la propria vita, amandola, è la testimonianza più credibile di Cristo che possiamo offrire. (Sulla strada di Emmaus).
1 La sintesi più famosa è forse quella agostiniana: «Il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico, mentre l’Antico è svelato nel Nuovo» (“Novum in Vetere latet et in Novo Vetus patet”): da AGOSTINO, Quaestiones in Heptatheucum, 2, 73 in PL 34, 1887, p. 263
2 Che, però, vien da pensare sia anche quella “di Gesù”, anche solo tenendo conto dell numerose introduzioni in cui il Maestro pronuncia il celeberrimo “ma io vi dico”: nei sinottici contiamo complessivamente dodici occorrenze, in Giovanni tre.
3 A titolo d’esempio: Mt (4,10; 11,10; 26,24; 26,31), Mc (1,2; 7,6; 9,13; 14,27), Lc (4,4.8; 7, 27; 19,46), Gv (8,17)
4 Pur non essendolo in modo esplicito, come per gli altri evangelisti (cfr. Mt 28, 19-20; Mc 16,15 o Gv 20,21): nel vangelo di Luca, prevale la presa di coscienza che già la loro esperienza della Resurrezione di Cristo è universali e li costituisce missionari.
5 Mt 28, 20
6 Omelia di Giovanni Paolo II, per l’inizio del suo pontificato, 22 ottobre 12978
7 IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Lettera ai Romani : «Vi prego, non mostratemi un affetto intempestivo: permette ch’io sia cibo alle belve, per guadagnarmi Dio. Frumento di Dio io sono, e maciullato dai denti delle fiere, per trasformarmi in puro pane di Cristo. […] Io vado in cerca di Colui che è morto per noi: voglio Colui che per noi è risorto. » da Epistolario di Ignazio di Antiochia, contenuto in “Scrittori cristiani antichi”, Roma, Libreria di cultura, Capp. 4,1; 6, 1 pp. 93,95.
Rif. Vangelo festivo ambrosiano, nella I domenica dopo la Dedicazione
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