Inizia oggi una nuova rubrica intitolata “Lettere dal convento” che ci terrà compagnia ogni venerdì. Si tratta delle riflessioni e dei pensieri di fra’ Gianluigi Pasquale, Frate Minore Cappuccino Veneto. Ecco la prima lettera.
Lettere dal convento: la preghiera
Il linguaggio che, tra tutti, dimostra come l’uomo sia un essere dotato di ragione e di cuore è la preghiera. Come tale essa è un parlare rivolto a Dio, ossia a Colui che sta sopra di noi, qualsiasi nome noi gli attribuiamo. È un linguaggio che travalica tutte le religioni, perché a tutte appartiene, e di cui usufruiscono tutti gli uomini e le donne, benché non credenti. L’uomo, in quanto tale, «in-voca», cioè «chiama su», si «rivolge-a», fosse anche che dicesse un’imprecazione, che, infatti contiene la parola «prece, preghiera». Perché l’uomo prega? Perché desidera esprimersi con un linguaggio all’interno del quale incapsula la speranza di essere esaudito. Questa è la preghiera, per esempio, che il bimbo fa al padre quando desidera ottenere un gelato. Se, poi, la preghiera è rivolta a Dio, allora aumenta la speranza di essere esauditi perché da Dio noi ci aspettiamo di ottenere tutto il bene che solo il Bene può dare.
Le parole di Sant’Agostino
Sant’Agostino (354-430 d.C.) afferma che la preghiera ha un valore immenso perché affina il desiderio dell’uomo di chiedere a Dio quei beni, per esempio la salute, il lavoro, la pace, il benessere, il cui ottenimento l’uomo sa non dipendere completamente da lui. Come dire: più si prega e più si desidera di ottenere ciò per cui si prega. Tra tutti i tipi di preghiera, poi, due sono i più diffusi. Il primo è la preghiera costituita da quelle formule imparate a memora da piccoli ed è, quasi, un primo binario per poter pregare quotidianamente: è la preghiera ordinaria. Vi è, poi, la preghiera spontanea, quella che sorge dal cuore quando vediamo, per esempio, un’alba o un tramonto del sole, oppure quando esultiamo di gioia allorché sentiamo essere accaduto un “miracolo” che aspettavamo. Questa costituisce il secondo binario, tanto importante quanto il primo per rendere armoniosa e continua la vita di preghiera in una persona.
Un cristiano non prega mai da solo
I cristiani si rivolgono a Dio come tutti gli altri uomini e, tuttavia, hanno una particolarità in più: un cristiano non prega mai da solo, anche se si trovasse nella situazione di doverlo fare. Alla pari di Gesù, il cristiano prega Dio, rivolgendosi a lui come a un Padre (Mt 6,9), lo fa sospinto dallo Spirito Santo che parla nell’uomo con gemiti inesprimibili (Rm 8,26) e tutto ciò accade perché l’uomo è intimamente unito a Gesù Cristo (Mt 18,20) che non lascia mai solo un uomo o una donna che pregano. Anzi, chi prega, continua nel proprio tempo la preghiera di Gesù e “si sintonizza” con il pregare del figlio di Dio.
La preghiera cristiana è trinitaria
La preghiera cristiana è, insomma, trinitaria. Perfino quando dormiamo lo Spirito Santo prega in noi e, anzi, il respiro nel sonno e nella veglia diventa preghiera. Il cristiano crede ed è convinto che la preghiera solletica la onnipotenza di Dio ad agire in favore di chi prega con la stessa potenza che Dio ha di «spostare le montagne» (Mc 11,22-24), un altro modo per dire che a Dio tutto è possibile. La preghiera cristiana, inoltre, è un insieme congeniale di “formule”, di atteggiamenti, di tempi e di luoghi. Il cristiano, per esempio, può pregare in piedi, in ginocchio, da solo seduto in camera, oppure con altri in Chiesa, in una comunità o in famiglia. Una cosa è certa: il frutto della preghiera non è soltanto l’esaudimento di una richiesta, di una “grazia”, ma è soprattutto il dono di entrare in un clima di serenità e di pace che aiuta ad accettare e a fare la volontà di Dio (Mt26,42), qualunque essa sia, sapendo che Dio vuole per noi solo il nostro bene. A tal punto che un uomo, o una donna, di preghiera appare a noi con il volto trasfigurato di una luce indescrivibile di serenità che sporge dall’iride dei suoi occhi.
Il segreto dei santi
La preghiera è, anche, un genuino atto di cultura, perché il più grande atto di “culto”, da cui deriva “cultura”, è proprio quello di sapersi mettere in ginocchio dinnanzi alla presenza di Dio e adorarlo. I santi e le sante avevano compreso al meglio questo segreto. Ossia il fatto che l’unico vero benessere che noi possiamo infondere alla nostra mente, alla nostra anima e al nostro corpo sta in un atteggiamento di preghiera: un frammento di eternità che possiamo inserire nel nostro tempo.