“L’avidità distrugge, mentre la fraternità costruisce”. Lo ha detto Papa Francesco ricevendo in udienza una rappresentanza della popolazione colpita 60 anni fa dalla tragedia del Vajont. “La cura del creato non è un semplice fattore ecologico, ma una questione antropologica”, dice Francesco: “ha a che fare con la vita dell’uomo, così come il Creatore l’ha pensata e disposta, e riguarda il futuro di tutti, della società globale in cui siamo immersi”.
Prendersi cura del creato
“E voi, di fronte alla tragedia che può scaturire dallo sfruttamento dell’ambiente, testimoniate la necessità di prendersi cura del creato”, l’omaggio ai presenti: “Ciò è essenziale oggi, mentre si sta sgretolando la casa comune, e il motivo è ancora una volta lo stesso: l’avidità di profitto, un delirio di guadagno e di possesso che sembra far sentire l’uomo onnipotente. Ma è un grande inganno, perché siamo creature e la nostra natura ci chiede di muoverci nel mondo con rispetto e con cura, senza annullare, anzi custodendo il senso del limite, che non rappresenta una diminuzione, ma è possibilità di pienezza”. A causare la tragedia del Vajont, la tesi del Papa a proposito del disastro avvenuto il 9 ottobre del 1963, “non furono sbagli di progettazione o di realizzazione della diga, ma il fatto stesso di voler costruire un bacino artificiale nel luogo sbagliato”: “E tutto ciò perché? In ultima analisi per aver anteposto la logica del guadagno alla cura dell’uomo e dell’ambiente in cui vive; così che, se la vostra ondata di speranza è mossa dalla fraternità, quell’ondata che portò disperazione era provocata dall’avidità”. “Chi non sa costruire il limite, non può andare avanti”, ha aggiunto Francesco a braccio.
La bellezza del creato
L’acqua è “utile e umile, eppure diventata tremenda e distruttiva nel caso del Vajont, oppure inaccessibile per tanti che oggi, nel mondo, soffrono la sete o non hanno acqua potabile”, ha detto il Papa. “Abbiamo bisogno dello sguardo contemplativo e rispettoso di San Francesco per riconoscere la bellezza del creato e saper dare alle cose il giusto ordine, per smettere di devastare l’ambiente con logiche mortifere di avidità e collaborare fraternamente allo sviluppo della vita”, il riferimento all’ottavo centenario della composizione del Cantico delle Creature di San Francesco: “Voi lo fate, custodendo la memoria e testimoniando come la vita possa risorgere proprio là, dove tutto era stato inghiottito dalla morte”.
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Le altre udienze
Questa mattina Papa Francesco ha ricevuto in Udienza la Delegazione Ecumenica dalla Finlandia, in occasione della festa di Sant’Enrico. Questo il discorso integrale che il Papa ha rivolto ai presenti nel corso dell’incontro.
Discorso di Papa Francesco
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Rivolgo il mio cordiale benvenuto a tutti voi, membri della Delegazione ecumenica finlandese: «Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo» (Rm 1,7).
Sono lieto che anche quest’anno siate venuti a Roma come pellegrini per celebrare insieme la festa di Sant’Enrico, nella ormai collaudata forma ecumenica. Saluto in particolare coloro che per la prima volta partecipano a questo pellegrinaggio; mentre per la prima volta accolgo te, caro fratello Raimo, quale nuovo Vescovo cattolico di Helsinki: che il Signore benedica il tuo ministero!
Caro Bishop Åstrand, La ringrazio di cuore per le riflessioni che Lei sempre ben condivide, ricche di riferimenti alle testimonianze dei santi e di spirito ecumenico. E sono grato anche per i doni, molto ben pensati.
Mi hanno colpito le sue riflessioni sul valore del cammino e sulla Chiesa pellegrina. In quanto membri della comunità dei battezzati, siamo in cammino e la nostra meta comune è Gesù Cristo. E questa meta non è lontana, non è irraggiungibile, perché il nostro Signore ci è venuto incontro nella sua misericordia, si è fatto vicino nell’Incarnazione e si è fatto Egli stesso la Via, così che possiamo camminare sicuri, in mezzo agli incroci e alle false indicazioni del mondo, spesso bugiardo.
I santi brillano davanti a noi
I santi sono fratelli e sorelle che hanno percorso fino in fondo questa strada e sono arrivati alla meta. Ci accompagnano come testimoni viventi di Cristo nostra Via, Verità e Vita. Ci incoraggiano a rimanere sul sentiero del discepolato anche quando facciamo fatica, quando cadiamo. Come luci accese da Dio, brillano davanti a noi per non farci perdere di vista la meta. “Confidate nella grazia di Dio! – ci dicono –. Lui vi ama e chiama anche voi ad essere santi” (cfr Rm 1,7).
SentendoLa parlare e sentendo parlare delle vostre realtà ringraziavo Dio, perché ci sono stati momenti in cui la venerazione dei santi sembrava dividere piuttosto che unire i credenti cattolici e ortodossi, da un lato, e quelli evangelici, dall’altro. Ma così non deve essere e, in realtà, non è mai stato nella fede del santo Popolo fedele di Dio. Nella Liturgia eucaristica noi così preghiamo rivolti al Padre celeste: «La moltitudine dei santi proclama la tua grandezza; perché nel coronamento dei loro meriti tu coroni l’opera della tua grazia» (Prefazio dei Santi I). E inoltre la Confessio Augustana, nel 21° articolo, afferma che «i santi devono essere ricordati, per rafforzare la nostra fede, quando vediamo come hanno ricevuto la grazia e come sono stati aiutati dalla fede; e per prendere esempio dalle loro buone opere».
I grandi santi nordici
Cari fratelli e sorelle, voi avete ricordato alcuni grandi Santi nordici: Brigida, Enrico e Olav. Questo fa pensare a ciò che scrisse il Papa San Giovanni Paolo II nell’Enciclica Ut unum sint: «Vorrei – cito – ricordare quell’incontro di preghiera che mi ha unito, nella stessa Basilica di San Pietro, per la celebrazione dei Vespri, con gli Arcivescovi luterani, Primati di Svezia e di Finlandia, in occasione del VI centenario della canonizzazione di Santa Brigida. […] Si tratta di un esempio, perché la consapevolezza del dovere di pregare per l’unità è diventata parte integrante della vita della Chiesa» (n. 25). Se il millenario della morte di Sant’Olav, nel 2030, potrà ispirare e approfondire la nostra preghiera per l’unità, e anche il nostro camminare insieme, questo sarà un dono per l’intero movimento ecumenico.
Carissimi, vi ringrazio, perché questo incontro con voi è un segno vivo nel contesto della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani iniziata ieri. Facciamo in modo che questo appuntamento ecumenico non si riduca a un adempimento e che non diventi autoreferenziale: che abbia sempre la linfa vitale dello Spirito Santo e che sia aperto ad accogliere i fratelli più poveri e più dimenticati, e anche coloro che si sentono abbandonati da Dio, che hanno smarrito la strada della fede e della speranza.
E ora vorrei invitarvi a recitare insieme la preghiera del Signore. Possiamo farlo ciascuno nella propria lingua. Invochiamo il nostro Padre celeste: “Padre nostro…”.
“L’avidità distrugge, mentre la fraternità costruisce”. Lo ha ribadito il Papa, ricevendo in udienza una rappresentanza della popolazione colpita 60 anni fa dalla tragedia del Vajont. “La cura del creato non è un semplice fattore ecologico, ma una questione antropologica”, il monito di Francesco: “ha a che fare con la vita dell’uomo, così come il Creatore l’ha pensata e disposta, e riguarda il futuro di tutti, della società globale in cui siamo immersi”. “E voi, di fronte alla tragedia che può scaturire dallo sfruttamento dell’ambiente, testimoniate la necessità di prendersi cura del creato”, l’omaggio ai presenti: “Ciò è essenziale oggi, mentre si sta sgretolando la casa comune, e il motivo è ancora una volta lo stesso: l’avidità di profitto, un delirio di guadagno e di possesso che sembra far sentire l’uomo onnipotente. Ma è un grande inganno, perché siamo creature e la nostra natura ci chiede di muoverci nel mondo con rispetto e con cura, senza annullare, anzi custodendo il senso del limite, che non rappresenta una diminuzione, ma è possibilità di pienezza”. A causare la tragedia del Vajont, la tesi del Papa a proposito del disastro avvenuto il 9 ottobre del 1963, “non furono sbagli di progettazione o di realizzazione della diga, ma il fatto stesso di voler costruire un bacino artificiale nel luogo sbagliato”: “E tutto ciò perché? In ultima analisi per aver anteposto la logica del guadagno alla cura dell’uomo e dell’ambiente in cui vive; così che, se la vostra ondata di speranza è mossa dalla fraternità, quell’ondata che portò disperazione era provocata dall’avidità”. “Chi non sa costruire il limite, non può andare avanti”, ha aggiunto Francesco a braccio.
L’acqua è “utile e umile, eppure diventata tremenda e distruttiva nel caso del Vajont, oppure inaccessibile per tanti che oggi, nel mondo, soffrono la sete o non hanno acqua potabile”. Lo ha detto il Papa, al termine del discorso rivolto ad una rappresentanza della popolazione colpita 60 anni fa dalla tragedia del Vajont. “Abbiamo bisogno dello sguardo contemplativo e rispettoso di San Francesco per riconoscere la bellezza del creato e saper dare alle cose il giusto ordine, per smettere di devastare l’ambiente con logiche mortifere di avidità e collaborare fraternamente allo sviluppo della vita”, il riferimento all’ottavo centenario della composizione del Cantico delle Creature di San Francesco: “Voi lo fate, custodendo la memoria e testimoniando come la vita possa risorgere proprio là, dove tutto era stato inghiottito dalla morte”.
Udienza alla Delegazione della Federazione Internazionale delle Università Cattoliche
Questa mattina il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza nel Palazzo Apostolico Vaticano la Delegazione della Federazione Internazionale delle Università Cattoliche (FIUC), in occasione della celebrazione del centenario di fondazione.
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Foto: Vatican Media