Il commento al Vangelo di oggi, domenica 19 novembre, di Don Giulio Dellavite.
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”»
Il commento
Si dice che l’amore è cieco. Secondo me non è cieco, ma presbite: vede bene allontanando. Quando si notano soprattutto le macchioline, le sbavature, le imprecisioni, le mancanze vuol dire che ci si è distaccati. A volte si riduce il Vangelo dei talenti a “usa bene le qualità!”. Invece la questione non è sul piano del fare ma dell’essere, il punto di domanda non è sul “quanto” ma sul “come”. Il nucleo, infatti, è una forte domanda sulla fede. Un talento erano 25 Kg d’oro equivalenti a circa 25.000 giornate di un operaio, circa 70 anni di lavoro: se l’età media era di 35 anni, ipotizzando di iniziare a 12 anni, sono 3 vite! Il punto di partenza, allora, è un investimento smisurato, una “start-up” coraggiosa, una fiducia immensa. Dio non dà qualcosa, ma dà la possibilità di una vita piena. Il talento non è una qualità personale, ma è un’energia divina data “in prestito” per una vita piena, bella, realizzata, sensata. Un dono strabordante tanto da riempire diverse vite in una. Per questo è tragica la frase finale: “Eccoti il tuo! Signore, ho avuto paura: ho sepolto il dono e ho affossato me stesso”. Eccoti il tuo! Quando in un rapporto si arriva a restituirsi ciò che ci si era regalati per unirsi, vuol dire che ci si è persi. Il problema non è “la distanza” ma “il distacco”. Il padrone era “lontano” ma non è mai stato “separato”. Non deve spaventarci il sentire Dio “lontano”, può succedere. Il disastro è quando noi siamo “distaccati” da lui e dalla preziosità della vita che ci è stata data in prestito. Riprova è che le lodi agli altri servi non riguardando la rendita, ma l’essere stati “fedeli” e si specifica “nelle cose da poco”, cioè nella quotidianità più solita e normale.
L’uomo di fede
L’uomo di fede – il “fedele” – non è chi non fa niente di male, ma chi ha fa qualcosa di bene, nel poco, costantemente. La fede ha le stesse regole dell’amore: in una coppia la fedeltà non è solo non tradire, ma è impegno a sostenersi e rinnovarsi. L’infedeltà non è mai un tonfo, ma è un cammino involutivo, di distacco, di presbiopia. Me lo insegnate voi: sposarsi non è “trovare” la persona giusta una volta per tutte, ma è “essere” la persona giusta giorno dopo giorno “nel poco” nei momenti belli e in quelli brutti, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, nella tranquillità e nella fatica. Oso paragonare le tre vite che ci stanno nel valore del talento ad ogni coppia: c’è la mia vita, la tua vita, la nostra vita. Se non si considera il dono come investimento smisurato e come responsabilità reciproca, ma si pensa solo a se stessi, cresce distacco, freddezza, incomprensione, affossamento. “La vita è una sfida, affrontata! La vita è un gioco, giocalo! La vita è un mistero, scoprilo! La vita è una gioia, gustala! La vita è pace, costruiscila! La vita è un’avventura, rischiala! La vita è felicità, meritala! La vita è una croce, abbracciala! La vita è amore, vivilo!” (diceva Madre Teresa di Calcutta). Ma attento! Se vedi bene le macchioline, ti stai distaccando!