Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni di oggi.
Dormizione di Maria
Non diversamente si racconta lo stesso momento nella Dormizione di Maria, compresa l’allusione diretta al Cantico dei Cantici:
«All’ora terza della domenica, come lo Spirito Santo era disceso sugli apostoli in una nube, così discese Cristo con una moltitudine di angeli e prese l’anima della sua diletta madre: vi fu un grande chiarore e un profumo soavissimo mentre gli angeli cantavano il Cantico dei Cantici, là dove il Signore dice: “Come in giglio tra le spine, così l’amica mia tra le figlie”.
Tutti i presenti caddero bocconi, come erano caduti gli apostoli allorché Cristo si trasfigurò davanti a loro sul monte Tabor; e per tutto lo spazio di un’ora e mezza, nessuno poté alzarsi[1]».
Fra Tommaso sembra quindi allontanarsi sempre di più dalla tesi dell’Assunzione. Infatti, il suo racconto continua in modo coerente con la dormizione.
Era quel glorioso corpo di Maria nelle mani de’ santi apostoli, era atorniato da essi; piangevano, singultavano, contemplavano quel beato corpo bello come viva: gettava raggi, era tutta risplendente che rendeva maraviglia a chi lo mirava. Mi dà a credere che la gran Madalena, che mai abandonò la Vergine, fusse presente; e se accommodò la umanità di Cristo mentre fu deposta della croce, lo pianse, lo lamentò, lo manegiò, lo compagnò alla sepoltura, così se ritrovò alla morte di Maria. Così l’ospite Marta acommodò quel beato corpo; ove li santi apostoli, volendo sepelire quelle beate membra, lo accommodò nella bara. Era concorso tutti li credenti di Gerusalemme, uomeni e donne, per accompagnar la Beata Vergine: ognuno contempli li lamenti, le lacrime che furno fatte sopra il beato corpo. Li prencipi de’ sacerdoti molto si rallegrorno per la morte di Maria perché molto la odiavano perché molti convertiva alla fede e questi satrapi farisei cercavano di anichilare il nome di Cristo perché in ogni luoco si ampliava la fede santa: e incalceravano, flagellavano, facevano morire chi confessavano il nome di Cristo. E già avevano dato autorità a un Saullo, che puoi fu Paulo, gran amico di Cristo, che andasse in Damasco con autorità suprema di incalcerare, di distrugere il nome di Cristo, e per la morte di Maria pensavano di far alla pegio contro cristiani. Ove finalmente portorno la regina del cielo alla sepoltura cantando salmi e imni in lode di Maria. E mentre portavano li santi apostoli quella impressiabila reliquia di Maria, un temerario forsi mandato dalli scribi farisei si accostò alla bara per tirar in terra quel beato corpo; ma Iddio castigò la sua temerità con la morte de l’anima e del corpo, con la morte subitanea. Arivorno al santo tabernacullo ove si doveva ripore quel tesoro celeste. Questo sepolcro fu novo come quello di Cristo, o che fusse di qualche credente overo che miracolosamente fu scoperto da Dio. Era presente Dio con l’anima di Maria e li angeli i santi alle esequie del corpo di Maria: fu sepolto quel santo corpo con gemiti e lacrime dalli santi apostoli e dalli credenti per esser privi de quella cara presenza di Maria. Mi dà a credere che li santi apostoli facessero far la guardia al santo sepolcro acciò non fusse fatto insulto a quel beato corpo. Quanto stasse Maria a risuscitare, di questo non vi è rivelazion che lo dica, ma si può credere che stasse quanto stete Gesù suo figliolo. (Selva, 302-303)
Qui, vi è qualche variante, rispetto alla tradizione discendente dalla Dormizione di Maria: là, infatti, è Satana in persona che interviene ad aizzare chi vive in Gerusalemme: essi addirittura si armano, decisi a uccidere gli apostoli e a bruciare il corpo di Maria. Ma Dio li colpisce con la cecità[2]. Un altro testo apocrifo[3] narra che, nel momento in cui gli apostoli stavano per deporre il cadavere di Maria nel sepolcro, si manifestò una luce abbagliante, degli angeli discesero dal cielo e trasportarono il corpo della Vergine verso le sfere celesti.
In questo senso, il titolo dell’opera di Fra Tommaso, Mors Beatae Mariae Virginis acquista un senso letterale, in quanto non vi sarebbe stata Assunzione in vita, ma rinascita in Cielo.
Interessantissimo è invece il seguito narrato da Fra Tommaso.
Che cosa facesse Maria mentre ve ne passò quaranta ore, andò Maria a visitare li luoghi santi ove Cristo aveva operato la nostra salute, perché ancora non aveva veduto molti luoghi, come fu in casa de Pilato, la scala santa, il luoco dove fu flagelato, in casa di Erode, ove era stato schernito. Vide Maria quelli luoghi; ed essendo venuto l’ora di resuscitare il suo beato corpo, andò l’unigenito filio, qual sempre accompagnava Maria al santo sepolcro. Scoprendosi, vide quel tesoro tutto bello risplendente: Dio lo benedì, l’anima di Maria lo benedì dicendo: «O corpo mio, è ben il dovere che, essendomi stato fidel compagno in questa vita, che tu mi sii compagno anco ne l’altra, ove più non patirai dolori ma una perpetua gloria». Ove entrando quella gloriosa anima in quel beato corpo lo vivificò, lo resuscitò glorioso con quelle quatro dote dell’anima. Fu riceuto Maria da l’eterno filio: oh con che pompa, maestà, soni, canti in lode di Maria! Oh chi avesse potuto vedere le glorie, li aplausi che favano li santi angeli! Oh che carezze fava Dio a questa gran donna! Oh come doveva risplendere! Come bella, come vaga nelli occhi di Dio doveva questa nostra Signora ascendere al cielo in corpo e anima! (Selva, 303)
E ancora
Era resuscitata Maria: doveva ascendere in corpo e anima tutta gloriosa. L’unigenito suo figlio era presente con numero infinito de angelli e santi, quali favano celeste armonia in lode di Dio e di Maria, quando che il celeste sposo Cristo cominciò a solevarsi ne l’aria con la sua diletta Madre, appogiata al suo caro figlio: era atorniata la Madre e il figlio dalla moltitudine celeste, quali favano pomposa corona al loro Dio e alla loro regina trionfando con armonie celeste, accompagnava al cielo questi gran prencipi Dio e Maria. Parmi veder in spirito aprirsi li cieli, e li angeli celesti, vedendo tanta pompa, gloria e maestà, stupivano: vedevano il Verbo incarnato, vedevano questa gran donna tanto acarezzata da Dio che la sua gloria e maestà quasi si aguagliava a quella di Dio e che se ne ascendeva a quella celeste Gerusalemme appogiata alla gran maestà di Dio. (Selva, 305)
Ha acutamente osservato Alberto Sana nella sua prefazione a Selva di contemplazione: «Il parallelismo Maria-Gesù emerge con forza. Della Vergine si sottolinea più volte l’umiltà […]. Gesù è l’umilissimo […]. L’atteggiamento umile è basilare nell’esercizio ascetico: l’imitazione della kènosis cristica rende necessario un assiduo svuotamento di sé. Si giunge alla croce praticando la croce, umili e sofferenti pellegrini»[1].
Ma, soprattutto, è degna di nota questa osservazione: «Nella Mors Beatae Mariae Virginis […] – una vera e propria prosecuzione della Selva – ritorna la fondamentale figura di Maria: Tommaso, nella solita maniera affettiva, ne narra la dormitio, la resurrezione e l’ascensione gloriosa in corpo e anima in cielo, in evidente similitudine col figlio; nella parte finale dell’operetta (cc. 257v-260r) si ricordano ancora le sofferenze di entrambi (il cui centro è la croce): a entrambi e in grazia delle loro pene il «vilissimo peccatore» Tommaso chiede di alleviare le afflizioni del suo cuore, giacché è ancora lontano dal raggiungerli»[2].
La scelta di Fra Tommaso
In altre parole, la scelta di Fra Tommaso di accogliere tradizioni che rimandano a testi non del tutto ortodossi come Dormizione di Maria e Transito della Beata Vergine Maria, sarebbe soprattutto un modo per realizzare il pieno parallelismo Gesù-Maria: la nascita in base a un necessario piano divino, la vita d’umiltà, l’atroce sofferenza, la morte («Quanto stasse Maria a risuscitare, di questo non vi è rivelazion che lo dica, ma si può credere che stasse quanto stete Gesù suo figliolo» (Selva, 303) e la resurrezione, mentre un’assunzione in vita, oltre a non essere ancora matura teologicamente ai tempi del Beato, avrebbe spezzato questo suo disegno che non va certo verso quella «Quadrinità», diventata addirittura una richiesta al Papa sul finire dello scorso millennio, ma che si limita invece a essere motivo di umiltà. Il fedele, cioè, rivolgendosi a Maria, mostra di considerarsi indegno di interpellare direttamente Dio, ma chiede l’intercessione della Madre dell’umanità, di Nostra Signora.
Ecco perché non vi è modo migliore di chiudere questo nostro capitolo, che riportare la vera e propria preghiera innalzata da Fra Tommaso nella parte iniziale dell’opera che forse anch’egli considera la sua maggiore: Scala di perfezione.
O gloriosa Madre di Dio, o felicissima contemplativa, poiché in carne contemplasti il figliuolo di Dio ed anco figlio delle vostre viscere, ed ora lo contemplate glorioso in quegl’eterni tabernacoli, io genuflesso gemendo e lagrimando vi prego per quelle lagrime e singulti che spargesti mentre contemplavi il vostro unigenito figlio mentre se ne stava in croce, che vogliate ottenermi dal mio Dio e vostro figlio il dono di contemplar dì e notte la passione e morte sua, e che il mio cuore sia traffitto dal suo celeste amore. O carissima ed amantissima Signora mia divotissima, vi prego rivolgere gl’occhi della vostra pietà, ottenendomi dal vostro amato figlio tutte quelle virtù che più mi ponno abbellire l’anima mia ne gl’occhi di Dio, acciò, rimirandolo io con occhio d’amore, possa esser rimirato da lui con accrescer in me le grazie sue, a gloria del figlio e della Madre mia, Signora ed avvocata Maria Vergine. (Scala, 166-167)
[1] Transito della Beata Vergine Maria, in Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di L. Moraldi, vol. terzo, Casale Monferrato, Piemme Editrice, 19962, p. 206.
[2] Cfr Transito Colbertiano, in Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di L. Moraldi, vol. terzo, Casale Monferrato Piemme Editrice, 19962, pp. 200-201.
[3] Cfr Frammento copto, in Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di L. Moraldi, Casale Monferrato, vol. terzo, Piemme Editrice, 19962, p. 223.