Particolarmente iridescente à un’espressione di Francesco nel Saluto alle virtù, allorché si osserva l’uomo che – attraverso l’obbedienza – diventa «suddito e sottomesso a tutti gli uomini che sono nel mondo e non soltanto agli uomini, ma anche a tutte le bestie e le fiere, così che possano fare quello che vogliono, per quanto sarà loro concesso dall’alto del Signore». Di conseguenza, Francesco d’Assisi diviene l’archetipo di una fraternitas caratterizzata dall’uguaglianza tra tutti i membri e dalla minoritas, ovvero dal rifiuto di ogni forma di potere e di superiorità. Ciò vale anche per i sacerdoti che fin dall’inizio entrano nell’Ordine. Ai sacerdoti in generale, e in particolare a quelli dell’Ordine dei Frati Minori, il Poverello offre una serie di indicazioni per la comprensione e l’esercizio del ministero: lo stupore per l’umiltà di Dio, lo sprone alla conversione, l’impegno a edificare la fraternità in particolare con la misericordia, la preferenza per i ministeri meno ricercati. La teologia francescana del presbiterato, insomma, coagula una forma peculiare del religioso presbitero che potrebbe proporsi quale modello inclusivo per ogni presbitero di altri Istituti maschili di Vita Consacrata e per i presbiteri diocesani delle nuovissime «unità pastorali».
Il grande rispetto di Francesco d’Assisi per i sacerdoti
È possibile affermare con sufficiente certezza storica e documentaria che nessun altro fondatore di Ordini, prima di Francesco d’Assisi, avesse dimostrato tanto rispetto per i sacerdoti, pur non essendo un Ordine «clericale»[1]. In realtà, tutto il segreto dell’approccio alla questione sta nella capacità di osservarla in modo verticale e non soltanto orizzontale, ossia in maniera cristologica e non meramente fenomenologica, come troppi scivolano a fare. Tale rispetto si fonda su precise convinzioni di San Francesco il quale, per umiltà, non volle mai essere ordinato sacerdote, così sintetizzabili: a) il rispetto ai sacerdoti è dovuto perché esso agiscono «in persona Christi» (come agisse Gesù Cristo in persona), indipendentemente dalla moralità della loro vita privata[2]; b) perché solo dal loro ministero si riceve il Sacramento dell’Eucarestia[3]; c) perché solo ad essi è affidata l’esclusività del Sacramento della Riconciliazione o del Sacramento della Penitenza[4].
Il testo rintracciabile nell’Ammonizione XXVI
Perla intangibile dell’intera ostrica che stiamo scrutando rimane, però il seguente testo rintracciabile nell’AmmonizioneXXVI: Beato il servo che ha fede nei chierici che vivono rettamente secondo la forma della santa Chiesa romana. E guai a coloro che li disprezzano. Quand’anche infatti siano peccatori, tuttavia nessuno li deve giudicare, poiché il Signore in persona riserva solo a se stesso il diritto di giudicarli. Infatti, quanto maggiore è il ministero che essi svolgono riguardo al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo, che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri, così quelli che peccano contro di loro hanno un peccato tanto più grande, che se peccassero contro tutti gli altri uomini di questo mondo[5].
Se, dunque, l’Ordine francescano dei Frati Minori soffre di una certa clericalizzazione, il tentativo di (voler) togliere questa «pellicola» non deve, se vedo giusto, essere perseguito sbriciolando questo autentico polo cristologico di amore e riverenza verso i sacerdoti, che per Francesco d’Assisi consisteva in una spontanea traduzione del suo ineguagliabile amore alla persona di Gesù Cristo e alla sua umanità di Figlio di Dio. Solo con il metodo del prudente discernimento degli spiriti, proprio quello sui cui continua a insistere si lavori Papa Francesco perché sia utilizzato, sarà possibile, dopo mezzo millennio di «separazione» tra gli Ordini Francescani, osservare dove sta la via mediana dell’equilibrio «totius Ordinis Minorum»: tra l’osservanza, la continua riforma e la vita in comunità (conventuale)[6]. Piuttosto che scecherarsi a dibattere attorno ai due fuochi dell’elisse, unione degli Ordini e/non loro (avvenuta) clericalizzazione, a chi qui scrive, fa, piuttosto riflettere, l’eventualità che l’identità del presbitero francescano, suddito, minore, umile e servo, venga tra-lasciata per un evidente ammanco di studi[7], come dichiarato all’inizio.
L’opera della Chiesa è ancora a primavera e così anche i suoi membri
Il senso profondo di quanto siamo venuti qui a dire è insito nella storia dell’Ordine francescano e, da questo angolo visuale, di ogni Istituto di Vita Consacrata maschile. Esso risponde alla domanda di come e attraverso chi abbiamo intercettato il carisma, di cui ora siamo responsabili latori nella Chiesa e nella società di oggi. Poiché ciò avviene normalmente per «via sacramentale», ovvero avendo incontrato in maniera realissima un frate o un religioso, di quella nostra primavera non possiamo dimenticare se egli fu anche un sacerdote o meno perché, per entrambe le possibilità, nel nostro io profondo agì la polarizzazione decisionale a voler imitare il fondatore attraverso la forma esistenziale o di quelreligioso sacerdote o di quel religioso «fratello» che, appunto, incrociammo. Ecco qui il punto. In molti Ordini la disanima del – parafrasando la Fisica di Aristotele – «ciò per cui una certa cosa è quello che è, e non un’altra cosa» (τo τί ᾖν εἶναι), risulta previa, mi pare, a qualsiasi dis-positivo decisionale, incusso, magari dalla fretta di dover risolvereun’unione o di dover arginare una presunta clericalizzazione.
Il discernimento, certo, impone di procedere. Ma anche di continuare a cercare e studiare, con la serenità dello storico che legge i «segni dei tempi», di cui scorgiamo tracce nel passato, nel presente e nel futuro. A questo proposito, volendo rispondere – in quegli anni – a un interrogativo che pulsava in teologia e, soprattutto, in missiologia, inerente lo sviluppo dell’opera evangelizzatrice della Chiesa, San Giovanni Paolo II (1920-2005) offrì nell’insuperata Enciclica Redemptoris missio (1990) una risposta che va tenuta in considerazione: «essa» – disse – «è ancora a primavera», utilizzando il termine latino ancora più plastico di «aurora»[8]. Lesse con acume il Vangelo, perché Gesù tarda a venire, non solo essendo in attesa che il Vangelo sia prima predicato fino agli estremi confini della terra e nelle isole (Mt 24, 14), ma soprattutto perché ha pazienza con l’uomo (Rm 8, 15-9, 1-3) e ci «dà tempo» perché ognuno di noi possa convertirsi in profondità. Eccoci giunti ai due poli che circoscrivono un primo sereno equilibro nell’accostarsi alla questione, indipendentemente dalla tipologia dell’Istituto di Vita Consacrata e, perfino, della posizione di chierico oppure laico (laica) nella Chiesa. Sono questi: il primo polo preme sulla necessità di continuare ad annunciare il Vangelo «sine glossa», incombenza che spetta quale precipuo compito a chi è sacerdote; il secondo polo fonda il valore insostituibile della testimonianzacristiana, per cui ciascuno e ciascuna possono annunciare, anche senza dire nulla, proprio come intuì Francesco, il quale indicò a due Frati di annunciare in Vangelo in silenzio con la sola presenza di «sorella tunica»[9], che essi vestivano. Ritornare a questa primavera, quella della nostra chiamata, essendo la Chiesa stessa ancora nel momento dell’aurora, favorisce lo possibilità di ammirare l’essenza del sacerdozio francescano e del religioso in genere, liberandone tutte le virtualità.
[1] Per correttezza va precisato che il Codice di Diritto Canonico (CJC 1993) considera i tre Ordini dei Frati Minori (Conventuali, Minori e Cappuccini) e il TOR «Ordini clericali di Diritto Pontificio» (can. 589) .
[2] «Coprite i loro falli, supplite i vari difetti, e quando avete fatto questo, siate più umili ancora»: Tommaso da Celano, Vita Seconda, cap. CVII, n. 146, FF 730)
[3] «Ecco, ogni giorno egli si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; […] ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote»: Francesco d’Assisi, Ammonizione VI, nn. 33-35, FF 193-194.
[4] «I frati miei benedetti, sia chierici che laici, confessino i loro peccati ai sacerdoti della nostra Religione»: Francesco d’Assisi, Regola non bollata cap. XX, n. 1, FF 53.
[5] Francesco d’Assisi, Ammonizione XXVI, in FF 176.
[6] Cfr. L. Bertazzo, Dalla divisione all’unità. Percorsi francescani: 1517-2017, in «Credere Oggi» 37 (2017) n. 3, pp. 91-108.
[7] «Non bisogna fare confusione … acribia filologica»: G.G. Merlo, Unicità di frate Francesco e pluralità di San Francesco, in «Credere Oggi» 37 (2017) n. 3, pp. 9-22, qui p. 19.
[8] San Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptoris missio. Circa la permanente validità del mandato missionario [7 Dicembre 1990] n. 86, in «Acta Apostolicae Sedis», 83 (1991) pp. 267-294, qui p. 280.
[9] Tommaso da Celano, Vita Prima, cap. 22, n. 62, FF 430.