Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni di oggi.
Ma questo dono incomparabile lascia aperto anche uno spiraglio che, in piena Controriforma, è quasi una mano tesa a chi si è posto fuori dal Cattolicesimo o a chi, nel Cattolicesimo fervente, è giunto per puro intervento della Grazia.
E se gli uomini sapessero la gran misericordia di Dio verso il genere umano, giubileriano: gli uomini si consoleriano in veder un Dio al cui Dio possano ricorere con tanta confidenza sicuri del perdono; anzi, che molti santi, dopo esser caduti in peccati enormi, fati nimici di Dio per lor scelerità, conobe in Dio questa misericordia: ove confidati ricorsero a questo sì caro Dio, umiliandosi a Sua Divina Maestà, chiedendo il perdono di suoi misfatti. Non solo ottenero da Dio misericordia, ma ottenero incomparabilmente doni, grazie, favori tanto e tale che divenero cari familiari amici di Dio. E non è cosa sotto Dio che Dio si chiami più offeso quanto commetter il peccato e di esso disperarsi e diffidarsi del perdono. Oh quanto dispiacque a Dio la disperazione di Giuda che lo tradì! (Selva, 271)
La prima parte sembra quasi alludere a Lutero e ai suoi seguaci, e anche a Calvino e Zwingli; mentre è forse azzardato (ma suggestivo) immaginare che, tra i «molti santi, dopo esser caduti in peccati enormi, fati nimici di Dio per lor scelerità, conobe in Dio questa misericordia» e «ottenero incomparabilmente doni, grazie, favori tanto e tale che divenero cari familiari amici di Dio», Fra Tommaso pensasse anche a quel don Iñigo López, meglio noto come Ignazio da Loyola, colui che aveva pur detto (e sembrano parole del beato Tommaso) «Cristo vive in me».
La ragione umana al servizio dell’ascesi
Si è visto, nel brano precedente, dove possa culminare questa «scala di perfezione» che dà il titolo all’opera forse più ispirata di Fra Tommaso da Olera. Ma si è anche ricordato come egli insista più e più volte sulla necessità di percorrerla tutta, questa scala, essendo impossibile salire il gradino successivo, senza aver compiutamente realizzato quanto prevede quello in cui ci si trova e, in particolar modo, quanto sia importante il primo, decisivo nella possibilità di continuare o meno la propria ascesi.
Qual è, dunque, il primo ostacolo da superare? Perché è proprio quello? Quali strumenti si possono utilizzare per sperare di vincere questa prima «battaglia»? In Scala di perfezione, egli non ha dubbi.
L’uomo e donna spirituale non ha il maggior nemico quanto è l’amor proprio, né mai farà profitto il servo di Dio se non sarà nemico di quest’amor proprio, perché è tanto importuno questo bestiolo che si ficca per ogni cantone, e non teme clausura di religiosi e religiose perché con tutti vorrebbe amicizia. E con tutto che si trovi servi, cari, famigliari molto prattichi nella vita spirituale, nientedimeno restano molte volte feriti e superati da quest’amor proprio. Oh quanti amici di Dio ha ingannati e n’inganna, perché assalisse ognuno con tant’arte ch’anco molto gran prattichi li parerà d’operar per puro amor di Dio, e nondimeno sarà amor proprio! E io dirò a mia confusione molte volte averò fatto atti ch’a me averà parso che non li sia altro ch’amor puro di Dio: nientedimeno, doppoi aver fatto quell’azione che mi pareva tutto amor di Dio, dando io dopoi un’occhiata, averò trovato che tutto era fatto con amor proprio. Ed in quanto a me stimo gran prattico della vita interna chi non si lascia muover da questo amore proprio, perché è quello ch’avellenò ed amorbò l’opere buone e sante de’ servi di Dio. (Scala, 103)
È, dunque, assolutamente indispensabile non soltanto essere determinati a combattere l’amor proprio ma soprattutto a saperlo riconoscere con certezza, essendo un elemento ingannatore chiaramente architettato dal Maligno.
Ed acciò possi conoscer bene quest’amor proprio acciò te ne possi guardare e non tenir prattica d’esso, io te ne farò un discorso alquanto longo; ma non ti rincresca d’ascoltarmi, perché tutto il fondamento dell’uomo interno consiste in conoscer ed esterminar dall’anima tua questa mala semenza dell’amor proprio, né mai potrai esser amico di Dio se vorrai esser amico di questo infame amore, perché Dio l’odia a morte e l’ha bandito dal cielo a guisa di Lucifero: e se Dio lo permette, lo fa per prova de’ suoi fedeli servi, anzi, che lo lascia accioché con esso il servo di Dio si perfezioni, perché, quanti atti farà contro d’esso amor proprio, tutte corone acquista in cielo. (Scala, 103)
Il fine dell’amor proprio
Il fine dell’amor proprio è il centro dell’Inferno, e però non ha altra scala che quella che conduce all’Inferno, ov’abita il suo prencipe Lucifero che per amor proprio si vuolse assomigliarsi a Dio; e però giustamente Dio là precipitò esso con tutti li suoi seguaci. E però quest’amor proprio, essendo tant’odioso e nemico di Dio e degl’uomini, lo dobbiamo aborrire ed odiare, e non tenir amicizia d’esso. Ed acciò ancor meglio l’abbi da conoscer,
io ti dirò alcune cose, perché verrà a te vestito or d’un colore, or d’un altro, e questo per meglio ingannarti. (Scala, 114)
Così, l’esempio è scelto con grande intelligenza o, come direbbe Fra Tommaso, con sottigliezza.
Un’altra sottilità di questo nostro senso. Ti troverai in chiesa, in oratorio, ove te ne starai devoto, elevato in Dio, e piangerai la passion del Signore o altro misterio, overo li peccati tuoi. Verrà l’interesse, cioè l’amor proprio, e sottilmente ti dirà: «Sei veduto a pianger; oh quanto ti tengono per devoto! L’anderanno dicendo per la città: “Io ho veduto il tale e la tale ch’era tutt’ellevata in Dio e piangeva dirotissimamente: oh che anima santa!”». E se ben la parte superiore, che sta alla custodia, farà atti contrari, nientedimeno interiormente sentirà qualche gusto, cioè piglierà qualche boccone. In questo caso li vuole non solamente gl’atti virtuosi, renonciando quel tantino di gusteto che ti va raccogliendo ed immelandoti il cuore, ma dei pensar che quel tantino ti priva che l’opera che fai non è compitamente fatta per Dio, ma v’è del tuo proprio interesse. (Scala, 120)
Il risultato è quella pazzia, quella frenesia d’amore per Dio che è, contemporaneamente, molto pre-barocca ma anche e soprattutto autentico sentire di un Fra Tommaso che non concepisce altro pensiero, che quello di Dio e per Dio.
Oh quanto dispiacciono a Dio quelli che cercano il premio in questa vita e che non hanno altro fine che li suoi propri interessi! Il vero servo di Dio non ama, non serve al suo Dio per Paradiso, per gusti, per commodi, né per paura della penna, ma opera per la cosa amata: scordato del suo proprio interesse, solo si riccorda dell’amato suo e tutto fa per far cosa grata a lui; e tutti li patimenti, stenti, fatiche le fa senza ogetto d’interesse, anzi, che ’l vero amore è cieco, perché vede il solo Dio entro l’anima sua, né ad altro guarda ch’al solo compiacimento di Dio, né d’altro si rallegra, si gode se non di veder il suo Dio servito, amato, essaltato; ed è sempre preparato a patire, stentare per la cosa amata; ed ha tanto potere l’amor puro di Dio che chi lo possiede diventa pazzo, frenetico d’amore. (Scala, 106-107)