Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni di oggi.
Ma perché, puntualizza Fra Tommaso, questa preghiera abbia senso ed effetto, occorre prima rendersene degni, allontanando da sé non soltanto ogni atto indegno ma anche il pensiero stesso che l’operare il bene debba comportare una ricompensa, poiché è proprio quello il momento in cui si annulla tale bene e lo si rovescia in male.
Oh, questo lume della cognizione di se stesso li mostra che bisogna cominciar una nuova vita lontana dal senso, dalla carne, dal mondo, dal diavolo, e vede che in queste cose non si ritrova bene, anzi v’è morto, e tanto v’è morto quanto sono gl’effetti terreni, l’amori disordinati, le lusinghe della carne, le minacce e promesse del diavolo: e tutte queste cose sono tanto morte. E però comincia a lassar i diletti vani del mondo e séguita la luce della perfezione cominciando per la via della penitenza, mortificando in se stessi i propri appettiti, scacciando da sé il vizio e peccato. E se bene in questo principio la sua conversione non sarà talmente buona perché sarà mossa da qualche interesse proprio che non sarà in Dio né per Dio, sarà nondimeno buona rispetto al fine ch’averà, cioè di non fermarsi in questo stato, che saria molto vile e basso; ma perché pretende di caminar alla perfezione salendo la scala, sarà buona, perché, se ben sarà mosso ad operare per timor della pena, per gola della gloria overo altri simili rispetti, sono nondimeno introduzioni a maggiori gradi. Ma quando l’uomo si fermasse solamente in questi oggetti mercenari non passando più oltre, sarebbe in stato molto vile. E però non ti debbi fermare, o anima che aspiri alla vera unione in Dio, perché Dio disse: estote perfecti, sicut Pater vester celestis perfectus est [Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste (Mt 5,48)]. (Scala, 234)
E ancora.
Chi vorrà profitare nella via di Dio deve dar di mano alla mortificazione delle proprie passioni, de gl’affetti e amori terreni, dell’amor proprio, di vigilare entro e fuori di se stesso per opprimer quanto che la natura corrotta apporgerà all’anima per farla cadere nelli profondi abissi del peccato, acciò non attenda a quel fine che Dio l’ha creata. E perché l’uomo non può attendere al più alto fine quanto è attendere a questa perfezione dell’amore e unione d’Iddio, vedendo l’anima che questo Dio è meritissimo d’esser amato e servito, comincia a lassar l’interesse di se stessa con altre proprietà quali militano con fine basso d’amor servile e comincia a gustar l’amor filiale: e tanto guarda in Dio con occhi d’amore quanto da Dio con le sue divine grazie sarà prevenuta. (Scala, 234)
Si arriva, poi, a una dichiarazione specifica nel capitolo 3 del Trattato XIII.
Protesto di nuovo a Dio ed alla corte tutta del cielo ed a voi, incoronata regina de gl’angeli, che non intendo d’aver interesse né proprietà, né presumer d’aver né di voler amare il vostro amantissimo figliuolo per mio proprio interesse o per timor delle pene infernali o per goder la gloria del cielo, ma, tutto spropriato e senza alcuna sorte di proprio interesse, dico non aver l’occhio dell’intenzione né a cielo né a terra né ad Inferno, non alla destra né alla sinistra, non a commodi né a gusti spirituali né corporali, ma di solo operare per puro e sincero amor di Dio, rimettendomi nella sua sola misericordia, la qual confesso essere sopra ogni mia iniquità. (Scala, 267)
L’amore reciproco
L’amore reciproco Dio-anima è un tema sul quale Fra Tommaso insiste con estrema convinzione.
Questa via d’amore è via incognita a’ figliuoli mercenari, proprietari, ma solamente è veduta da’ figliuoli filiali, che amano Dio per Dio, non per se stessi. (Scala, 171)
Il vero amore vuol patire per l’amato, ma non vuol essere separato dall’amato Dio. L’amore opera se non con oggetto che vuole Dio: Dio è l’amato, l’anima è l’amata, Iddio è ’l sposo e l’anima è la sposa; Dio rimira l’anima e l’anima rimira Dio; li sguardi di Dio sono d’amore e li sguardi dell’anima sono pur d’amore perché presero il vedere dalla vista di Dio. (Scala, 171)
Questo Dio è posseduto da’ cuori innamorati, spropriati, disinteressati, morti al mondo, a se stessi, vivi solo a Dio. (Scala, 172)
Qui si chiarisce come soltanto in virtù della volontà di Dio l’anima può avere accesso, tramite la mortificazione, il disinteresse e la preghiera, alla Grazia e, con essa, all’amore. Ecco giustificata la fuggevole ma non per questo meno penetrante osservazione di Giovanni Getto: «Il sentimento dell’amore caratterizzato dal senso del disinteresse proprio di Tommaso da Bergamo»[1].
Il Quietismo
Si apre, qui, un problema che dovette di certo essere presente al beato Tommaso, e cioè quello di distinguere il più nettamente possibile la propria posizione da quella del Quietismo che, proprio sul finire del XVI secolo, aveva iniziato la sua diffusione e che, nel mentre Fra Tommaso componeva Scala di perfezione, guadagnava consensi in Spagna, in Francia e in Italia, tanto che sarebbe giunto fino a sfiorare papa Innocenzo XI, quasi «costretto», nel 1687, a condannarlo con una bolla, in modo da allontanare da sé ogni sospetto.
Il Quietismo proponeva, in sostanza, una netta prevalenza della contemplazione sulla meditazione, nella certezza che nell’«annichilamento» di ogni attività, esteriore come interiore, e nell’abbandono assoluto all’amore «puro» di Dio risiedesse l’unica via per l’unione mistica con il Signore.
Se consideriamo come tali teorie siano in fondo derivate dalla progressiva riduzione, nel corso del XVI secolo, della pratica della preghiera liturgica in favore di quella privata, si comprende come l’insegnamento di Scala di perfezionepotesse, se non fosse stato affiancato da un altro elemento discriminante fondamentale che ora vedremo, essere tacciato di un cedimento al Quietismo stesso.
Tuttavia, mentre quest’ultimo dichiarava il proprio rifiuto della penitenza e delle altre vie verso la perfezione, Fra Tommaso affermava che la perfezione si trova in Dio e consiste nel patire, non nel godere. (70)