Pubblichiamo, in otto puntate, una riflessione teologica di fra’ Gianluigi Pasquale intitolato “L’esegesi della Scrittura in san Bonaventura. Il modello del Commentarius in Evangelium Ioannis”. Questa è la prima.
L’esegesi della Scrittura in san Bonaventura
Nel Prologo all’Itinerarium mentis in Deum san Bonaventura ammoniva il suo lettore[2] ad essere come il profeta Daniele, uomo di desideri, pena l’autoesclusione dalla possibilità di aprirsi al dono della contemplazione del mistero cristiano[3]. È convinzione di chi qui scrive – convinzione solidificatasi dopo alcuni anni di studi su san Bonaventura – che il protocollo della cristologia del Dottore Serafico si rintracci esattamente nel suo Commentarius al Prologo del quarto Vangelo. Al fine di sostenere questa tesi, questo contributo dapprima contestualizza l’opera esegetica del santo dottore nell’ambito del rinnovamento biblico-teologico del XIII secolo e precisamente alla Sorbona. Quindi, vi sarà un tentativo di cogliere nella struttura del Commentarius in Evangelium Ioannis [d’ora in avanti: In Ioan.] un canale semantico generale all’esegesi bonaventuriana, benché non immediatamente apprezzabile: l’apparente pesantezza di innumerevoli classificazioni cede alla ricerca interessanti frutti di acume, di sapienza e di unzione. Infine, passeremo all’analisi del testo bonaventuriano nella parte specificamente dedicata al commento del Prologo del quarto Vangelo.
Si è ritenuto di poter condensare la cristologia del Dottore Serafico in quattro punti principali: il Cristo Verbo in se stesso, ossia la Parola nel suo essere medio relazionale tra un Dicente e un detto; il Cristo Verbo in quanto si manifesta, ossia fissando lo sguardo sull’attività fàtica di Dio nei confronti dell’uomo e della storia, dove tale Parola risuona; l’uomo in quanto partner per lo più sordo, chiuso nel suo piccolo mondo di rumori e incapace di sentire altro che conferme alla propria miseria e al proprio limite; e, infine, l’alleanza ritrovata e ritrovabile, tra l’uomo e il suo Dio, per cui grazie all’esperienza dell’amore gratuito, ricevuto e di nuovo offerto, rinasce il sogno di una vita pienamente realizzata, dove la creatura ritrova la sua vocazione primigenia nel ri‑volgersi ad ascoltare sempre di nuovo quella stessa Parola che l’ha creata, e, prima ancora, amata da sempre. Si tratta, in fondo, dello schema exitus-redditus: più e prima che scolastica, è una struttura tipicamente giovannea. Nel Prologo, Bonaventura contempla una sintesi dell’agire di Dio, dalla creazione al conferimento del potere di divenire suoi figli per il dono del Figlio, liberamente venuto per questo a piantare la tenda tra di noi. Solo Gesù Cristo ha l’exousia per poter parlare di Dio apertamente e con verità, perché solo lui ha visto il Padre e ne ha sentito la voce: «Dice Gesù: “Io Sono, colui che parla a te”»[4].
Bonaventura legge la sacra Scrittura a Parigi
Come ha scritto uno degli studiosi più accreditati del pensiero del Dottore Serafico:
Bonaventura ha scelto liberamente una vita austera. Non occuparsi che di Dio, tendere con tutto il proprio essere a vivere continuamente alla sua presenza e a gustarla nella contemplazione. Lo studio per lui non è solo un mezzo di ascesi. Esso è inseparabile dalla sua vita. Francescano, vuole attuare […] la sua vita francescana nella facoltà di Teologia di Parigi[5].
All’Università di Parigi[6] i corsi si aprono ogni anno il 1° Settembre per terminare il 29 Giugno, seguendo normalmente questo orario: da Prima a Terza, la lezione ordinaria del maestro, che legge e commenta la sacra Scrittura accostando i testi e aggiungendovi le glosse, i commenti dei Padri, eventualmente questioni filosofiche o teologiche sollevate dal passo preso in esame; da Terza a Sesta, la lettura del Liber Sententiarum di Pietro Lombardo da parte del primo baccelliere (detto perciò «sentenziario»); da Nona fino a Vespro, la lettura della sacra Scrittura affidata al baccelliere biblico. Dal 1° Settembre 1248 alla stessa data nel 1250, Bonaventura ricopre questo incarico sotto la direzione del maestro Guglielmo di Melitona: la «lettura» del baccelliere biblico non è un corso di esegesi, bensì un’esposizione spiegata del testo letterale, senza entrare troppo nei dettagli, seguendo note non redatte da lui stesso, ma, per lo più, dal maestro reggente.
Bonaventura, durante questi anni, ha dovuto iniziare l’abbozzo dei suoi Commentarii; ma è chiaro che il testo che noi leggiamo oggi è stato ripreso durante la sua reggenza[7]. Se certamente in uno studio critico si possono individuare elementi della prima lettura fatta cursorie, l’architettura generale e la tecnica presenti sono la prova interna di un’ampia e meditata rielaborazione. La spiegazione del testo ha inizio con la divisio. Da pochi anni, il rinnovamento dell’esegesi biblica da parte dei maestri in «sacra pagina», aveva portato tra i suoi frutti anche la divisione del testo scritturistico in capitoli (distinti con le lettere: a, b, c…), secondo l’uso liturgico, da parte del vescovo inglese Stephen Langton (†1228)[8]. Era necessario, pertanto, puntualizzare la divisione del testo (i versetti saranno numerati solo nel XVI sec. con Pagnini ed Estienne), citando le parole che indicano le singole divisioni. La lettura spiegata del testo evangelico procede presso Bonaventura con la ricerca del senso spirituale. Alla luce della grazia, il maestro domanda ai suoi allievi di essere discepoli di Cristo[9], accostandosi alla Scrittura come raccomandava san Francesco, non «bramando di sapere le sole parole, per essere ritenuti i più sapienti in mezzo agli altri»[10], ma con cuore purificato, illuminato dalla fede, con un assenso fedele e umile. Così che tutta l’opera di Bonaventura è intessuta di citazioni bibliche che si richiamano l’una all’altra, senza che mai si tratti di uno sfoggio di erudizione[11]. Egli conosce praticamente tutta la Bibbia a memoria; non solo: appare veramente nutrito di Scrittura, e anche in questo si dimostra discepolo di Francesco, che, avendola talmente meditata e assimilata, esprimeva ciò che pensava attraverso la Parola di Dio. Jacques Guy Bougerol[12] afferma che entrambi sono «teologi biblici», nel senso di uomini in ascolto di Dio.
Il Dottore Serafico esprime con chiarezza il suo modo d’intendere il compito di docente: esporre la sacra Scrittura è come aggiungere i due denari dati dal Samaritano. I due denari sono i due Testamenti, il Samaritano è Cristo, il pellegrino semivivo è l’uomo privato della grazia e ferito nella natura propria, l’aggiungere è l’opera del Dottore che espone la sacra Scrittura[13].
[1] San Francesco, Ammonizioni XX, in Fonti Francescane. Nuova edizione, [170], a cura di Ernesto Caroli, Edizioni Francescane, Padova 20042, p. 101 [d’ora in poi Fonti Francescane: FF (qui n. 170)].
[2] Gianluigi Pasquale, OFM Cap., è Professore di Teologia sistematica presso la Pontificia Università Lateranense e nello Studio Teologico affiliato «Laurentianum» dei Cappuccini di Venezia, di cui è anche Preside. Collabora con il CISE dell’Università di Venezia e con la SdAFF all’Università di Torino. Tra i suoi scritti ricordiamo: La teologia della storia della salvezza nel secolo XX (Nuovi Saggi Teologici. Series Maior3), Dehoniane, Bologna 2002 (tr. croata 2010) e Oltre la fine della storia. La coscienza cristiana dell’Occidente (Ricerca), Bruno Mondadori, Milano 2004 (tr. inglese 2010).
[3] «Non enim dispositus est aliquo modo ad contemplationes divinas, quae ad mentales ducunt excessus, nisi sit vir desideriorum»: Bonaventura da Bagnoregio, Itinerarium mentis in Deum, [Prol. 3], V, Ad Claras Aquas, Firenze 1925, p. 127.
[4] Gv 4, 26.
[5] J.G. Bougerol, San Bonaventura. Un maestro di sapienza, LIEF, Vicenza 1972, p. 65.
[6] Cfr. per questo paragrafo J.G. Bougerol, San Bonaventura, pp. 59-75; Id., Introduzione a Bonaventura da Bagnoregio, Commento al Vangelo di san Giovanni /1, Città nuova, Roma 1990, pp. 7-11.
[7] A partire dal 1° Settembre 1253, Bonaventura iniziò l’insegnamento vero e proprio (sostenne l’esame di Licentia Docendi certamente prima del 25 Novembre 1253, giorno di santa Caterina dell’anno giubilare nella morte di Santa Chiara, sempre dispari, termine della sessione) senza, però, il titolo di “maestro reggente”, che riceverà dall’Università nel 1257, assieme al suo illustre collega san Tommaso d’Aquino.
[8] Cfr. P. Bonatti – C.M. Martini, Il messaggio della salvezza. Corso completo di studi biblici, ElleDiCi, Torino 1972, vol. I, p. 7.
[9] Cfr. J.G. Bougerol, San Bonaventura, p. 84.
[10] Francesco d’Assisi, Ammonizioni VII, in FF 156.
[11] «Scriptura perscrutanda est studiose, non curiose», cfr. Bonaventura da Bagnoregio, Commentarius in I librum Sententiarum, Prooem. q. 2 ad 1 (I, 11).
[12] J.G. Bougerol, San Bonaventura, p. 69.
[13] Bonaventura da Bagnoregio, Commentarius in I librum Sententiarum, Prol. di P. Lombardo, dub. 2 (I, 23).