Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni di oggi.
Questo estasi nasce ed è causato da una stretta e inseparabile unione e amicizia che ha fato l’anima con Dio, e per la longa prattica, unione, amore godono eminentemente il suo Dio. E per la grande intelligenza che hanno con Dio, stanno sempre a lui uniti e trasformati; e perché corrispondino alle divine grazie, sono molto amati e carezati da Dio, ed elevandolli Dio in alteza, si fa da essi veder con particolar modo quanto pò, però, la capacità umana; e perché sono gran amici di Dio, li invita alle nozze del sposo, introducendolli nella caneva vinaria de l’amar suo: ove bevendo per mezo della contemplazione de i divini misteri, si riempino di amore. (Scala, 366)
Condizione sublime, desiderabile, rara, però, perché presuppone una premura particolare da parte di Dio.
Mentre l’anima gode il suo Dio, il corpo resta come morto, non avendo moto né polso: e se Dio non levasse li ogeti alti e eminenti che li fa vedere, l’anima più non tornaria al corpo, perché, avendo trovato il suo centro e fine, ivi se ne staria somersa. Però quel Dio che rege, governa tali soi amanti, li leva le viste de tali ogetti, e così l’anima ritorna in sé, dando moto al corpo. (Scala, 366)
Una condizione che porta con sé conseguenze sorprendenti che possono essere descritte o anche soltanto immaginate esclusivamente da chi le abbia sperimentate su di sé. Questo, Fra Tommaso non lo dice, per umiltà cappuccina e umiltà di compiuto credente, ma ci soccorre la testimonianza del suo buon amico Ippolito Guarinoni: «Era assorto in una continua meditazione, cadeva in estasi, dopo la quale raccontava delle straordinarie virtù e degli effetti dell’amor di Dio, parlandone e scrivendone con tale forza e pienezza che i sommi teologi dubitavano che quelle cose potessero essere state scritte e comprese da un illetterato. Per questo gli era stato imposto dai suoi superiori di continuare a scrivere».
I termini estremi
Infatti, la descrizione di questo stato, in Scala di perfezione, è ormai su termini estremi.
In questo stato l’anima perde la fede, perché quello che li dice la fede l’ha palpabile; perde la memoria di tute le cose create, solo si ricorda del suo dileto Gesù; perde il vedere, perché ha tanto da vedere del suo sposo che non si cura de altro vedere; perde l’odorato, perché odora li aromati celesti; perde l’udito, perché sente cose celeste; perde la lingua, perché sempre è snodata in lodar Dio; e tuti li suoi sentimenti interni e esterni sono impiegati in lodar il suo Signore. (Scala, 366)
È ben vero che Dio non dà questo dono se non a grandi illuminati e amici di Dio; e bisogna esser passati per li gradi inferiori e che siano molto purificati, e che siano passati per la vita ativa, purgativa, illuminativa, affettiva; e che abino molto familiare la orazione mentale. (Scala, 362)
Se, come abbiamo visto in altra occasione, quello di Fra Tommaso è ancora un colloquio «privato» con il Sacro Cuore di Gesù e soltanto con Margherita Maria Alacoque sarà dispensato a tutta la comunità cristiana, tuttavia pare questo un passaggio necessario per arrivare a quella santità valida per tutta la comunità degli uomini: proprio come Scala di perfezione insegna la necessità di realizzare compiutamente uno stato, prima di anche soltanto concepire il successivo, allo stesso modo l’esperienza solitaria del beato Tommaso, così come quella di altri amanti estatici di Cristo, può essere vista come il gradino mancante alla piena riuscita del culto del Sacro Cuore, senza dimenticare che anche per la Alacoque tutto inizia con «rivelazioni private» e che soltanto l’intervento di Claude La Colombière, il gesuita suo direttore spirituale, fece sì che questo inestimabile dono fosse rivelato alla Chiesa e, poi, al mondo.
Né manca, nella côté più predicatoria e popolaresca di Fra Tommaso, un risvolto quasi «pratico» dell’innamoramento di Dio da parte di poche ma ferratissime persone che raggiungono la scala della perfezione.
Oh da quanti flagelli preservano quest’innamorati servi di Dio! Ché Dio distruggerebbe le città e i regni per tanti peccati. Ma questi innamorati servi che nella contemplazione stanno assistenti a Dio viettano il furore della sua giustizia: ove, genuflessi, con divote preci, con occhi lacrimanti, pregano per il povero mondo. Ove l’eterno Iddio, vedendo l’anima vestita d’amore, gli concede quanto vuole, sì come s’ha veduto in molti santi, come avenne al serafico Francesco e al glorioso Domenico, che, volendo Dio distruggere i peccatori con la sua giustizia, bastò che la Beata Vergine mostrasse a Dio questi due santi pieni d’amore: ove questi due santi innamorati di Dio bastò che fussero mostrati a Dio che subito l’ira della sua giustizia s’acquietò, riponendo la spada della sua giustizia nel fodro, perdonando al mondo per amore di questi due innamorati Francesco e Domenico. Sì come anco s’ha ne la Sacra Scrittura: che, avendo Dio sfodrata la spada della sua severa giustizia per distruggere il populo che aveva iddolatrato, Mosè capitano s’oppose alla giustizia con l’arma dell’amore, e con le braccia aperte della misericordia esclamava a Dio; e tanto puoté questo innamorato Mosè che placò Dio e perdonò al populo. Di S. Gregorio papa si sa che, avendo Dio sfodrata la spada della sua giustizia sopra la povera Roma, ove per la peste Dio facceva grandissima strage minacciando di distruggere Roma, ove il santo pontefice Gregorio, mosso a pietà della povera Roma, cominciò con preci, processione e digiuni ad assistere al trono di Dio, pregando per la povera Roma. E perché questo glorioso pontefice era amico di Dio vestito d’amore, tanto puoté che meritò di placar Dio: ove con propri occhi vidde sopra il castello S. Angello un angello che metteva la spada della giustizia di Dio nel fodro per segno della misericordia di Dio, mercé che il santo pontefice era uomo giusto ed innamorato di Dio. E chi volesse raccontar gl’essempi de gl’innamorati di Dio, le grazie ed i doni che riccevettero da Dio, non finirebbono mai. (Scala, 246)
La misericordia di Dio
Nello stesso tempo, però, la misericordia di Dio è infinita, come infinito è Dio stesso, tanto da dare possibilità di salvezza a quanti lo volessero.
La misericordia vostra è tale che è nei cieli e in terra e ne l’Inferno e in ogni parte del cielo godono della misericordia vostra, gustando quella felice patria tutte quelle beate anime mercé a la misericordia vostra, e in terra gli uomini godono di questo santo privileggio della vostra misericordia, ne l’Inferno a quelle infelizze anime dannate godono della misericordia vostra, non dando quelli tormenti atrozzi che meriterieno delle lor colpe. Né li demoni stessi non sono privi della misericordia di Dio, perché Dio, se volesse, gli daria pene maggiori; e se Lucifero con suoi seguazzi dopo la caduta sua, se si umiliavano, Dio gli averia perdonato e usato con essi misericordia; e ora se gli demoni potessero adimandar perdono a Dio, il Signore gli perdonaria, usandogli misericordia. E Adamo, primo nostro padre, se avesse adimandato perdono a Dio, gli avrebbe usato misericordia; e se Caino si avesse umiliato a Dio, quando Dio gli adimandò ove era Abelle, Dio gli averebbe usato misericordia; e se quelle città nefande, Sodoma e Gomora, avessero adimandato misericordia, Dio gliela averia concessa; e se il mondo tuto, dopoi esser immerso ne’ peccati, avessero emendata la lor vita, dopoi aver auto tempo quaranta anni, Dio gli averia fato misericordia. E tanto e tale sono le miserazioni di Dio verso il genere umano che gli intelleti umani non possono arrivar a un tanto pellago della misericordia di Dio. (Selva, 270)
[1] I. Guarinoni, Detti e fatti, profezie e segreti del frate cappuccino Tommaso da Bergamo, a cura di D. Marrone, Brescia, Morcelliana, 2007, pp. 107-109.