Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni di oggi.
Le riflessioni di Tommaso da Olera
«Tanto gentile e tanto onesta pare | la donna mia quand’ella altrui saluta, |ch’ogni lingua deven tremando muta, | e li occhi no l’ardiscon di guardare. || Ella si va, sentendosi laudare | Benignamente d’umiltà vestuta; | e par che sia una cosa venuta |da cielo in terra a miracol mostrare. || Mostrasi sì piacente a chi la mira, | che dà per li occhi una dolcezza al core, |che ’ntender no la può chi no la prova: || e par che de la sua labbia si mova |un spirito soave pien d’amore, |che va dicendo a l’anima: Sospira» (Dante Alighieri, Vita Nova, XXVI).
Francesco Petrarca
Per poi passare a Francesco Petrarca.
Così a puoco a puoco potrai arrivar alla cima d’esso monte della perfezione, e stando nella sommità potrai dire con l’apostolo Pietro: Domine, bonum est hic nos esse; faciamus tria tabernacula, tibi unum, Moisi unum, et Eliae unum [Signore, bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia (Mt 17,4)], godendo la beleza del tuo innamorato Dio, ove non vi è né Moisè, n’Elia, ma l’istesso Dio. E l’anima tua adornata di virtù contemplerà la grandezza e bellezza del tuo Dio; dentro se stesso e di fuori anch’il tuo corpo goderà delli avanzi d’essa anima. Quale ti tenerà sazia e abbondante. (Scala, 450)
Parole difficilmente dissociabili da «La vita che noi chiamiamo beata è posta in alto e stretta, come dicono, è la strada che vi conduce. Inoltre vi si frappongono molti colli, e di virtù in virtù dobbiamo procedere per nobili gradi; sulla cima è la fine di tutto, è quel termine verso il quale si dirige il nostro pellegrinaggio. […] dove dapprima gettai lo sguardo, vi lessi: “E vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri e trascurano se stessi”. […] Chiusi il libro, sdegnato con me stesso dell’ammirazione che ancora provavo per cose terrene quando già da tempo, dagli stessi filosofi pagani, avrei dovuto imparare che niente è da ammirare tranne l’anima, di fronte alla cui grandezza non c’è nulla di grande» (Francesco Petrarca, Familiares, IV, 1).
Come pure le seguenti.
Vorrebbe che il sole, la luna e le stelle, i pianeti e li elementi, li animali della terra, li uccelli dell’aria, i monti, i colli, gli alberi, l’acqua le pietre e tutte le cose create, sensate e insensate, ragionevoli e irragionevoli amassero e servissero quel Dio. (Scala, 445)
Da avvicinare a: «Sì ch’io mi credo omai che monti e piagge e fiumi e selve sappian di che tempre sia la mia vita, ch’è celata altrui» (Francesco Petrarca, Rime, 35, vv. 9-11) e poi toccare anche un «pagano», tenuto però in gran conto per secoli e secoli di Cristianità.
Dal longo viagio stanca e afflitta, cercando in Betlehem alloggiamento: cercò da’ nobili, da’ mercanti, da’ artisti, da’ contadini, e da nessuno trovò luogo da allogiare. Furno costretti retirarsi fuora della città, in una grotta dove stavano li animali al coperto quando pioveva. (Selva, 150)
«Si rivolsero a mille case domandando un luogo per riposare | mille case chiusero il chiavistello. Tuttavia una li accolse | piccola veramente e col tetto di stoppie e di canne palustri» (Ovidio, Metamorfosi, vv. 628-630).
Ben commentò padre Rodolfo Saltarin, vice postulatore della Causa di Fra Tommaso da Olera: «I richiami del Petrarca (e non solo), presenti nelle opere di Tommaso Acerbis, sono stati (prima) raccolti dal labbro dei predicatori del tempo [in primis, dalla bocca del doctor apostolicus, Lorenzo da Brindisi († 1620), difensore della fede in Germania come un secondo san Canisio, nonché suo ministro generale e particolare modello]»[1].
Gli “infortuni”
Quando, però, Fra Tommaso si ritrova solo davanti alla pagina bianca, come ogni scrittore che si rispetti, va incontro a «infortuni». Il primo, forse quello che maggiormente lascia perplessi, è l’ignorare il momento certo importante del Battesimo di Gesù: in Selva di contemplazione che ricostruisce, in modo spesso minuzioso, la vita del Salvatore, dal concepimento alla Trasfigurazione, non compare, se non quand’è ancora nel ventre di sua madre, Giovanni il Battista, la «voce di uno che grida nel deserto» (Lc 3,4), colui che lo stesso Gesù proclama il maggiore tra i nati di donna, viene «dimenticato» e non compare oltre nella narrazione della vita del Maestro se non dopo l’Ascensione.
Quanto al fatto che spesso Fra Tommaso indulga a forme di stile popolari, già lo si è detto, ma il dato nuovo è che, se in Selva ciò poteva rientrare nel fervore missionario del libro, nella più rarefatta atmosfera di Scala di perfezione tale scelta appare più sorprendente. D’altra parte, come classificare altrimenti passi come la pudibonda osservazione, ben poco consona alla tragica solennità del momento.
E mentre levata la croce in aria, restando il tuo dileto appeso di tre chiodi per tante ore sempre in agonie, in spasimi, con una sete di amore così ardente, con un capo tuto spinoso che li trapassava il suo beato capo, con una umanità tuto scorticata, lacerata, insanguinata, addolorata, alla presenza di tuto il popolo: ove era la gran Madre sua, la Madalena con altre donne, poi che aggravava il dolore al nostro Dio, vedendosi nudo, oh quanto rossore sentiva! E si bene ne l’imagine si copre le parte da basso, non credere, anima mia, che quelli manigoldi avessero tanta carità che coprissero quelle parte, perché lo tratorno alla pegio, tutto nudo. (Scala, 368-369)
Il rossore
Tale «rossore» sembra più a beneficio delle buone popolane di una chiesa di campagna, che a edificazione di una perfezione cristiana!
E, ancora, sempre assai popolano è l’eterno agitare lo spettro, certo non vano ma tipicamente paesano, dell’inferno che attende i peccatori con il suo «stridor di denti».
L’Inferno è un mare colmo, pieno d’ogn’orrore e confusione: e guai a chi si lasciarà condur in quelle tenebre, sempiterni carceri, perché già mai più uscirà (perché in Inferno nulla est redemptio [nell’Inferno non vi è redenzione]) imperché né angeli né santi del cielo, né la Beata Vergine né tutto ’l bene che potesse far Santa Chiesa né tuoi parenti ti potrà levar dalle mani de’ demoni né liberarti da quell’eterna carcere: anzi, che l’istessa giustizia di Dio ti darà nelle mani de’ suoi nemici, acciò sii in eterno tormentato ed abbruggiato in quell’ardenti fiamme, ove averai una perpetua sete. Ed ivi non ti sarà pur concessa una goccia d’acqua, come avenne al ricco Epulone per refrigerarsi la lingua, ma sarà dato laghi di fuoco, torrenti di solfore, mari di puzze, di fettori fetenti: ma tra tutte le miserie miserande sarà riccordarsi che ivi in quelle calamità avrà da star in eterno, privo di veder Dio, sommo bene. Oh chi potesse dar un’occhiata in quell’oscure tenebre! Oh chi potesse metter un’orecchia a udir li pianti inconsolabili, i lamenti senza conforti, i gridori senz’esser uditi, l’impietà senza età, l’infirmità senza rimedi, febre senza medici, odi, rancori senza pace, biastemme orrende, dolori di denti, piaghe fetenti, serpenti, rospi, aspidi che sempre feriscono ed avenenano quell’infelice anime! (Scala, 285)
Sono immagini alla Bruegel il Giovane (1601-1678), perfettamente adatte a terrorizzare una platea di villani. Villani a cui altrettanto perfettamente si adattano le semplici, quasi bonarie metafore che compaiono qua e là, frammiste a prosa assai più sorvegliata.
Un orefice, avanti ch’abbi fatto e reduto a perfezione qualche vaso, prima li dà molte martellate, ponendolo nel foco; finalmente lo riduce a perfezione. Così Dio farà verso di te, o anima, perché dovendo tu esser un vaso pieno di virtù e perfezione, il maestro ed artefice vorrà meterti nel foco e darti molte martellate per ridurti finalmente a perfezione. E però beato te se ti lasciarai reggere da questo celeste maiestro; e quando ti sentirai a martellare con tentazioni, con affanni, con angustie, rallegrati, perché il celeste artefice ti va reducendo alla perfezione; e però sopr’ogni altra cosa dei aver una gran confidenza in Dio e frequentemente riccorrer a lui, dimandando il suo divin aiuto. E quando ti troverai in angustie derelitto, sappi che pur allora t’anderà levando le passioni, gl’affetti, l’amor proprio; ed allora ti dei allegrare, perché Dio allora leva da te il male a guisa d’un cerugico che taglia la piaga facendo sentire al paziente dolore, ma fra pochi giorni si vede rissanato; così averrà a te: quando ti troverai in affanni e dolori, riccordati che ’l cerugico del cielo taglia da te le piaghe fetenti de’ vizi, de’ peccati per ridurti in sanità. (Scala, 85-86)
Bisogna far l’officio di buon giardiniere, il qual sta vigilante acciò non produca spine, e, vedendone alcune, come prudente taglia, cava, non lasciando produr erbe cattive. E non solo taglia le cattive erbe di sopra la terra, ma sradica cavando la radice: ove la diligenza e custodia del buon giardiniero è ragione che redurà il giardino vago e bello ed adorno de’ frutti e d’odoriferi fiori, in modo tale che il patrone e signor del giardino, molto invaghito in veder il giardino suo così bene accommodato, si rallegra, si gode in veder tante varie sorti di frutti e d’odoriferi fiori, ove mangia, odora li fiori gustando li dolci frutti, accarezza ed ama sì diligente giardiniero. (Scala, 91)
Un buon figliolo serve a suo padre per amore, e, se bene il padre percuote alcune volte il figliuolo, non cessa però il figliolo d’amare e servir il padre, non avendo l’occhio a premio perché è suo padre; ma il servitore mercenario serve al suo patrone per il premio, e, cessando il premio, cessa anco la servitù: così fa il mercenario servo di Dio, perché serve ed ama Dio per suo interesse, quando opera per andar in Paradiso e per fuggir l’Inferno, o per aver gusti o per esser lodato, stimato. E questi tali servi non operano per amor di Dio, ma operano per il premio ch’aspettano o per aver la gloria o per fugir la pena che temono questi tali. Non si ponna chiamar servi di Dio, ma servi di lor stessi. (Scala, 118)
[1] Cfr in proposito la lectio magistralis di C. Cargnoni, Il significato storico, teologico e spirituale del titolo «doctor apostolicus» conferito a san Lorenzo da Brindisi, nel cinquantesimo anniversario, letta il 10 dicembre 2009 nell’Aula Magna del Palazzo arcivescovile di Brindisi, datt., p. 23; in S. Calzone, Quanti odij e nemicitie sradicò dalli cuori humani!: «Fuoco d’Amore» di Tommaso da Olera tra calchi e prestiti, in www.olera.it, 2011.