Nel carcere romano di Rebibbia, questa mattina 26 dicembre, Papa Francesco – che la sera della vigilia di Natale aveva già aperto la Porta Santa a San Pietro – ha aperto la seconda Porta Santa del Giubileo 2025. È quella della Chiesa dello stesso carcere.
Un momento storico che si è realizzato nello stesso giorno in cui si ricorda un’altra visita, che ha segnato un’epoca, di un Papa in un penitenziario. Il 26 dicembre 1958 Papa Giovanni XXIII, pochi mesi dopo la sua elezione al Soglio Pontificio, si recò infatti a Regina Coeli. Non un Giubileo certo, ma uno di quei casi di corsi e ricorsi storici, come se si chiudesse un cerchio.
La cerimonia, i doni al Papa
Il Pontefice è arrivato nel penitenziario alle 8.30. Ad attenderlo, le note dell’Inno del Giubileo 2025 suonate dalla banda del corpo di polizia penitenziaria, diretta dal maestro Fausto Remini. Poi, il Papa è salito fino alla porta della chiesa del Padre Nostro dove si è svolto il rito di apertura della Porta Santa, la Porta della Speranza appunto.
Prima del gesto di grande significato simbolico , Bergoglio ha pronunciato alcune parole a braccio: ”La prima porta santa l’ho aperta in San Pietro , ho voluto che la seconda fosse qui in un carcere. Perché tutti qui, dentro e fuori, avessimo la possibilità di spalancare le porte del cuore e capire che la speranza non delude”. Poi rivolto a don Ambarus, vescovo ausiliare di Roma: ”Don Ben venga con me”.
All’interno della chiesa, Papa Francesco poi è stato accolto da una persona detenuta e da un agente della polizia penitenziaria che lo ha accompagnato fino all’altare. Tra le 300 persone presenti in chiesa erano un centinaio, fra uomini e donne, i detenuti provenienti dai quattro istituti penitenziari di Rebibbia: una buona parte era seduta davanti al Pontefice, altri faranno parte del coro, altri ancora parteciperanno ad alcune delle fasi.
Molte le presenze istituzionali in chiesa nelle file laterali: fra queste, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il presidente del Consiglio regionale del Lazio Antonello Aurigemma e il sindaco di Roma Roberto Gualtieri.
L’omelia del Papa
“Care sorelle cari fratelli, buongiorno e Buon Natale. Ho voluto spalancare la porta oggi qui: un bel gesto quello di spalancare, aprire, ma più importante quel che significa: cuori aperti, questo dà la fratellanza. I cuori chiusi non aiutano . E soprattutto aprire i cuori alla speranza che non delude mai”.
”Nei momenti brutti – ha osservato Francesco – uno pensa che sia tutto finito ma la speranza non delude mai. E’ come l’ancora sulla riva a terra e noi siamo li’ sicuri. Non perdere la speranza. Il messaggio e’ per tutti noi. Io il primo. A volte la corda fa male alle mani, ma sempre con la corda in mano guardando la riva. Sempre c’è qualcosa di buono. Mano nella corda e porte spalancate, soprattutto quella del cuore. Il cuore chiuso si dimentica della tenerezza”.
”Sempre il cuore aperto che ci fa fratelli. Spalancate le porte del cuore , ognuno sa dove la porta e’ chiusa o semi chiusa. Mano nella corda e spalancate le porte del cuore. – ha ribadito -. Abbiamo spalancato questa che e’ un segnale. Vi auguro un gran Giubileo, molta pace e tutti i giorni prego e penso a voi. E’ vero, non è un modo di dire”.
Olio, biscotti e ceramiche: i doni dei detenuti
All’esterno della chiesa altre 300 persone – fra operatori penitenziari, volontari e familiari – hanno assistito alla messa su un maxischermo appositamente allestito. Al termine, Francesco ha ricevuto alcuni doni dai detenuti: dagli uomini del Nuovo Complesso, la riproduzione in miniatura della porta della chiesa del Padre Nostro, creata all’interno del laboratorio «Metamorfosi» utilizzando i legni dei barconi dei migranti, mentre dalle donne di Rebibbia femminile, un cesto contenente olio, biscotti, ceramiche e bavaglini, frutto del loro lavoro.
L’amministrazione penitenziaria ha omaggiato il Santo Padre con un dipinto raffigurante un Cristo salvifico, realizzato dall’artista Elio Lucente, ex poliziotto penitenziario. Vicino alle mura della chiesa, infine, è stata inaugurata l’opera, firmata dall’artista Marinella Senatore, dal titolo «Io contengo moltitudini»: un progetto di arte contemporanea – in continuità con il Padiglione della Santa Sede allestito nel carcere femminile di Venezia in occasione della Biennale – composto da una struttura ad albero, alta circa 6 metri, con luminarie in forma di strisce che riportano frasi di detenute, detenuti e personale penitenziario, scritte in varie lingue, anche in dialetto.
Foto: Vatican Media