Quando una persona non crea problemi si usa l’espressione “è un signore tranquillo”, nel senso di innocuo. A noi fa comodo che anche Dio sia “un Signore tranquillo” (con la S maiuscola) che se ne sta buono, sorridente, pacioso, “peace & love” pace e amore. Se fosse così, il simbolo del cristianesimo sarebbe un quadrifoglio, segno di fortuna attesa, di una lotteria dove basta pagare qualcosina per un biglietto (qualche Messa o formula magica o candela o rito) ma il monte premi è considerevole, anzi “divino”: un paradiso. Questa non è fede, ma è superstizione. Il simbolo del cristianesimo invece è la croce gloriosa, il crocifisso risorto.
Scegliere la croce è da coraggiosi
Ambedue questi elementi sono essenziali e non vanno distinti. Scegliere la croce è una scelta coraggiosa perché è usare il peggior fallimento come segno della maggior vittoria. È come se oggi qualcuno si vantasse portando al collo una sedia elettrica, dicendosi discepolo di un condannato perché è l’uomo più buono del mondo, anzi è proprio Dio. Non è logico, appunto. È una sfida e per poterla accettare deve esserci sotto qualcosa che smuove coraggio. Il nostro rischio è avere un Cristo senza croce o una croce senza Cristo. È lo stesso problema delle “eresie cristologiche”, cioè delle discussioni della prima comunità.
Avere un copione interpretare
Una tendenza porta ad accentuare talmente la divinità di Gesù da mettere in ombra la sua umanità, per cui sembrava necessario escludere da lui ogni imperfezione. Ne risulta un Dio impegnato a recitare la parte dell’uomo, un Dio mascherato da uomo. Da qui il miracolismo, il sapere tutto, l’avere un copione da interpretare sapendo già il lieto fine. Un Cristo senza croce. Dall’altra parte c’è un Gesù pienamente umano, compagno di strada e amico degli uomini. Soltanto ‘questo’ Gesù sarebbe capace di parlare con l’uomo contemporaneo, senza dogmi: profeta di libertà contro una religione alienante, testimone contagioso di pace e di libertà, povero vicino ai poveri. Conseguenza di questa maturità dell’uomo sarebbe l’emancipazione da ogni forma di dipendenza, di affrancamento da ogni mediazione sacrale. Si riassume nello slogan “Gesù sì, Chiesa no”. Un Gesù sessantottino. Una croce senza Cristo.
La prima eresia
Nei primi secoli la prima eresia si chiamava “docetismo gnostico” dal greco “apparire” perché diceva che le sofferenze e l’umanità di Gesù fossero apparenti e non reali. Quelli più concreti (gnostici-logici) dicevano che essendo Dio si fede sostituire sulla croce dal Cireneo. Se era Dio non poteva aver sofferto o avere le debolezze di un uomo, faceva finta. Dall’altra parte c’era l’arianesimo che diceva che Gesù era inferiore a Dio, era stato creato come gli uomini: certamente era una creatura superiore, con poteri divina, ma diversa dal Padre, per questo viene detto “figlio di Dio” intendendo un livello inferiore. Per questo oggi noi specifichiamo: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre (NB: sono due frasi diverse, a volte senti “non creato della stessa sostanza del Padre”: è il contrario di quello che c’è scritto!). A noi proprio va bene tutto.
Il nestorianesimo
Compare allora il nestorianesimo che tenta di mescolare: in Gesù convivono distinti l’Uomo e il Dio. Dio avrebbe scelto un bravo uomo e ci è entrato dentro e lo pilotava (unione morale e non sostanziale). Quindi Maria sarebbe Madre di Cristo ma non Madre di Dio. Per questo noi diciamo: “unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli… discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”. Questo ping-pong attraversa la storia e, facendo un salto fino al 1800 arriviamo alla grande discussione tra il Gesù della storia e il Cristo della fede. Sono cambiati solo i termini: o si evidenzia la divinità (Cristo della fede), o si accentua l’umanità (Gesù della storia). Su tali idee ci hanno discusso per secoli perché le sentivano essenziali per il senso della vita e come fondamento della speranza. Sono elucubrazioni mentali lontane? Ne siamo così sicuri?
Gesù: un grande uomo saggio
Quando diciamo “perché il Signore mi ha fatto questo? Dio non doveva permetterlo!” c’è sotto sotto l’idea di un grande burattinaio che toglie totalmente la dignità dell’uomo tanto da decidere per capriccio che vive e chi muore, chi si ammala e chi la fa franca. Un Dio così nega la libertà, sminuisce l’uomo e si mostra profondamente ingiusto, acido, distaccato. Quando viviamo da atei in settimana e da credenti alla domenica, c’è sotto sotto l’idea che Gesù è un grande uomo saggio, che ha detto cose belle e buone che mi possono aiutare come ordine morale di valori, o al massimo qualcuno di influente a cui chiedere se ho bisogno di qualcosa che magari mi risolve quell’impiccio o quel problema. Un super-uomo, non un Dio.
Fai l’uomo!
La mia nonna da bambino mi diceva: “fa’ l’om”, fai l’uomo! Dio fa l’uomo – il Padre che crea, fa l’uomo – il Figlio crocifisso che tocca il fondo e risorto vince ogni morte, fa l’uomo – la forza di compimento dalla storia del mondo e delle storie di ciascuno nello Spirito Santo. Il Dio di Gesù Cristo non mi fa o mi dà qualcosa, ma è senso e compimento di ciò che io sono. Uomo e Dio, incarnazione e redenzione, non si possono separare: l’umanità non è il luogo, ma è “il modo” in cui Dio si rivela. Gesù non è un Dio che viene vicino, ma un Dio che si tuffa e nasconde dentro l’uomo. Il Concilio Vaticano II dice: Dio “ha lavorato con mani di uomo, ha pensato con mente di uomo, ha agito con volontà di uomo, ha amato con cuore di uomo”. Quindi aveva limiti, “cresceva in età, sapienza e grazia” (Lc 2,52). Per questo il “Credo” non elenca idee astratte, ma ricorda Persone, fatti, una storia, le “opere di Dio”, dalla creazione sino a Cristo e poi a noi: è l’impegno di Dio in nostro favore. Non è una religione da imparare, ma è fede cioè richiede fiducia. Solo i gesti dicono la verità delle parole. Se qualcuno ti manda un SMS con scritto “ti voglio bene”, ma è lì davanti a te e ti dice “ah scusa non ci ho pensato che eri qui”. Tu cosa gli diresti? Quante volte facciamo così con Dio, anche in chiesa a Messa. Non ci accorgiamo di lui. Invece, Dio sta nei dettagli. L’amore vero sta nei dettagli. Altrimenti non ci credi. Punto. Te lo tieni buono, ma non hai un rapporto con lui.
La fede è una fiducia dinamica
Vale nella fede quello che succede quando compri uno smartphone di ultima generazione. Fino a dieci anni fa nella confezione c’era il libretto di istruzioni dettagliato. C’era tutto lì. Dovevi solo imparare a memoria. Oggi nella scatola hai un foglietto di tre pagine e la logica è che più ci “smanetti” più scopri le funzioni; più lo conosci più lo personalizzi, ci metti del tuo, scegli; più ci dedichi tempo, più ti apre le sue potenzialità. Impari di più, poi, se ti affidi a qualcuno che più di te ci è entrato e ti fa scoprire cose nuove, per testimonianza. Tutto dipende da una scelta. Lo stesso smartphone qualcuno lo usa solo per chiamare, qualcuno per giocare, qualcuno ci lavora, qualcuno ha dentro tutta la sua vita. C’è poi un ultimo aspetto importante: il medesimo cellulare è qualcosa che si aggiorna e cambia. Anche qui sta a te decidere. Così è la fede: è una fiducia dinamica, è una relazione da curare. Non è evidenza. Un Cristo senza la croce chiede una religione dell’obbedienza cieca e della ritualità fumosa. Una croce senza Cristo chiede una utopia che diventa oppio per non vedere la realtà. Il Dio di Gesù Cristo prende sul serio l’umanità: la fa fiorire dall’interno e non la cambia magicamente dall’esterno. “Dio non può farcela da solo: per realizzare il suo sogno deve entrare nei sogni dell’uomo e l’uomo deve poter sognare i sogni di Dio” (A. Heschel).