L’idea – che qualcuno già applica da tempo – è tornata alla ribalta in questi giorni in occasione dei festeggiamenti del trentennale della “Fondazione Guido Carli” che, con una lectio magistralis, riproporrà l’idea di inserire l’insuccesso nel curriculum personale, quello che usiamo come presentazione quando andiamo a bussare a qualche porta. Solitamente ci si presenta con quello che si sa fare, magari esagerando leggermente nell’esporre le competenze, soprattutto quelle umane: l’aspettativa, non detta, è che a margine di tantissime competenze ci sia riservata una maggiore considerazione nel momento della selezione. Come se fossero solamente i nostri punti di forza a raccontare la potenza che siamo noi. Al netto dei meriti e della fatica fatta per arrivare a quei traguardi, nell’aria resta una domanda: “Le è mai capitato di fallire in qualcosa?” Perchè, a conti fatti, nel curriculum nessuno scrive – anche solo per paura di non venir considerato – ciò che non è riuscito ad ottenere malgrado, magari, abbia investito il meglio di sé.
Valutare la personalità
Eppure, a rigore di logica, gli errori, le traiettorie deviate, i traguardi falliti e le cadute rimangono gli elementi chiave per valutare la personalità di ciascuno: è da come uno gioca la settimana dopo una sconfitta colossale che Pelè diceva di riuscire a stimare il valore di un atleta. È chiaro da apparire persino scontato da citare: a nessuno piace fallire in qualcosa. Più di qualcuno, però, racconta la possibile conquista nascosta dentro un fallimento: il semplice riprendersi da una ruzzolata dice di te quanto flessibile sei, spavaldo, intraprendente, audace. “Se non avessi compiuto il male che ho compiuto – raccontano spesso le persone in galera – non sarei mai riuscito ad accorgermi del bene che, anch’io, ero capace di fare. In carcere, incredibilmente, ho iniziato a vivere. Prima esistevo soltanto”. Il carcere, per molti, è un baratro profondo: per qualcuno può anche diventare il trampolino per nuovi obiettivi. Perchè, dunque, non citarlo questo fallimento?
Il valore terapeutico
Il suo valore terapeutico balza allo sguardo anche solo scrivendo la lista degli obiettivi falliti: ti riporta alla memoria ciò che si era sotterrato, ti ricorda che dietro quell’errore hai intravisto un segreto e, non ultimo, rende più interessante e credibile la tua presentazione. Se uno ha un curriculum impeccabile non è detto che per tutti sia sinonimo di garanzia. Al contrario, sapere che qualcuno si presenta con delle cicatrici fa supporre che, in caso d’incidente, sappia come si fa a riprendersi. O, almeno, che non si farà fregare dalla paura, per il semplice motivo ch’è la prima volta che incappa in una situazione del genere.