Estratti dell’intervista di Enrico Caiano per Sette a Kim Rossi Stuart
Brado è il titolo del suo ultimo film, il terzo da regista (e protagonista). Ma brado è una parola che può definire bene anche lui, Kim Rossi Stuart, 53 anni alla fine di ottobre, uno dei pochi bellissimi indiscutibili del cinema italiano. (…) “Non sono nobile, il cognome Stuart lo inventò mio nonno per aiutare papà, anche lui attore. Il nome è un omaggio a Kipling”.
Brado e aristocratico con quel cognome da casa reale scozzese, da erede di Maria Stuarda, accoppiata al più banale e popolare dei cognomi: Rossi. Si fa una risatina e ferma subito la ricostruzione: «Quel cognome se l’è inventato mio nonno. Per mio padre che faceva l’attore». E che si sarebbe chiamato Giacomo Rossi, chiaro che biognava intervenire per toglierlo dall’anonimato. Certo l’abbinamento tra Rossi e Stuart creato a tavolino ha del geniale: «Premesso che la contemplazione di sé stessi come diceva Steiner andrebbe evitata, anche no insomma.. Però la domanda un po’ la capisco e un po’ ci sta. Si lega a questo aspetto che mi porto dietro sin da ragazzino, con questo corpo un po’ diverso da quello classico nel nostro contesto romano, con quel di più di principesco. Poi però alla fine ho sempre amato, apprezzato la strada».
E Kim invece? Oggi rischia di richiamare Kim Kardashian, tutto il contrario di quello che è lei: un’astuta modella imprenditrice di sé stessa, personaggio tv e influencer sui social...
«Guardi che l’ho sentito il nome, non creda… Un’ attrice anche lei, no? Vabbé, ma giusto quello so».
Ma chi l’ha scelto Kim? Sua madre, la modella tedesco-olandese Klara Müller?
«Ma no, quella fu un’idea di mio padre. Stuart era un gioco del nonno ma mio padre era di madre realmente scozzese e anche un pochino olandese, con in più un tocco di sangue indonesiano. La poesia preferita di mio padre era proprio quella famosissima di Kipling, Se ( Lettera al figlio ). Kim era il protagonista di un altrettanto famoso romanzo di Kipling, uno dei primi libri che ho letto da piccolo ma di cui non mi ricordo granché, giusto che era ambientato in India».
Beh, Kim era un ragazzino che fa amicizia con un anziano monaco buddista tibetano ed è pronto a seguirlo nel suo cammino spirituale. Suo padre forse aveva colto qualcosa di lei dandole quel nome appena nato…
«Proprio non me lo ricordavo».
Eppure dopo che qualche giorno fa è stato fotografato in preghiera a Medjugorje difficile non pensare alle potenzialità spirituali di chiamarsi Kim. Come mai questo pellegrinaggio?
«Arriva dopo che ho scritto un racconto ambientato a Medjugorje nel mio primo libro uscito tre anni fa con la nave di Teseo, Le guarigioni. E anche in Brado c’è una battuta su Medjugorje».
Dunque possiamo dire che sta cominciando un percorso spirituale?
«Sono nato in un contesto davvero agli antipodi del cristianesimo. Fino all’eccesso. Un contesto ostile e critico verso la Chiesa, ai limiti dell’anticlericalismo».
E poi? Che è successo?
«È successo che ho incontrato delle persone, anche interne al mondo cattolico, che mi hanno davvero sorpreso e mi hanno fatto molto riflettere sui miei pregiudizi nei confronti di quell’universo».
Pentito. Ma anche convertito?
«Sto studiando, approfondendo, cercando di comprendere il cristianesimo e i suoi temi. Credo che al di là del grado di fede che uno può avere sulle questioni più trascendentali, più misteriose, nel cristianesimo ci sono le istruzioni per l’uomo più sagge in cui mi sia mai imbattuto. Istruzioni per vivere, per stare in questo mondo».
Non è poco, direi.
«Penso che ci sia tanto di buono, tanto tanto di buono nel cristianesimo e per questo indago. Non si può non notare che nelle scritture ci sono molte cose davvero profonde e interconnesse con la psicanalisi. Certo, immagino che anche altre religioni abbiano lo stesso potenziale, con le debite differenze”.
Ma cosa la attrae di più«: l’aspetto spirituale o quello sociale di rispetto e aiuto agli altri?
«Quest’ultimo aspetto non può certo essere sottovalutato. Ma quel che mi affascina molto è l’aspetto teologico, cioè i significati che sono dietro alla Bibbia ai suoi vari passi. C’è una sapienza che proprio non potevo immaginare. Ero abituato a trovarmi quasi sempre davanti al bigottismo e ai suoi aspetti deteriori, veramente deteriori. Invece ho scoperto che ci sono testi assolutamente non bigotti e persone che sono in grado di spiegarti la Bibbia in un altro modo, un modo davvero costruttivo e affascinante, pieno di sapienza umana».
Cerca l’umanità nella spiritualità?
«Credo che uno possa immaginarsi un Dio che sta sulla nuvoletta o sotto la forma che gli pare, ma nonostante questo non possa non notare che nelle Scritture ci sono molte cose davvero profonde e interconnesse con la psicanalisi, ad esempio. Questa mi pare una cosa molto bella. Certo, immagino che anche altre religioni abbiano lo stesso potenziale, con le debite differenze. Non ho la cultura per dirlo. Ma vivendo a Roma la cosa più facile è quella di approfondire il cristianesimo, anelando a qualcosa di spirituale».
In passato si era già avvicinato ad altre forme di spiritualità?
«Il buddismo negli Anni 90: mi è capitato di assistere a qualche riunione erano molto di moda, non so oggi, ma allora sì. Sono stato in un Ashram (monastero; ndr) induista e ho trovato tante cose interessanti anche là, tante cose belle».
Ora però c’è Medjugorje nella sua testa.
«Come ho detto uno dei racconti del mio libro è ambientato a Medjugorje quindi non escludo prima o poi di fare un film basato su queste cose che sto studiando e scoprendo. Vado a Medjugorje per questo». (…)
Si può dire che il 1993 è stato l’anno della svolta nella sua vita personale e artistica? Suo padre è mancato e ha girato Senza pelle che l’ha lanciata con un personaggio problematico nel grande cinema italiano.
«La perdita di un padre è chiaro che è un passaggio abbastanza forte da vivere. Avevo 23 anni. Ma diciamo che infanzia e adolescenza per me sono state un periodo incredibilmente faticoso. Fino ai 27 anni è stato come avere un blocco dentro. Di angoscia».
Avrebbe mai detto allora che oggi sarebbe stato felicemente sposato di una collega (l’attrice Ilaria Spada, ndr) e padre di tre figli?
«Mai. Ancora sono stupefatto: tre figli! Sia io sia mia moglie eravamo convinti prima di conoscerci che non avremmo mai avuto figli. Poi il primo e poi ‘sta doppietta recente… sì, sorprende anche noi. (…)
Il più grande, Ettore, lo sta avvicinando al cinema?
«A casa lo faccio, gli ho fatto vedere Ladri di biciclette. All’inizio un po’ costringendolo, poi poco dopo era assolutamente preso all’amo. Così gli ho fatto vedere anche Il cielo sopra Berlino. Se l’è guardato se l’è guardato… perché a volte li sottovalutiamo ma sono vere spugne. Con Ettore siamo andati a Londra in macchina poco tempo fa». (…)