Il commento al Vangelo di oggi domenica 10 novembre di Don Giulio Dellavite.
Dal Vangelo secondo Marco
Gesù diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
Il commento al Vangelo
Nella vita i regali più belli sono persone, non cose. Mi ha sempre colpito un piccolo dettaglio del Vangelo di oggi: la vedova povera offre “due” monetine. Non poteva tenerne una? Avrebbe avuto tutte le ragioni.Non è questione di tanto o poco, ma di come. Quei due spiccioli erano “quanto aveva per vivere”. Non dà qualcosa (una parte del superfluo), offre se stessa. Si può dare senza amare, ma non si può mai amare senza dare. Questo pensiero mi porta oggi a condividere la spiegazione di una tradizione che ci può far assomigliare a quella donna, cioè l’offerta per far celebrare una Messa per chi ci è caro.
”Quanto costa?” ci sentiamo dire spesso noi preti. La Messa non ha prezzo. È Dio che dona a noi la sua presenza: “Dove qualcuno è riunito nel mio nome – dice Gesù – io sono in mezzo a loro ed esaudirò quanto mi chiedono”. Posso riconoscere questa presenza solo con formale ritualità, oppure – come la donna – farmi coinvolgere profondamente. Bastano due cosucce, il cui valore lo dà il cuore che ci metto.
La prima. Sull’altare offro il mio pensiero, come preghiera, ma, proprio perché per me è importante, chiedo alla comunità di unirsi a me e di sostenermi nel bussare al cuore di Dio. La seconda. Solidifico i sentimenti con un’offerta libera. Una lacrima evapora e un fiore appassisce, ma un sorriso resta: diventa un germoglio di risurrezione. La carità attraverso la comunità trasforma il buio della morte in gioia di vita in chi riceve il mio aiuto come carezza divina, nei nostri cari come suffragio/aiuto per la loro beatitudine,ma anche in me rinnovando sentimenti e rinsaldando legami.
È riempire un vuoto con un gesto pieno, non solo a parole. Fare un dono è concretizzare all’altro che lui è dono per me. Faccio un regalo a chi voglio bene quando compie gli anni. Per chi crede la data della morte è la nascita nella vita nuova.Faccio un regalo se voglio esprimere affetto e riconoscenza, o se voglio vincere la mancanza o ricordare momenti speciali. La gioia dell’altro grazie al mio piccolo pensiero riempie me.
La Messa è lo stesso “dono”: cambia solo il modo di offrirlo. Faccio un regalo come espressione di vicinanza indissolubile. La Messa, infatti, si può far celebrare anche per i vivi, per implorare aiuto nel dolore, per affidare qualche necessità o situazione particolare, per chiedere forza, luce, protezione. Le frasi belle e i sentimenti emozionanti (per i vivi e i morti) sono veri solo quando si trasformano in gesti: il voler bene chiede di fare del bene e di farlo bene, facendo star bene.
Questo porta bene (a chi lo riceve e a noi). Si può dare senza amare, ma non si può mai amare senza dare. Rendiamoci conto che da Dio, dai nostri cari, dagli altri abbiamo ricevuto molto di più di ciò che diamo noi. Non è la gioia che rende grati, ma è la gratitudine che rende gioiosi, perché è la memoria del cuore.