La terza domenica, nel rito ambrosiano, è caratterizzata dalla figura di Abramo che, ancora oggi, rimane un personaggio importante, riferimento di tutte e tre le religioni monoteiste del mondo.
Il brano presenta una discussione aspra e sferzante, che richiama chiunque pensi – s’illuda? – di credere “a” Cristo1a una riflessione sul proprio rapporto con la verità – e l’autenticità –.
Un’annotazione
Prima d’ogni ulteriore discettazione, è bene renderci conto, infatti, chi siano gli interlocutori del rabbi di Galilea. Il brano non lo nasconde, anzi lo rende noto dal principio: si tratta di «quei Giudei che gli avevano creduto»2. Persone cui aveva già parlato, che già avevano ascoltato al sua predicazione e che, quindi, avrebbero dovuto iniziare a familiarizzarsi con il suo stile, il suo linguaggio duro e le sue pretese. Non gente qualsiasi. Non estranei assoluti. Ciò potrebbe portarci alla prima riflessione sul fatto che i primi a fraintendere chi sia Gesù, il Cristo, sia proprio chi lo ascolta, chi fa capannello attorno a lui, chi – magari – dà tutta l’impressione di essere assiduo e costante, nella frequentazione delle sue parole. Ma è la Scrittura stessa a metterci in guardia da questo rischio: non basta solo ascoltare, se non poniamo mente, cuore e volontà nella disposizione della sequela3.
Gesù, il superbo
Il dialogo coi Giudei, serrato e incalzante, mette a nudo lo scandalo di Cristo. Assuefatti alla religione, finiamo con il non percepire quale sia realmente la cifra della fede e la sua posta in palio. Gesù, detto il Cristo, il figlio del carpentiere, ha l’ardire di affermare, senza mezzi termini, di essere il figlio di Dio e di avere conosciuto i patriarchi. Avvicinando la Bibbia come un romanzo fantasy, rischiamo di non comprendere le conseguenze di certe approssimazioni. Approssimativamente, la distanza tra Abramo e Gesù, anche qualora il primo fosse esistito, è di circa due millenni. È evidente che dire di averlo conosciuto suona dissacrante, se non blasfemo.
Gesù, il Cristo
Lasciando emergere le implicazioni, dirette ed indirette delle vicende di Gesù, capiamo cosa comporti credere in lui. Non solo: nella sua predicazione. Leggendo la Scrittura, in modo disincantato e provando ad immedesimarci in quanto accade, pare evidente che siamo messi alle strette e costretti a scegliere. Se una persona, vissuta nel I secolo, afferma di averne conosciuta una di migliaia di anni fa, è evidente che le opzioni possibili sono solamente due. O dice il vero (è il figlio di Dio, preesistente, Dio come il Padre, che si è incarnato ed è morto, per la salvezza di ogni uomo) ed allora può essere fondamento della vita spirituale dei miliardi di persone che ne hanno seguito le orme, oppure si tratta si un esaltato, di un pazzo scriteriato, per di più saccente ed arrogante, che si vede come un dio, pur non essendolo. È drastico, ma inevitabile, fronteggiare questa scelta.
Gesù, «Samaritano»
No, nonostante troviamo questo brano circa quattro capitoli dopo l’episodio della samaritana, non è direttamente relazionato ad esso: Gesù non è chiamato “samaritano”, per il colloquio intercorso con la samaritana al pozzo4. Piuttosto, possiamo vedere in quest’epiteto la conferma di come, all’epoca, i rapporti fossero tesi, tra le due hairesis ebraiche, che, spesso vedevano l’altra (reciprocamente) come opposta ed antagonista. Probabilmente, per fare un parallelo storico, l’equivalente potrebbe essere tra cattolici e luterani nel Cinquecento, oppure tra cattolici e catari, nel Duecento. Insomma: dal punto di vista religioso, va considerato come il massimo insulto possibile. O quasi.
Gesù, «indemoniato»
Quasi, per l’appunto. Perché l’unico altro epiteto pensabile che possa superare il precedente è istituire una relazione diretta con Satana: il divisore, l’oppositore, il nemico di Dio per eccellenza. Quale altro modo migliore per screditare la predicazione di Cristo se non la parentela col demonio? È interessante notare, del resto, come, trovare un’espressione anche nel vangelo di Matteo5: segno che lo scontro tra Cristo e Satana fosse, al contrario, piuttosto acceso e che, dal punto di vista del Nemico, fosse necessario screditare il proprio avversario, per contrastare l’edificazione del Regno di Dio.
Io-Sono
Dio è la fonte dell’essere, l’essente per eccellenza, il datore dell’essere e colui a cui ogni ente attinge, per poter nutrire la propria vita. Dire “Io-Sono” è, per qualunque ebreo, una dichiarazione fin troppo chiara.
Gesù dichiara quella divinità, che, se è solo un’invenzione umana, non è altro se non un accumulo immenso di superbia, mentre, se si tratta di un’autentica verità, comunica – al contempo – l’incessante amore di Dio per l’uomo e l’incredibile straordinarietà del paradosso cristiano, che sostiene di poter trovare Dio in un uomo, perché Dio ha liberamente scelto di rendersi vicino all’uomo, per farsi conoscere da lui.
Primo tentativo: fallito
Assistiamo al primo tentativo di eliminare un predicatore non allineato. Le cui pretese non collimano con il benessere del suo uditorio. Paradigma dell’insorgenza della violenza. Quando le parole ci mancano, quando il fastidio e la rabbia cresce, la soluzione che, spesso, sale alla ribalta è quella più vile, più feroce, più animalesca. Meno umana. Dare sfogo alla violenza. Quando non riesco a combattere un discorso, allora combatto chi lo ha escogitato. Così non potrà idearne di altri. Ed io potrò finalmente trovare quiete e pace, senza più “pulci nell’orecchio” ad infastidirmi.
Eppure, il tentativo fallisce. È solo il primo. Ve ne saranno altri. Sappiamo che molti inizieranno ad agire, nell’ombra, per cogliere in fallo il rabbi di Nazaret dalle parole affilate, così vicine alla bestemmia. Se in bocca ad un uomo, sono arroganza incarnata. Se in bocca a Dio, sono la testimonianza del suo amore. Se in bocca al Figlio di Dio incarnato, sono sfida ad ogni verità umanamente afferrabile.
Verità: solo una parola?
Verità, che rende liberi. Una parola scomoda, di cui non tutti sono disposti a pagare il prezzo, che è – sempre – richiesto in prima persona. Il primo è quello di mettere in discussione le proprie certezze, lasciarsi interrogare, non confidare solo sulla “carne e sul sangue”6, ma scegliere, personalmente e quotidianamente, la sequela di Cristo. È la quotidianità, con le nostre piccole-grandi scelte, che dicono chi siamo. Perché abbiamo una storia alla nostre spalle e un futuro che ci attende. Ma siamo più del passato delle nostre radici e persino più dei desideri con cui guardiamo al futuro: è con le scelte del presente che costruiamo la nostra identità, al di là del bene o del male che possiamo avere ereditato dalle nostre esperienze pregresse. (Sulla strada di Emmaus).
1 Il primo quesito, con cui interrogarci è – infatti – se crediamo “a” Cristo (cioè: al suo messaggio, a ciò che dice), oppure “in” Cristo (cioè in lui, nella sua persona umano-divina).
2 Cfr. Gv 8, 31
3 Cfr. Gc 1,22 («Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi»).
4 Cfr. Gv 4, 5-42
5 Cfr. Mt 12, 22-32, in cui gli oppositori di cristo arrivano a sostenere l’assurda tesi che il successo nello scacciare i demoni possa essere ascrivibile al nome del demonio stesso.
6 Cfr. 1Cor 15, 50
Rif. Letture festive ambrosiane, nella III domenica di Quaresima, anno B
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