Si tratta della terza peculiare attenzione che erge alla sua propria attualità la figura di San Francesco. L’uomo contemporaneo è cosciente di avere abusato del creato fino ai limiti del consentito. Lo sa non soltanto perché si ritrova, suo malgrado, egli stesso vittima di impreviste – e assai temute – catastrofi ambientali e di insopportabili cambiamenti climatici che lo sfiancano nella sua irrefrenabile attività imprenditoriale, ma lo sa, soprattutto, perché egli ora conosce anche il costo economico che dovrà pagare tra qualche anno per non travalicare, passando dal limite del consentito a quello del proibito, l’abuso perpetrato sulla natura.
Questa nuova consapevolezza – è forse truistico farlo notare – ratifica la mentalità tecnica alla quale l’uomo supinamente continua ad adeguarsi[1]; ciò nondimeno essa sporge anche come una rinnovata responsabilità a (dover) proteggere il mondo, la natura, in una parola la creazione. E, anche osservato da questo terzo angolo visuale, Francesco d’Assisi torna quanto mai alla ribalta in tutta la sua attualità.
Il rapporto nuovo con il creato
È risaputo che Francesco d’Assisi instaura un rapporto nuovo con il creato[2]. Egli non cerca le creature per possederle o dominarle, ma le chiama per nome, invitandole a rendere lode a Dio, che le ha rivestite di bellezza e bontà[3]. Anzi, si mette liberamente a loro servizio, per amore del Signore che le ha create e che in esse si rivela[4]. Nella Regola non bollata scrive: «Siano [i frati] soggetti ad ogni umana creatura per amore di Dio»[5]. Non solamente chiama le creature «sorelle», ma le tratta «come esseri dotati di ragione»[6].
Per questo riesce a scoprirne la stupenda bellezza e dignità, a interpretarne il messaggio e a elevarle fino alla perfezione della lode divina. Ma sono addirittura le creature stesse che esultano alla sua presenza e si affidano a lui, perché egli le «restituisca» a Dio, intonandole nella lode piena del suo Cantico. In questa prospettiva, che non è solo religiosa, la natura diviene trasparente al divino, permettendo all’uomo riconciliato di pervenire in essa alla visione del Signore. La sua realtà non si esaurisce nella sua dimensione terrestre, bensì nel suo essere «segno», «immagine», «presenza», «rivelazione» dell’Artefice sapientissimo che, creandola a servizio dell’uomo, l’ha ordinata a compiersi in lui, che di Dio è immagine e somiglianza (Gn 1,26), essendo creato in Cristo il quale è l’immagine del Dio invisibile (Col 1,15), il primogenito di ogni creatura.
Immagine di Dio
Proprio in quanto «immagine di Dio», l’uomo ha ricevuto il compito di dare il nome alle creature (Gn 2,20) e di esserne il custode fedele. Purtroppo questo rapporto di relazioni venne rotto con il peccato dell’uomo (Gn 3). Come ho fatto notare sopra, in questo modo la creatura è stata rinchiusa nel disordine dell’egoismo umano e imprigionata della sua solitudine. Forse per questo, anche al tempo di San Francesco, alcuni movimenti ereticali si ostinavano a considerare la natura come contraria al bene dell’uomo e vedevano nelle creature un continuo pericolo per la salvezza del cristiano. Il loro era un falotico atteggiamento di fuga e di rinuncia.
Francesco d’Assisi, invece, ha avuto il merito di cambiare diametralmente prospettiva. Egli non priva la creazione del suo amore, bensì libera il suo cuore dalla passione dell’egoismo mediante la povertà volontaria, con la quale egli si impegna a non avere «nulla di proprio sotto il cielo»[7] e, quindi, a non bramare le creature quale oggetto di piacere o di potere, bensì ad ammirarle come opere di Dio e a liberarle dal gemito della loro prigionia (Rm 8,22-23), immettendole nella sovrana «libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21).
Il sogno realizzabile: un’umanità più conforme al progetto di Dio
Proprio otto secoli fa alcuni giovani di Assisi, Leone, Rufino, Angelo, ma anche altri come Bernardo da Quintavalle e Pietro de’ Cattani, attratti dall’esempio di Francesco pensarono di unirsi a lui diventando, così, i suoi primi discepoli e dando vita a una famiglia, il «movimento francescano» che a tutt’oggi risulta il gruppo ecclesiale più diffuso e capillare della Chiesa cattolica perché composto da circa 32.000 frati tra conventuali, minori, cappuccini e terziari regolari, 13.000 sorelle clarisse, figlie di Santa Chiara e 400.000 laici dell’Ordine francescano «secolare». A questi vanno aggiunte numerose altre Congregazioni religiose femminili e maschili di ispirazione francescana, tutte accomunate dal visibile «cingolo» a tre nodi.
Questo «movimento francescano»[8], a mio modo di vedere, ha oggi una almeno duplice consistente responsabilità. Innanzitutto, su invito della Chiesa, quella di fissare bene l’attenzione al fondatore, cioè a colui che ha tradotto la beatitudine dei poveri in spirito «nell’esistenza umana in modo più inteso: Francesco d’Assisi»[9]. Qui i francescani si giocano tutto. Il mondo oggi ha bisogno di «poveri in spirito» e di «spiriti poveri», che sono diametralmente opposti a quelli della volontà «di potenza», visto che povertà spirituale e materiale oggigiorno si fanno a gara tra di loro anche nel nostro Occidente[10]. Senza povertà volontaria (voluta) non vi è francescanesimo.
La responsabilità dei francescani
La seconda responsabilità che i francescani hanno di fronte al mondo sta nella loro effettiva unità. Nel primo «Ordine» – per chi sa leggere i segni dei tempi – questa è diventata oggi una necessità non ulteriormente procrastinabile di fronte all’ecclesiologia di comunione avviata con il Concilio Vaticano II. Quello, che era il sogno di Kajetan Esser[11], di un unico Ordo Fratrum Minorum è oggi più che mai vicino alla possibilità di realizzazione[12].
I frati, che si ispirano a Francesco d’Assisi come loro successori, stanno perdendo progressivamente di credibilità, ricadendo in un plateale paradosso, se fanno sì che sia imposta – come è successo recentemente – l’unione dell’Ordine francescano «secolare», mentre essi si dibattono per decenni su impolverati commi delle differenti «Costituzioni», senza accorgersi che i conventi dell’Europa, e del Nord del mondo, intanto si sono velocemente svuotati e molti giovani frati cercano – giustamente – altrove l’unità dei «cuori», quella cioè, stando a Francesco, che la gente si aspetta dai frati. In breve, e umilmente, è giunto il momento che anche i frati del primo Ordine imparino dai fratelli del «terzo» Ordine, ossia che i «chierici» traggano esempio dai «laici». La controprova di questo persistente anacronismo è che nessuno oggi (si) riesce a spiegare la vera differenza tra le «famiglie» del primo Ordine, non se viene interrogato da un credente, ma addirittura da un membro di qualsiasi delle altre famiglie francescane[13]. Cosicché l’interrogativo rimane ancora aperto: cioè senza risposta.
[1] Cf U. Galimberti, La casa di psiche. Dalla psicanalisi alla pratica filosofica. Opere XVI, Saggi. Universale Economica Feltrinelli 2019, Feltrinelli, Milano 2008, pp. 430-432.
[2] Cf F. Iglesias, Originalità profetica di San Francesco, Sussidi per la Formazione – Nuova Serie 11, Conferenza Italiana Superiori Provinciali Cappuccini, Roma 1986, pp. 67-74.
[3] Cf 1Cel n. 80, in FF 459, p. 303; Speculum perfectionis n. 118, in FF 1818, p. 1111; n. 119, in FF 1819, pp. 1118-1119.
[4] Cf Saluto alle virtù nn. 14-18, in FF 258, pp. 170-171.
[5] Cf Regola non Bollata, cap. 16, n. 7, in FF 43, pp. 75-76.
[6] Cf Richerius Senonenis, Gesta Senonensis Ecclesiae, in FF 2307, p. 1507.
[7] Regola non Bollata, cap. 6, n. 7 in FF 90, p. 93.
[8] Cf E. Caroli, Movimento Francescano. Fraternità e collaborazione, Conferenza Ministri Provinciali Famiglie Francescane, Bologna 20082, pp. 84-85. Com’è risaputo è alla lungimiranza e al tenace ottimismo di Padre Ernesto Caroli OFM (1917-) che si deve la nascita, nel 1972, del «Movimento Francescano» (Mo.Fra.).
[9] Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, p. 102.
[10] Rimando a quanto meglio esprime T. Desbonnets, Dalla intuizione alla istituzione. I Francescani, Traduzione di Lina Paola Rancati. Revisione di P. Cesare Vaiani, Presenza di San Francesco 33, Edizioni Biblioteca Francescana, Milano 1986, pp. 181-188.
[11] K. Esser, Origini e inizi del movimento e dell’ordine francescano. Nuova Introduzione di Lázaro Iriarte, traduzione dal tedesco di Giandomenico Foiadelli OFM Cap., Complementi alla Storia della Chiesa, Già e Non-Ancora 319, Jaca Book, Milano 19972, pp.192-193, sogno notato anche da F. Accrocca, Francesco e la sua Fraternitas. Caratteri e sviluppi del primo movimento francescano, in F. Accrocca – A. Ciceri, Francesco e i suoi frati. La Regola non bollata: una regola in cammino, Tau 6, Edizioni Biblioteca Francescana, Milano 1998, pp. 9-124, qui pp. 12-14.
[12] Faccio mio il lungimirante auspicio del Prof. L. Lehmann, Gli Opuscula e la riscoperta del carisma francescano: il contributo di Kajetan Esser, in A. Cacciotti, ed., Verba Domini mei. Gli Opuscula di Francesco d’Assisi a 25 anni dalla edizione di Kajetan Esser, OFM. Atti del Convegno Internazionale (Roma 10-12 Aprile 2002), Medioevo 6, Edizioni Pontificio Ateneo «Antonianum», Romae 2003, pp. 173-209, qui p. 209: «[…] che nel 2017, nel quinto centenario della bolla Ite vos (29 Maggio 1517) che ha sancito la prima effettiva e definitiva divisione dell’Ordine minoritico, possa esserci un’altra bolla che sancisca la riunificazione dell’Ordine dei Frati Minori». Esemplare in questo senso, inaugurando una nuova corrente storiografica, è il libro di P. Sella, Leone X e la definitiva divisione dell’Ordine dei Minori (OMin). La bolla «Ite vos», Analecta Franciscana XIV – Documenta et Studia 2, Grottaferrata (Roma) 2001.
[13] Non dimenticherò mai il giudizio – tanto icastico quanto veritiero – che lessi ancora oltre trent’anni fa in un famoso libro (il cui originale, però, risale al 1957) di I. Gobry, San Francesco e lo spirito francescano, Ritorno alle Fonti. Collana di Spiritualità a cura della Comunità di Bose, 7, Gribaudi, Torino 1977, pp. 64-65 [originale francese Id., St François d’Assise et l’ésprit franciscain, Sueil, Paris 1957]: «Attualmente il primo ordine di san Francesco conta in realtà tre diverse famiglie religiose: quella dei frati minori (o.f.m.) chiamati comunemente francescani, quella dei frati minori conventuali (o.f.m. conv.) e quella dei frati minori cappuccini (o.m.c. oppure o.f.m. capp.); in pratica, però, la loro vita non differisce per niente. I cappuccini hanno abbandonato a poco a poco i privilegi che avevano motivato la loro secessione: hanno ripreso la vita conventuale, le biblioteche e gli studi teologici, al fine di formare sacerdoti e perfino eruditi. All’incirca il loro statuto è uguale a quello dei francescani, con la sola differenza che osservano nel materiale dei conventi, la proporzione delle chiese, gli utensili del refettorio, una più grande povertà».