Papa Francesco allo stadio Bentegodi di Verona davanti a 31mila tra giovani e adolescenti ha celebrato la Messa che ha concluso la sua visita pastorale alla Diocesi scaligera. Prima di giungere allo stadio, proveniente dal carcere di Montorio, il corteo papale ha fatto una sosta fuori programma al palazzo del Vescovado, che ha comportato un ritardo all’inizio della celebrazione di circa mezz’ora. Sorpresa del Papa durante l’omelia. Invece di leggere il testo preparato, e che poi viene diffuso dalla sala stampa vaticana, Francesco ha tenuto un discorso andando a braccio e chiamando le risposte dei 32 mila alle sue sollecitazioni.
L’omelia
“Oggi celebriamo la festa del giorno in cui lo Spirito Santo è venuto. Ma pensate, gli apsotoli erano tutti chiusi nel Cenacolo, avevano paura, le porte chiuse, tutto. E’ venuto lo Spirito Santo, gli ha cambiato il cuore e sono andato a predicare con coraggio. Coraggio: lo Spirito Santo ci dà il coraggio di vivere la vita cristiana”. Così Papa Francesco nell’omelia. “E per questo, con questo coraggio, cambia la nostra vita – ha proseguito -. Lo Spirito prima di tutto è quello che ci cambia la vita”. “Lo Spirito santo ci dà coraggio per vivere cristianamente: tante volte troviamo cristiani che sono come l’acqua tiepida, né caldi né freddi: gli manca coraggio: ‘E padre, dove si può fare un corso per avere coraggio?’. ‘No, prega lo Spirito, affidato allo Spirito'”, ha sottolineato il Pontefice. “Poi una cosa molto bella – ha continuato Francesco -: quel giorno di Pentecoste c’era gente di tutte le nazioni, di tutte le lingue, di tutte le culture, e lo Spirito con quella gente edifica la Chiesa. Cosa vuol dire? Che fa tutti uguali? No, tutti differenti, ma con un solo cuore, con l’amore che ci unisce. Lo Spirito è quello che ci salva dal pericolo di farci tutti uguali”. “C’è una parola che spiega bene questo – ha aggiunto il Papa -: lo Spirito fa l’armonia, l’armonia della Chiesa. Ognuno differente dall’altro, ma in un clima di armonia”. “Cari fratelli e sorelle, questo è il miracolo di oggi: prender uomini codardi, con paura, e farli coraggiosi. Prendere uomini e donne di tutte le culture, e farli una unità di tutti, fare la Chiesa. Prendere questa gente, e non farli uguali. Cosa fa lo Spirito? L’armonia”. “Adesso ognuno di noi pensi nella propria vita -ha quindi sollecitato -: tutti noi abbiamo bisogno dell’armonia, tutti noi abbiamo bisogno che lo Spirito ci dia armonia, nella nostra anima, nella famiglia, nella città, nella società, nel posto di lavoro. Il contrario dell’armonia è la guerra, è lottare uno contro l’altro”.
La visita in carcere
“Per me entrare in un carcere è sempre un momento importante, perché il carcere è un luogo di grande umanità. Di umanità provata, talvolta affaticata da difficoltà, sensi di colpa, giudizi, incomprensioni e sofferenze, ma nello stesso tempo carica di forza, di desiderio di perdono, di voglia di riscatto”. Lo ha detto Papa Francesco durante la sua vista alla Casa circondariale di Montorio, a Verona. “E in questa umanità, qui, in tutti voi, in tutti noi, è presente oggi il volto di Cristo, il volto del Dio della misericordia e del perdono”, ha sottolineato. “Non dimenticate questo: Dio perdona sempre, e perdona tutto”.
“Conosciamo la situazione delle carceri, spesso sovraffollate, con conseguenti tensioni e fatiche – ha osservato il Pontefice -. Per questo voglio dirvi che vi sono vicino, e rinnovo l’appello, specialmente a quanti possono agire in questo ambito, affinché si continui a lavorare per il miglioramento della vita carceraria”. “Seguendo le cronache del vostro istituto, con dolore ho appreso che purtroppo qui, recentemente, alcune persone, in un gesto estremo, hanno rinunciato a vivere. È un atto triste, questo, a cui solo una disperazione e un dolore insostenibili possono portare”, ha continuato. Perciò, “mentre mi unisco nella preghiera alle famiglie e a tutti voi, voglio invitarvi a non cedere allo sconforto. La vita è sempre degna di essere vissuta, e c’è sempre speranza per il futuro, anche quando tutto sembra spegnersi”. Secondo Francesco, “la nostra esistenza, quella di ciascuno di noi, è importante, non siamo materiale di scarto, è un dono unico per noi e per gli altri, per tutti, e soprattutto per Dio, che mai ci abbandona, e che anzi sa ascoltare, gioire e piangere con noi. E perdonare sempre. Con Lui al nostro fianco, possiamo vincere la disperazione, e vivere ogni istante come il tempo opportuno per ricominciare”. Perciò, “nei momenti peggiori, non chiudiamoci in noi stessi: parliamo a Dio del nostro dolore e aiutiamoci a vicenda a portarlo, tra compagni di cammino e con le persone buone che ci troviamo al fianco. Non è debolezza chiedere aiuto: facciamolo con umiltà e fiducia. Tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri, e tutti abbiamo diritto a sperare, al di là di ogni storia e di ogni errore o fallimento. E’ un diritto la speranza, che non delude, mai”. “Tra pochi mesi inizierà l’Anno Santo – ha detto ancora il Papa -: un anno di conversione, di rinnovamento e di liberazione per tutta la Chiesa; un anno di misericordia, in cui deporre la zavorra del passato e rinnovare lo slancio verso il futuro; in cui celebrare la possibilità di un cambiamento, per essere e, dove necessario, tornare ad essere veramente noi stessi, donando il meglio. Sia anche questo un segno che ci aiuti a rialzarci e a riprendere in mano, con fiducia, ogni giorno, la nostra vita”. “Grazie per questo incontro: vi dico la verità, mi fa bene, mi state facendo bene”, ha concluso.
Il Papa abbraccia un israeliano e un palestinese che hanno perso dei parenti in guerra
Papa Francesco, durante l’incontro “Arena di Pace” a Verona ha abbracciato l’israeliano Maoz Inon, al quale sono stati uccisi i genitori da Hamas il 7 ottobre, e il palestinese Aziz Sarah, al quale l’esercito israeliano ha ucciso il fratello, ora amici e collaboratori, applauditi all’Arena con una standing ovation. Un grande applauso di tutta l’Arena di Verona, in piedi, e l’abbraccio con Papa Francesco, sul palco, ha salutato il discorso di pace pronunciato dai due familiari di vittime del conflitto dalla parte israeliana e da quella Palestinese. “Credo non ci sia bisogno di dire niente” ha commentato il Papa.
Non avere paura dei conflitti, ma risolverli col dialogo
“Se c’è vita, se c’è una comunità attiva, se c’è un dinamismo positivo nella società, allora ci sono anche conflitti e tensioni. È un dato di fatto: l’assenza di conflittualità non significa che vi sia la pace, ma che si è smesso di vivere, di pensare, di spendersi per ciò in cui si crede”, ha detto Papa Francesco nell’incontro sulla giustizia e la pace all’Arena di Verona, rispondendo a una domanda sul tema “La pace va sperimentata” formulata dai rappresentanti del Tavolo Disarmo, Andrea Riccardi della Comunità di Sant’Egidio e Sergio Paronetto di Pax Christi. “Nella nostra vita, nelle nostre realtà, nei nostri territori saremo sempre chiamati a fare i conti con le tensioni e i conflitti”, ha avvertito il Pontefice, e “spesso siamo tentati di pensare che la soluzione per uscire dai conflitti e dalle tensioni sia quella della loro rimozione: li ignoro, li nascondo, li marginalizzo”. Ma “l’esito finale di questo modo di vivere i conflitti è quello di accrescere le ingiustizie e generare reazioni di malessere e frustrazione, che possono tradursi anche in gesti violenti”. “E questo lo vediamo anche nella politica, nella società: quando nella politica si nascondono i conflitti, questi scoppiano dopo”, ha osservato. Secondo il Papa, “un’altra risposta dal fiato corto è quella di cercare di risolvere le tensioni facendo prevalere uno dei poli in gioco, e questo è un suicidio, perché si riduce la pluralità di posizioni a un’unica prospettiva. Ancora una volta si tratta di un vicolo cieco: si cerca l’uniformità invece che l’unità, si ha paura immotivata nei confronti della pluralità, e psicologicamente quella società si suicida”.
Per Francesco, invece, “il primo passo da fare per vivere in modo sano tensioni e conflitti è riconoscere che fanno parte della nostra vita, sono fisiologici, quando non travalicano la soglia della violenza. Quindi non averne paura”. Poi “ricercare in un conflitto le ragioni di ogni parte, quelle emergenti e, se si riesce, anche quelle tenute nascoste, quelle di cui non si è consapevoli appieno”. “Questo è possibile attraverso il dialogo, che è fatto di condividere la pluralità. Il difetto delle dittature è di non ammettere la pluralità”, ha aggiunto: “Una società dove non ci sono conflitti è una società morta. Una società dove si nascondo i conflitti è una società suicida. Una società dove si prendono i conflitti per mano, è una società di futuro”.
Rallentare i ritmi di vita,più tempo per curare la pace
“Nella nostra società viviamo questa tensione: da un lato, tutto ci spinge ad agire velocemente, siamo abituati ad avere una risposta immediata alle nostre richieste e diventiamo impazienti se si verifica un ritardo. La rivoluzione digitale degli ultimi anni ci ha permesso di essere costantemente connessi, di poter comunicare facilmente con persone molto distanti, di poter svolgere il nostro lavoro a distanza. Dovremmo avere più tempo a disposizione e invece ci accorgiamo che siamo sempre in affanno, rincorrendo l’urgenza dell’ultimo minuto. Dall’altro lato, sentiamo che tutto questo non è naturale”. Lo ha detto Papa Francesco durante l’incontro sulla giustizia e la pace all’Arena di Verona rispondendo a una domanda sul tema “La pace va curata”, formulata dalle rappresentanti del Tavolo Ambiente-Creato: Annamaria Panarotto delle mamme No-Pfas di Vicenza, un gruppo di genitori che si batte contro l’inquinamento dell’acqua che ammala i loro figli, e Vanessa Nakate, giovane custode della casa comune venuta dall’Uganda.
“Questo è bellicoso, questo è guerra, non è naturale. Nella nostra società si respira un’aria stanca, tanti non trovano ragioni per portare avanti le loro attività quotidiane, appesantiti dalla sensazione di essere sempre fuori tempo, come intrappolati nella ripetizione di quanto si fa, poiché non si ha la forza o il tempo di mettere in discussione ritmi e modalità d’azione. Occorrerebbe a volte saper rallentare la corsa, non lasciarci travolgere dalle attività e fare spazio dentro di noi all’azione di Dio”, ha sottolineato il Pontefice. Secondo Francesco, “la pace richiede tempo, la pace va curata, e se non si cura la pace c’è la guerra”. “‘Rallentare’ può suonare come una parola fuori posto, in realtà è l’invito a ricalibrare le nostre attese e le nostre azioni adottando un orizzonte più profondo e più ampio. Si tratta di fare una ‘rivoluzione’ in senso astronomico: il moto di un corpo celeste che ritorna al punto di partenza”. “Bisogna cercare la pace. E come si fa? Col dialogo”, ha indicato il Pontefice.
Per porre fine alle guerre stare dalla parte dei piccoli
“Per porre fine ad ogni forma di guerra e di violenza bisogna stare a fianco dei piccoli, rispettare la loro dignità, ascoltarli e fare in modo che la loro voce possa farsi sentire senza essere filtrata. Incontrare i piccoli e condividere il loro dolore. E prendere posizione al loro fianco contro le violenze di cui sono vittime, uscendo dalla cultura dell’indifferenza e dalle sue giustificazioni”. Lo ha detto Papa Francesco nell’incontro all’Arena di Verona sulla giustizia e la pace rispondendo a una domanda dei rappresentanti del Tavolo Migrazioni – Elda Baggio di “Medici senza frontiere” e il brasiliano João Pedro Stédile del Movimento dei senza terra – sul tema “La pace va promossa”. “È il Vangelo che ci dice di metterci dalla parte dei piccoli, dei deboli, dei dimenticati – ha ricordato il Pontefice -. È Gesù con il gesto della lavanda dei piedi che sovverte le gerarchie convenzionali. È sempre Lui che chiama i piccoli e gli esclusi e li pone al centro, li invita a stare in mezzo agli altri, li presenta a tutti come testimoni di un cambiamento necessario e possibile. Con le sue azioni Gesù rompe convenzioni e pregiudizi, rende visibili le persone che la società del suo tempo nascondeva o disprezzava, e lo fa senza volersi sostituire a loro, senza strumentalizzarle, senza privarle della loro voce, della loro storia, dei loro vissuti”. “Oggi credo che il Premio Nobel che possiamo dare a tanti di noi è il Premio Nobel del Ponzio Pilato, perché siamo maestri nel lavarci le mani”, ha puntato il dito Papa Bergoglio. “Ecco, questa è la conversione che cambia la nostra vita e il mondo – ha proseguito Francesco -. Una conversione che riguarda tutti noi singolarmente, ma anche come membri delle comunità, dei movimenti, delle realtà associative a cui apparteniamo, e come cittadini. E riguarda anche le istituzioni, che non sono esterne o estranee a questo processo di conversione. Il primo passo è riconoscere che non siamo noi al centro, né le nostre idee e visioni. E poi accettare che il nostro stile di vita inevitabilmente ne sarà toccato e modificato”.
L’autorità non sia d’un singolo,è radice delle dittature
“La cultura fortemente marcata dall’individualismo rischia sempre di far sparire la dimensione della comunità, dei legami vitali che ci sostengono e ci fanno avanzare. E questa in termini politici è la radice delle dittature. E inevitabilmente produce delle conseguenze anche sul modo in cui si intende l’autorità. Chi ricopre un ruolo di responsabilità in un’istituzione politica, oppure in un’impresa o in una realtà di impegno sociale, rischia di sentirsi investito del compito di salvare gli altri come se fosse un eroe. Questo avvelena l’autorità. E questa è una delle cause della solitudine che tante persone in posizione di responsabilità confessano di sperimentare, come pure una delle ragioni per cui siamo testimoni di un crescente disimpegno”. Lo ha detto Papa Francesco nell’incontro all’Arena di Verona sulla giustizia e la pace, rispondendo a una domanda sul tema “La pace va organizzata” rivoltagli dall’afghana Mahbouba Seraj, venuta da Kabul, e da Giulia Venia del gruppo di lavoro sulla democrazia.
“Se l’idea che abbiamo del leader è quella di un solitario, al di sopra di tutti gli altri, chiamato a decidere e agire per conto loro e in loro favore, allora stiamo facendo nostra una visione impoverita e impoverente, che finisce per prosciugare le energie creative di chi è leader e per rendere sterile l’insieme della comunità e della società”, ha avvertito il Pontefice, secondo cui “nessuno esiste senza gli altri, nessuno può fare tutto da solo”. “Allora – ha proseguito – l’autorità di cui abbiamo bisogno è quella che innanzi tutto è in grado di riconoscere i propri punti di forza e i propri limiti, e quindi di capire a chi rivolgersi per avere aiuto e collaborazione. L’autorità è sostanzialmente collaborativa. L’autorità per costruire processi solidi di pace sa infatti valorizzare quanto c’è di buono in ognuno, sa fidarsi, e così permette alle persone di sentirsi a loro volta capaci di dare un contributo significativo”. Per il Papa, “questo tipo di autorità favorisce la partecipazione, che spesso si riconosce essere insufficiente sia per quantità che per qualità”.
Inoltre, secondo Francesco, “una grande sfida oggi è risvegliare nei giovani la passione per la partecipazione. La forza dell’insieme. Bisogna investire sui giovani, sulla loro formazione, per trasmettere il messaggio che la strada per il futuro non può passare solo attraverso l’impegno di un singolo, per quanto animato delle migliori intenzioni e con la preparazione necessaria, ma passa attraverso l’azione di un popolo, il popolo è protagonista, in cui ognuno fa la propria parte, ciascuno in base ai propri compiti e secondo le proprie capacità”.
L’incontro del Papa in Piazza San Zeno
“Questo auguro a voi e alle vostre comunità: una ‘santità capace’, una fede viva che con carità audace semini il Regno di Dio in ogni situazione della vita quotidiana. E se il genio di Shakespeare si è fatto ispirare dalla bellezza di questo luogo per raccontarci le vicende tormentate di due innamorati, ostacolati dall’odio delle rispettive famiglie, noi cristiani, ispirati dal Vangelo, impegniamoci a seminare ovunque un amore più forte dell’odio e della morte. Sognatela così, Verona, come la città dell’amore. E che l’amore di Dio vi accompagni e vi benedica”. Ha evocato la vicenda di Romeo e Giulietta papaFrancesco al termine del suo discorso ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose durante l’incontro nella Basilica di San Zeno, a Verona.
“È bello trovarci in questa Basilica romanica, una tra le più belle d’Italia, che ha ispirato anche poeti come Dante e Carducci – ha sottolineato il Pontefice -. Ed essere qui insieme, vescovo, preti, religiose e religiosi, e guardare questo splendido soffitto a carena ci fa sentire come dentro a una grande barca, e ci fa pensare al mistero della Chiesa, la barca del Signore che naviga nel mare della storia per portare a tutti la gioia del Vangelo”.
Il Papa nel suo intervento si è soffermato su due aspetti: “la chiamata ricevuta e sempre da accogliere”, e “la missione, da compiere con audacia”. “Cerchiamo di non perdere mai lo stupore della chiamata! Esso si alimenta con la memoria del dono ricevuto per grazia, memoria da tenere sempre viva in noi”, ha osservato”. Questo è “il primo fondamento della nostra consacrazione e del nostro ministero – ha spiegato -: accogliere la chiamata ricevuta, accogliere il dono con cui Dio ci ha sorpresi. Se smarriamo questa coscienza e questa memoria, rischiamo di mettere al centro noi stessi invece che il Signore; rischiamo di agitarci attorno a progetti e attività che servono più alle nostre cause che a quella del Regno; rischiamo di vivere anche l’apostolato nella logica della promozione di noi stessi e della ricerca del consenso, cercando di fare carriera, invece che spendere la vita per il Vangelo e per un servizio gratuito alla Chiesa”.
E “quando è ben radicata in noi questa esperienza, allora possiamo essere audaci nella missione da compiere”, ha proseguito Francesco, secondo cui “l’audacia è un dono che questa Chiesa conosce bene. Se c’è infatti una caratteristica dei preti e dei religiosi veronesi, è proprio quella di essere intraprendenti, creativi, capaci di incarnare la profezia del Vangelo”. “Siate audaci nella missione, sappiate ancora oggi essere una Chiesa che si fa prossima, che si avvicina ai crocicchi delle strade, che cura le ferite, che testimonia la misericordia di Dio”, ha quindi raccomandato: “È in questo modo che la barca del Signore, in mezzo alle tempeste del mondo, può portare in salvo tanti che altrimenti rischiano di naufragare”. “Le tempeste, come sappiamo, non mancano ai nostri giorni; molte di esse hanno la loro radice nell’avarizia, nella cupidigia, nella ricerca sfrenata di soddisfare il proprio io, e si alimentano in una cultura individualista, indifferente e violenta”, ha aggiunto il papa: “Il rischio è questo, anche per noi: che il male diventi ‘normale’, che ci facciamo l’abitudine. E così diventiamo complici!”. Francesco prima del suo discorso ha voluto salutare tra gli altri le suore di clausura: “Dimostrano come anche in clausura non si perda la gioia. Sono brave! E mai fanno chiacchiericcio”, ha commentato ‘a braccio’. E ha chiuso il discorso con la sua richiesta: “Per favore, non dimenticate di pregare per me. Ma pregate a favore, non contro!”.
“A tutti, lor ripeto, a tutti dobbiamo portare la carezza della misericordia di Dio. E su questo, cario fratelli sacerdoti, mi fermo su una cosa: i sacerdoti che sono ministri del sacramento della penitenza, per favore, perdonate tutto! Perdonate tutto. E quando la gente va a confessarsi, non andare lì a inquisire. E se voi non siete capaci in quel momento di capire, andate avanti, il Signore ha capito”. Lo ha detto Papa Francesco ‘a braccio’ durante l’incontro con i sacerdoti e i consacrati nella Basilica di San Zeno, a Verona. “Ma per favore, non torturare i penitenti – ha continuato -. Mi diceva un grande cardinale, che è stato penitenziere, abbastanza conservatore, non dico rigido ma conservatore, ma davanti alla penitenza io l’ho ascoltato dire: ‘quando una persona viene da me, e io sento che ha difficoltà a dire le cose, io dico: ho capito vai avanti. Io non ho capito ma Dio ha capito'”. “Questo – ha detto ancora Francesco – nel sacramento della riconciliazione, per favore che non sia una seduta di tortura! Per favore, perdonate tutto, tutto. E perdonare senza far soffrire, perdonare aprendo il cuore alla speranza. A voi sacerdoti vi chiedo questo: la Chiesa ha bisogno di perdono. E voi siete gli strumenti del perdonare”. “A tutti, a tutti dobbiamo portare la carezza della misericordia di Dio – ha concluso il Papa -, specialmente a chi ha sete di speranza, a chi si trova costretto a vivere ai margini, ferito dalla vita o da qualche errore commesso, o dalle ingiustizie della società, che vanno sempre a scapito dei più fragili. Capito? perdonare tutti”.
“La domanda è come possiamo noi essere segno di pace nel mondo? Voi sappiate che in questo momento il mondo è in guerra. Ci sono tante guerre, sia Ucraina, Terra Santa, nell’Africa, Myanmar, tante, tante guerre. E Gesù predica la guerra o la pace? E noi cosa vogliamo fare la guerra o la pace? Cioè che dobbiamo essere un segno di pace, no? Ma se tu litighi con il compagno o la compagna di scuola, sarai un segno di pace? Non si sente bene. No, dobbiamo essere un segno di pace, condividere sempre bene, ascoltare gli altri, giocare con gli altri, ma non litigare con gli altri. Diciamolo insieme: dobbiamo essere un segno di pace, insieme”. Così, rispondendo alle loro domande e formulandone altre a sua volta, Papa Francesco si è rivolto ai bambini e ai ragazzi nell’incontro in Piazza San Zeno a Verona, subito dopo quello con il clero nella Basilica omonima. Il Papa, nel suo botta e riposta ha esortato i più giovani anche ad “andare controcorrente”.
La statua destinata a Gerusalemme
Un’enorme statua in bronzo e acciaio di oltre 10 metri, installata in piazza San Zeno, è stata benedetta da papaFrancesco nella sua prima tappa della visita a Verona. La scultura, dal titolo “L’abbraccio”, è opera di Roberto Brizzi ed è stata realizzata nella fonderia artistica Bmn Arte di Verona, ideata dallo scultore Alessandro Mutto e realizzata con la collaborazione con lo specialista in bronzi artistici Ivo Adami. Pesa 4,5 tonnellate, con mani e piedi realizzate in bronzo fuso, mentre il corpo e le figure stilizzate sono fatte con l’acciaio. Nelle prossime settimane, la statua sarà smontata e trasportata a Gerusalemme, dove sarà collocata sul tetto del palazzo della Custodia, di fronte al Muro della Città vecchia, con un sistema di illuminazione interna che la renderà particolarmente suggestiva. Il progetto è stato voluto dall’associazione “Una Via Crucis per Gerusalemme” e dalla Custodia di Terra Santa, con il sostegno di mons. Rino Fisichella, di mons. Giorgio Benedetti e il placet del vescovo Domenico Pompili.