All’interno della ricca produzione bibliografica di Jean Daniélou (1905-1974), il libro Il mistero della storia rappresenta, per ragioni che verremo ad esporre, l’opera per antonomasia del Gesuita francese, adesso rieditata per la terza volta in lingua italiana. Con la sensibilità tipica del teologo formatosi alla scuola dei Padri, nello studio Essai sur le mystère de l’histoire[1] stampato a Parigi nel 1953, elabora una teologia della storia circoscrivendone lo scopo in tre nuclei: definire la posizione della storia della salvezza in rapporto ad altri campi in cui avviene talvolta che la si assimili, come la storia della civiltà o delle religioni[2]; determinazione della storia della salvezza nella sua propria natura, così come emerge dalla Bibbia; relazione tra il destino dell’uomo e la storia sacra, attraverso la quale egli si impegna e realizza la sua esistenza[3]. Questi tre centri di interesse sono anche le tre grosse suddivisioni del saggio, ossia l’analisi dei problemi, dei misteri e delle decisioni.
La tipologia biblica è il contenuto alla storia della salvezza
In questo libro Il mistero della storia Daniélou segue un percorso a tappe. Nella prima, egli è inizialmente ancora legato alla ricerca di un metodo per la teologia della storia[4], tentando, da parte sua, di definirlo in due tappe fondamentali: distinzione previa dalla concezione della storia marxista[5]nonché dalla visione evoluzionista[6] e comparazione successiva con storiografi dell’antichità e filosofi della storia moderni, nell’intento di illuminare la questione della connessione tra storia della salvezza e storia profana. Nel primo passo egli precisa, innanzitutto, che il cristianesimo non è un «momento» dello sviluppo storico[7], ma è, anzi, l’unità rappresentativa all’interno della storia che supera la scomparsa delle nazioni[8] e delle civiltà nel tempo, attraverso la presenza della Chiesa, nella quale tutte le differenze vengono abolite[9]. Per il cristianesimo la storia è essenzialmente decisa da Gesù Cristo e l’avvenimento principale è al centro, non alla fine, mentre i grandi avvenimenti che riempiono la storia reale non sono le rivoluzioni[10], bensì i sacramenti in quanto grandezze nell’ordine della carità[11].
Nel secondo passo, il Gesuita di Parigi tenta di individuare alcuni esponenti che avevano particolarmente preso in esame il famoso rapporto tra le due storie, la sacra e la profana, elencando tra questi Löwith (1897-1973)[12], Eusebio di Cesarea (260-340 ca.)[13], Bossuet (1627-1704)[14] e Toynbee (1889-1975)[15], i quali avrebbero letto la storia delle civiltà in un senso provvidenzialista, vale a dire secondo un’interpretazione cristiana della storia profana, che è esattamente la filosofia della storia[16]. Tuttavia, è Voltaire (1694-1778) colui che, sostituendo l’idea di Provvidenza con quella del progresso dei lumi, interpreta la storia come uno sviluppo indefi-nito della civiltà[17]. Con tutto ciò si è creato un compromesso tra uno studio positivo dei fatti e una affermazione di valore che è, per parte sua, un atto di fede. Per Daniélou, infatti, la storia profana costituisce l’oggetto dell’inchiesta storica (historia), mentre la storia sacra è oggetto di una pura fede. Tra le due non vi è il medium di una filosofia della storia, religiosa oppure profana[18].
Ciò nonostante, egli è ben consapevole che la riflessione umana aveva prodotto altri tipi di risposta, al di là di quella provvidenzialistica, che esplicitassero la consapevolezza delle religioni circa l’azione di Dio nella storia: si tratta soprattutto del simbolismo[19], ossia della percezione, poi tradotta in simbologia, che Dio dice qualcosa di sé attraverso la sua azione nel mondo visibile. Se rapportato ad alcune tipologie assunte dal simboli-smo delle religioni lungo i secoli[20], ci si accorge facilmente come il carattere del simbolismo biblico propriamente detto possa venire, per contrapposizione, correttamente illuminato. Quest’ultimo certifica che, mentre il piano storico di Dio si sviluppa, si rende pure manifesto che le sue azioni successive presentano fra di loro alcune corrispondenze all’interno dello schema tipo-antitipo (Rm 5,14; 1Pt 3,18)[21], il quale confe-risce agli avvenimenti stessi un significato particolare. La tipologia biblica è, dunque, essenzialmente escatologica:
Ma in ciò la rivelazione biblica non fa che rettificare la religione naturale, e restituire i suoi simboli al loro vero significato. La sua novità autentica non è qui. Essa ha come oggetto essenziale quello di essere una testimonianza resa alle azioni storiche di Dio. È questo un profondo rivolgimento alla realtà delle cose, che implica un identico rivolgimento nei concetti religiosi. Dio non si rivela più soltanto nella regolarità dei cicli cosmici ma nella singolarità degli avvenimenti storici. Questi avvenimenti storici, che sono altrettanti atti creato-ri, sono essi a costituire la storia sacra: l’elezione di Abramo, la fuga in Egitto, il regno di Davide, l’incarnazione di Cristo, la sua resurrezione, i Sacramenti della Chiesa, il giudizio finale[22].
Attraverso questi due passi e il confronto con il simbolismo della storia delle religioni, Daniélou viene così a determinare il contenuto originale della storia della salvezza e a scoprire l’«essenza» della Rivelazione cristia-na, cioè l’azione di Dio nel tempo e nella storia[23], secondo il succedersi continuo dei magnalia Dei che si protraggono, attraverso lo scorrere del tempo, nei miracoli[24] e nella vita dei santi, ovverosia negli autentici prota-gonisti della storia[25].
[1] J. Daniélou, Essai sur le mystère de l’histoire, Paris 1953. Si utilizza la tr. it. Id., Saggio sul mistero della storia, Morcelliana, Brescia 2012 d’ora in poi [MH]. I rimandi [=] sono all’edizioni originale in lingua francese (1953).
[2] Lo nota anche I. Morali, «J. Daniélou e la teologia della salvezza», p. 32: «L’opera Essai sur le Mystère de l’histoire (1953) si pone in continuità con la riflessione degli anni precedenti. Al centro della ricerca teologica di Daniélou restava la questione nodale di come “rappresentare la relazione” Cristianesimo-altre religioni».
[3] Cf MH, pp. 9-10=pp. 7-8; cf pure J. Daniélou, «Christianisme et histoire», 167.
[4] Anche per Daniélou, il primo vero antesignano della teologia della storia è stato Agostino: «è dalla De civitate Dei che il cristianesimo prende veramente coscienza della concezione della storia nella sua paradossale originalità», ossia che «la storia santa è fatta di inizi assoluti che restano poi eternamente acquisiti»; MH, p. 13=p. 11. Cf pure J. Daniélou, «Geschichtstheologie», p. 795.
[5] Cf MH, pp. 89-95=pp. 78-79.
[6] Cf MH, pp. 16-17=pp. 14-15.
[7] L’operazione riduzionistica dell’ermeneutica marxista e di una parte dell’idealismo tedesco nei confronti del cristianesimo è appunto quella di considerarlo un mero «momento» dello sviluppo del processo storico in generale: cf J. Daniélou, «Christia-nisme et histoire», 175, e MH, 33-35=29-31. Durante il primo periodo del Concilio Ecumenico Vaticano II (11 ottobre – 8 dicembre 1962), Daniélou venne chiamato a contribuire nella redazione di un «proemio» sulla Rivelazione, dove, come verrà ulteriormente precisato nell’ultima parte, si risente chiaramente della condanna di coloro che considerano il cristianesimo un momento transeunte della storia delle civiltà e, quindi, della visione idealistica e marxistica della storia: cf G. Caprile, Il Concilio Vaticano II, II, 179-182; F. Jacquin, Histoire du Cercle Saint Jean-Baptiste, 142-144. Il contributo diretto di Daniélou è direttamente rintracciabile in: G.M. Garrone, «Au Concile», 32-33; M.-J. Rondeau, «De Revelation et Verbo Dei», 1-2
[8] Cf MH, 50-51=44-46.
[9] Cf MH, 65-68=58-60.
[10] In un capitolo a parte intitolato Action temporelle et mythe marxiste, Daniélou spiegherà che anche il cristianesimo intesse una sua azione temporale sia mediante l’umanizzazione della civiltà, come pure attraverso il vero progresso che coincide con la liberazione delle anime dalla loro schiavitù: cf MH, 97-107=86-94.
[11] Cf MH, 93-96=82-85, e J. Daniélou, «Geschichtstheologie», 794.
[12] Come primo esponente della lista che qui segue, Daniélou colloca K. Löwith (cf MH, 116=102). Quella di Löwith è una ricerca se l’inchiesta (historia) sui fatti della storia umana e l’interpretazione teologica della storia sacra, siano suscettibili di incon-trarsi, come di fatto il filosofo tedesco aveva sostenuto in K. Löwith, Meaning in History, 191-203.
[13] Cf Eusèbe de Césarée, Histoire Ecclésiastique, I-X.
[14] Cf J.-B. Bossuet, Discours sur l’histoire universelle.
[15] Cf J.A. Toynbee, A Study of History, I, 1-16. È curioso notare come Toynbee ricerchi proprio nel Cantico di Frate Sole di Francesco d’Assisi (1181-1226) un’espressione della coscienza credente che percepisce la storia profana in quanto guidata dalla Provvidenza all’interno di una trama unica di storia della salvezza: cf ibid., X, 140-141.
[16] Cf J. Daniélou, «Geschichtstheologie», 795-796.
[17] Cf Voltaire [François Marie Arouet], Essai sur les moeurs, I-VI. Bisogna, tuttavia, ricordare che J.-A.-N. Condorcet (1743-1794) rafforza questa prospettiva ottimista e G.W-F. Hegel (1770-1831) ne offrirà l’architettura filosofica, per cui la storia è tutta razionale. Tale storia, però, nata da una laicizzazione della dottrina sulla Provvidenza divina, non ha in alcun modo quel carattere scientifico che pretende di avere in A. Comte (1798-1857) o in K. Marx (1818-1883): cf MH, 116-118=102-103.
[18] Cf MH, 118=104.
[19] Daniélou inserisce questa riflessione tra i «problemi» di teologia della storia quasi provocato dall’opera di R. Guénon, Le Roi du monde, 99-136, la quale assicurò una certa riabilitazione della conoscenza simbolica di fronte a quella scientifica e, quindi, anche al metodo storiografico di lettura degli avvenimenti: cf MH, 135-142=120-126.
[20] Per le religioni il simbolismo costituisce la Rivelazione di Dio attraverso il mondo visibile; esse, infatti, colgono qualcosa di Dio attraverso la sua azione nel cosmo visibile, vale a dire attraverso la sua azione creatrice e provvidenziale, e non solamente nei suoi interventi storici che compariranno soltanto con Abramo. Oltre a quello propriamente biblico, si possono distinguere nel simbolismo altri due caratteri. Nel primo, permane e perdura inalterato un continuo tentativo di «perversione» che si concretizza propriamente nel mito. Quest’ultimo è, infatti, una degradazione della religione naturale nella misura in cui arresta la ierofania al significato delle pure realtà biologiche, proiettate in un mondo ideale, anziché attingere attraverso di esse il Dio trascendente (Rm 1,21-23). Nel secondo, la conoscenza simbolica assume anche un versante tragico, ovverosia è sottesa al continuo dramma che il simbolismo cosmico debba superare il mito e che quello storico debba a sua volta superare il simbolismo cosmico: cf MH, 151=134-135; 157=139.
[21] Cf MH, 150=133. «Diese verschiedenen Etappen der Heilsgeschichte sind nicht heterogen. Durch sie tritt das Handeln Gottes in seinen bleibenden Aspekten zutage: Schöpfung, Befreiung, Bund, Bleiben, Gericht. Die Analogie dieser analogen histori-schen Situationen bildet die Grundlage der Typologie»: J. Daniélou, «Geschichtstheo-logie», 794.
[22] MH, 151-152=134-135.
[23] «Il Cristianesimo è innanzitutto un avvenimento storico, l’Incarnazione di Gesù Cristo. Il che ci dimostra come l’essenza della rivelazione cristiana non sia di farci conoscere l’esistenza di Dio — altre religioni lo hanno conosciuto — ma di mostrarci un Dio che agisce nel tempo, che penetra nella storia degli uomini, i cui interventi costituiscono atti decisivi»: MH, 124=109.
[24] L’impatto totalizzante della Rivelazione rispetto all’ambiente culturale circostante, stimolò i pensatori cristiani — e in modo particolare i Padri — a creare una categoria nuova per interpretare la storia. Ciò che veniva considerato reale solo perché suscettibile di ciclica ripetibilità, secondo la prospettiva che indulge a divinizzare le leggi della natura, diviene ora reale perché si manifesta nella sua inaspettata unicità. «Ce qui est vrai éminemment de l’Incarnation, l’est aussi de tous les autres événements qui jalonnent l’histoire sainte, de ces gesta Dei qu’on appelle les miracles. L’exemple du miracles est précisément l’un de ceux qui aident le mieux à comprendre l’incompatiblité de la vision grecque et du fait chrétien. Le miracle est en effet essentiellement un fait historique, c’est-à-dire qu’il se suite dans une vision du monde considerée comme une histoire où chaque événement est unique»; J. Daniélou, «Christianisme et histoire», 168.
[25] Cf MH, 105-107=93-94.