Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni di oggi.
.
Essendo la Santissima Trinità nel suo trono, terminò in quel sacro concistoro di mandar la terza persona della Santissima Trinità, che fu questo divino Spirito Santo promesso da la maestà del figliuolo di Dio di mandar sopra li santi apostoli. Ove partendosi senza mai partirsi dal cielo, vene in questa beata terra ove stava quel beato colegio apostolico con la gran Madre di Dio. Erano questi apostoli genuflessi in altissime contemplazioni di Dio: io non dubito punto che la gran Madre di Dio non avesse rivelazione de la venuta dello Spirito Santo e che sapesse il giorno e l’ora che dovesse venire questo Santo Spirito, e che, sapendo il tutto, avisasse di ciò li santi apostoli. E mentre questa santa imperatrizze parlava, consolava li afflitti apostoli, essendo rinchiusi in quel povero loco, vene il messagiero di questo paraclito Spirito Santo, che fu un soave e ameno venticello: entrando in quel santo loco confortò, rinfrescò quel santo colegio che era pieno di calore di voglia che venisse questo Santo Spirito. Ove, stando tutti ristorati e consolati, conobero che il loro maestro che li doveva amaestrare doveva venire e che quel venticello soave era aviso che li avisava che stessero preparati. E, mentre così stavano, vene questo divinissimo Spirito Santo, entrando in quel santo loco, illuminando con la sua chiarezza in ogni loco, che il sole pareva tenebre in comparazione di questo Santo Spirito. Apparve in lingue di foco sopra quel santo colleggio: o Dio, o Dio, chi avesse alora veduto questi poveri uomini! Si rimiravano uno con l’altro, si stupivano, si amiravano l’uno con l’altro, si stupiva, si amirava della gran bontà di Dio. Tutti vedevano quelle lingue infiamate, accese di splendore sopra di essi: sentivano un giubilo entro e fuori di se stessi tanto e tale che li pareva di esser in un mare di delizie, e in queste delizie e splendori furono amaestrati e da’ cori loro fu scaciato ogni tenebre. Furono ripieni di questo divinissimo amore, ma sopra tutti quella felizze e beata colomba di Maria doveva arder incomparabilmente. Voglio io ben creder che questi apostoli, vedendosi somersi in una sì ardente fornazze di amore, che tanto giubilassero li cuori loro che, non essendo usi a questi raggi solari dello Spirito Santo, che andassero in estasi, che fu un pelago di delizie, e che in questo soave estasi gustassero cose inenarabili, e in questo estasi furono pienamenti ammaestrati di quanto dovevano fare. (Selva, 288-289)
La santissima Trinità
Come sempre integrando ampiamente il testo da cui prende le mosse, Fra Tommaso, questa volta, costruisce quella frase splendida («partendosi senza mai partirsi dal cielo») che illumina, da sola, l’idea di inseparabilità della Santissima Trinità, ma lascia poi spazio all’immensità della sapienza dello Spirito Santo il quale non può che infondere negli apostoli il massimo di conoscenza che possa essere contenuto in una mente umana, lasciandone evidentemente fuori la gran parte che sarebbe quella che ci permetterebbe di comprendere l’inconoscibile e verso la quale, tuttavia, Fra Tommaso e altri mistici come lui hanno teso per tutta la vita, per via intuitiva e, ovviamente, non razionale.
Ed ecco che l’antico pastorello di Olera può innalzare la sua preghiera proprio a quello Spirito Santo che, unico, può illuminarlo oltre le capacità umane e renderlo quasi pari a uno dei dodici discepoli di Cristo (essendo stato Giuda sostituito, com’è noto, da Mattia).
O santo e divinissimo amore, Spirito Paraclito, sommergetemi, povero verme della terra, nella fornace del vostro amore, accendete il mio cuore, traffigete il mio cuore, abbruggiate l’anima mia, acciò, ardendo di puro amore verso il mio caro innamorato Dio, possi sentillare faville d’amor cercando il mio Dio con sincerità di cuore. O Santo Spirito, terza persona della santissima Trinità, io v’adoro, vi benedico in eterno: e sicome a voi è attribuito l’amore ed essendo voi tutto fuoco d’amore, e la maiestà vostra conoscendomi tanto agghiacciato, pregovi, o santo fuoco, a riscaldarmi. O ineffabile Spirito Santo, illuminate ormai le tenebre dell’anima mia: saetate, o Dio, ormai con i dardi del vostro puro amore, acciò resti impiagato, ferito dall’amor vostro! Discendete ormai, o lingua di fuoco, sopra di me, come descendesti sopra il santo colleggio apostolico. Vien, o luce del mio cuore! O luce beata, riempite il mio cuore di luce celeste! O Spirito Santo consolatore, consolatemi, né altra consolazione voglio che il puro amor vostro. Scaturite ormai, o luce del cielo, illuminate le tenebre, l’oscurità della mente mia, acciò possi essere riscaldato da voi, divinissimo fuoco. Vien, o Padre de’ poveri, vien, o datore de’ veri beni, vien, o luce del mio cuore, vien, o santo consolatore, vien, o dolce ospite, ad albergare nell’anima mia! Perché quando che voi, o santo Dio, sarete in me, sentirò un dolce refrigerio nelle fatiche, sentirò una dolce reque. O luce beata, riempite il mio cuore, acciò sia un vostro servo fedele, e del vostro amor accendetemi tutto il mio cuore, acciò io languisca, mi consumi, arda, m’abbruggi nell’ardente fornace della quale ardevan li santi apostoli, con il cui foco ardetero tutto ’l mondo, acciò ancor io ardendo dell’istesso fuoco possa abbruggiarmi ed anco scaturiscan da me sentille ch’accenda li cuori de’ prossimi miei, dando essempi di perfezione, di santità. Sollevandomi a guisa di fuoco contempli la grandezza e bellezza e vita e morte del mio Signor Gesù Cristo, acciò possa inamorando il prossimo mio a sollevarsi al cielo, contemplando li pascoli ameni del Padre, del Figliuolo, dello Spirito Santo, trino ed uno. Amen. (Scala, 224) (66).