Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, saggezza umana e sapienza divina” a cura di Clemente Fillarini, Messaggero di Sant’Antonio Editrice.
La riflessione di oggi
Scordate ogni vostro interesse, dovete ricordarvi del solo interesse di Dio e molto dovete custodire il cuore [perché è] stanza, albergo di Cristo (IV 132).
Oggi si parla di alberghi con più o meno stelle, provvisti anche di suite per chi ha maggiori possibilità. Sentiamo colleghi, parenti e amici che ci raccontano d’essere stati trattati da signori in questo o in quell’altro albergo, in località per lo più assai rinomate. Quando abbiamo ospiti cerchiamo di accoglierli in casa nostra ben ordinata e pulita, per non fare brutta figura. Dimentichiamo però che il primo albergo verso tutti dev’essere il nostro cuore, soprattutto per accogliere il nostro Signore come ci insegna fra Tommaso.
«Era giunta questa santa Vergine in quel povero luogo con il santo Giuseppe, dal lungo viaggio stanca e afflitta, cercando in Betlemme alloggiamento: cercò dai nobili, dai mercanti, dagli artisti, dai contadini, e da nessuno trovò luogo da alloggiare» (I 150). «Ora contempla, o anima devota, Gesù e Maria, che poco doveva tardare la sua natività. O Dio, quella città tanto favorita da Dio con la sua presenza e di sua Madre, non trovar albergo? Oh quanti peccatori stavano nei morbidi letti, in palazzi, in camere, appresso li delicati cibi, e la regina degli angeli con lo stesso Dio se ne sta in povera stalla!» (I 350). «Maria fu un’arca ove non doveva esser riposta la virga di Mosè, né le tavole della legge, né la manna del deserto, ma doveva esser riposto il vero Figliolo di Dio. Fu una spezieria tutta aromatizzata, fu un albergo nel quale doveva coprirsi il re degli angeli» (II 592).
«O santo e venerando amor di Dio, vigilate sopra di me, custodite il mio cuore: o foco divino, vi serva il mio cuore per ferale, la mia anima per albergo» (II 149). «Venite o padre di poveri, venite o datore di veri beni, venite o luce del mio cuore, venite o santo consolatore, venite o dolce ospite ad albergare nell’anima mia, perché, quando che voi, o santo Iddio, sarete in me, sentirò un dolce refrigerio nelle fatiche, sentirò una dolce requie» (II 471).