Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura del frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento, Tommaso da Olera, proclamato beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni del mese di dicembre.
La natività
«Mentre si trovavano in quel luogo, si compiromno per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,6-7). Com’è noto, dei quattro evangelisti, Luca è l’unico che spenda queste poche parole per descrivere la nascita del Salvatore. Contrariamente all’importanza che, con il trascorrere dei secoli, questo momento ebbe per la Chiesa e forse ancor più per i fedeli, il natale e anche l’infanzia di Gesù sono piuttosto trascurati dai primi testi cristiani, preferendo loro di gran lunga, e per ottimi motivi, s’intende, i tre anni di predicazione, la Passione e la Resurrezione. Non così Fra Tommaso che scrive in un contesto culturale radicalmente diverso e appoggiandosi a una tradizione ormai molto più che millenaria.
Selva di contemplazione
Possiamo iniziare l’analisi della parte di Selva di contemplazione dedicata all’evento proprio dalla sua descrizione, ricca di dettagli intensamente umani. Da principio, quasi ubbidendo alla regola dell’unità di luogo, tempo e azione, il nostro Beato definisce lo scenario.”Era gionta questa santa Vergine in quel povero luogo con il Santo Gioseffo, dal longo viagio stanca e afflitta, cercando in Betlehem allogiamento: cercò da’ nobili, da’ mercanti, da’ artisti, da’ contadini, e da nessuno trovò luogo da allogiare. Furno costretti retirarsi fuora della città, in una grotta dove stavano li animali al coperto quando pioveva. Va’ ora, o anima divota, e contempla Maria e Gioseffo, tutti afflitti e stanchi; risguarda e contempla quel santo ventre con li occhi della mente tua: vedi il tuo tenero Gesù a patire, che patendo la Madre pativa anche il figlio; vedi quella tenera virginella che, reficiandosi alquanto, il santo sposo la compassionava, la consolava, e la santa Vergine consolava il suo Gioseffo. Parmi veder che, volendo la santa Vergine alquanto ripossare, il sposo, cavandosi il suo mantello e insieme con un puoco di paglia o fieno, gli accomoda un letticello, facendola sedere sopra. Parmi udire che in spirito dicesse il santo sposo alla sua amata sposa: «O santa mia Signora, ripossate alquanto sino che venirà il giorno che Iddio ci provederà. Non temete, o Madre di Dio». E mentre che così parlava, il povero vechiarello stanco e adolerato, si adormentò a canto della amata sua sposa. (Selva, 150)
L’invettiva contro la città
Segue l’inevitabile invettiva contro la città che non aveva compreso o che, comprendendo, aveva colpevolmente respinto l’opportunità di essere santificata dalla nascita del Figlio di Dio. Ma, di ciò, ci siamo occupati in altra parte. Restiamo, dunque, allo specifico e immergiamoci nell’unità di tempo: Maria sente che questo è il momento e il suo rapimento mistico l’innalza al di sopra della propria, contingente miseria.”Contempla, anima mia, e vedi quella gran regina, che in cambio di dormire se ne sta in altissima contemplazione di quell’ineffabile misterio della incarnazione del Verbo, si stupiva e amirava della gran carità e umiltà di Dio. Sentiva ella entro al suo santo ventre il figliol de Dio che movendosi dicesse squasi alla sua santa Madre che ormai lo partoresse. Oh che giubilo, che allegrezza sentiva la Beata Vergine che aveva un ardente desiderio di veder l’unigenito figliol di Dio per accarezzar e adorarlo! Essendo ormai venuta l’ora di dover impartorire la luce del mondo, si pose questa gran Signora genuflessa, sollevando se stessa in altissima contemplazione de questa natività del figliol di Dio, andando in estasi fuori di se stessa e scominciando comparire angeli dal cielo con suoi splendori. Stava la gran Madre de Dio con ochi levati al cielo, con il cuore infiammato di Dio e ripieno di Dio, per dar al mondo con il suo santo ventre l’unigenito figliol di Dio: stava ripiena di gaudio, immersa in un mar de delizie, fuora di se stessa. (Selva, 151).