Gol e fede. E fede nel gol. Perché l’ultimo con la maglia del Milan è vecchio ormai di un mese: 28 febbraio, Champions League, al Feyenoord, la sua ex squadra. Poi qualche errore di troppo. E un po’ di sfortuna. Dentro ai soliti alti e bassi di una squadra che continua a illudere e deludere. Ora, a sessanta giorni dalla fine della stagione, Santiago Gimenez vuole rialzare la testa. Per mostrare a tutti di valere i trenta milioni spesi nel mercato d’inverno. Il Diavolo crede in lui. Lo ha voluto a tutti i costi per provare a risolvere una volta per tutte l’antico problema del bomber. Ma adesso ha bisogno dei suoi gol.
Santiago, innanzi tutto la caviglia: in nazionale ha preso una brutta botta.
«Tutto a posto. Sto bene. A Napoli ci sarò» (…)
La serie A non sarà più il campionato migliore al mondo, ma per gli attaccanti resta tosto. La tattica, le difese.
«I cambiamenti sono sempre un po’ complicati. Non sono ancora al mio livello. Ma sto crescendo, sto imparando a conoscere i difensori, gli avversari. Qui c’è grande pressione. Ed è bellissimo. Proprio per questa pressione ho scelto il Milan. So di potercela fare. Anche grazie alla mano di Diòs».
Lei è molto credente, cita spesso la Bibbia. Quale è il suo rapporto con la religione?
«Quando avevo 17 anni mi hanno diagnosticato una trombosi al braccio. Ho subito tre operazioni, sono stato fermi sei mesi. A un certo punto i medici mi hanno detto chiaramente che se l’ultimo esame non fosse andato bene avrei dovuto smettere col calcio. È stato lì che ho incontrato Diòs nella mia vita. Ho pregato perché non facesse finire il mio sogno di diventare calciatore. Tutto è andato bene».
Nella biografia su Instagram si definisce prima di tutto «Soldado de Cristo». Cosa significa?
«C’è un passaggio nella Bibbia che parla dell’armatura di Dio. Lo scudo della fede, l’elmo della salvezza, la spada dello Spirito che è la Parola di Dio. È un passaggio che amo. Sono qui per compiere il suo proposito. Prima di tutto come uomo, poi come fùtbolista, come calciatore».
I tifosi la sostengono, si aspettano molto da lei. Più un peso o un onore?
«Un onore. San Siro è indescrivibile, per chi non ci è mai stato. So che si aspettano molto da me, perché sono giustamente esigenti, per i grandi centravanti che ci sono stati nel passato. Ibrahimovic, Kakà, Ronaldinho. Io al Feyenoord ho segnato tanti gol. È il momento di iniziare a segnarli anche qui». (…)
Estratto dell’articolo di Carlos Passerini per il Corriere della Sera