Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, saggezza umana e sapienza divina” a cura di Clemente Fillarini, Messaggero di Sant’Antonio Editrice.
La riflessione di oggi
Come fa il padre di famiglia, che non vuole dare ai cari figli una berretta per dare poi ad essi maggior contento, perché nega una speciale cosa per vestirli poi tutti di nuovo (I 277-278).
Forse è capitato anche a noi, da piccoli, di insistere per avere un dolcetto per la nostra gola, per ottenere un giocattolo o altro, ma ci è stato negato dai genitori nonostante i nostri pianti e le insistenze. Essi però, non acconsentendo al momentaneo capriccio, con la somma dei piccoli risparmi ci hanno poi acquistato qualcosa di ben più interessante, utile e duraturo; e allora, dimentichi delle lacrime più volte versate, abbiamo gioito e abbracciato i nostri genitori. Secondo fra Tommaso, Gesù si comportò allo stesso modo quando, risorto, apparve agli apostoli impauriti.
«Così fece nostro Signore: non volle totalmente levar dal cuore degli apostoli il timore, lo spavento, ma si riservò di andar al cielo per mandar lo Spirito consolatore acciò li sommergesse e abbruciasse facendoli ardere e nelle delizie del cielo» (II 278). Il premio che Dio dona non consiste, ovviamente, in grandezze umane, ma nel concedere la virtù per meritare la gloria eterna: «Non premio nei miei servi le grandezze, le ricchezze, né scettri, né corone, né imperi, né monarchie, né nobiltà, né l’esser teologi, ma premio la virtù, l’amore, l’affetto, l’ardore che verso di me hanno» (II 338). «Oh quanto s’ingannano gli amatori del fallace mondo, che aspettano premio da chi non gli può dar se non estrema povertà! Oh quanto sono infelici quelli che pongono la loro felicità in chi li fa infelici d’anima e di corpo» (II 304).
«Vedendo li amici miei che dovevano imitare me, suo Dio, mi affliggevo in vedere che dovevano patire tanti atroci tormenti per mio amore, sebbene da me sariano stati premiati di corona eterna» (II 317). «E quanto l’anima sarà lontana dal premio, Dio l’arricchirà di grazie maggiori» (III 260).