Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni di oggi.
Il predicatore popolare
Ed ecco che il predicatore popolare, il Bruder von Tirol, il Fratello del Tirolo, l’autore di conversioni anche clamorose, sia tra il popolo, sia tra la nobiltà anche la più alta, non può che proporre una più compiuta preghiera che, pur sgorgandogli dall’anima come l’altra, è tuttavia più strutturata e adatta tanto alla memorizzazione, quanto alla recitazione ad alta voce, in quella che, nei suoi voti, sarà l’invocazione di tutta l’umanità a Maria.
O gloriosa Madre di Dio! O regina delli angeli! O refugio di peccatori, oltramontana de’ naviganti! O filia de l’eterno Padre! O sposa dello Spirito Santo! O sicuro porto di salute! O speranza de’ peccatori! O porta del Paradiso! O tesoriera delle divine grazie! O orto chiuso de aromati! O fonte segillata dal grande Idio! O scala caeli[scala del cielo]! O platano, oliva, cipresso, cedro, odorifera Maria ripiena di ogni aromati, pura, immaculata, perfettissima, santissima, innocentissima! Vi prego, o gloriosa dona sopra tute le done, regina delle vergini, per quell’ardente amore che portasti a l’unigenito vostro figliolo, mio Dio, che vogliate con le vostre sante preci che io, vilissimo peccatore, mi consumi, arda nel fuoco di amore, acciò purificato possa unirmi, trasformarmi, liquefarmi nel mio caro e carissimo Gesù. O carissima, o amantissima mia Signora e patrona, non mi abbandonate: soccorretemi in questo tempestoso mare acciò, mediante il vostro aiuto, possa fugire queste orgoliose onde, acciò possa arivare al sicuro porto di salute. O tesoriera delle celeste riccheze, fate elemosina a me, poverino, che moro di fame! O colomba candidissima, inpenate le ale delli vostri aiuti! O Vergine beata, e quando sentirò entro l’anima mia quelle fiame di amor celeste? E quando sarà estinto in me le proprie passione? E quando, o mia Signora, sarà la parte inferiore ubediente alla superiore? E quando li miei occhi versaranno fonti di lacrime? E quando il mio cuore riposarà per amor? E quando l’anima mia sarà tuto ripiena del celeste amore? O Signora e patrona, mia clementissima Maria Vergine, io mia offero in anima, in corpo, e a voi mi dedico e consecro: rivoliete, o mia avocata, li vostri pietosi occhi a l’unigenito vostro figliolo, e pregatelo che in vita e nella morte mia mi usi la sua solita pietà e misericordia, e che da lui mai sia separata, acciò, amandollo in terra, mi sia concesso per grazia di salire a quelli eterni pascoli del Paradiso, ove abita il Padre, il Figliolo col Spirito Santo. Amen. (Scala, 371)
Non certo a caso l’ottimo Alberto Sana indica, nella sua prefazione a Selva di contemplazione, in Fra Alessio Segala da Salò l’ispiratore probabile di Tommaso da Olera: quel Segala che non aveva certo dimenticato Maria nel formulare il chilometrico (secondo il gusto dell’epoca) titolo per la sua opera: Corona celeste ornata di pretiosissime considerazioni overo meditationi, accomodate per tutti li giorni dell’anno, sopra la vita e passione di Giesù Christo e della beatissima sua Madre.
Lo stesso Sana osserva, assai opportunamente, come «negli esempi che il venerabile utilizza per insegnare a contemplare, alla passione di Cristo vengono associati i dolori della Madonna, gemente e piangente sul cuor di Gesù, ferita dalle stesse sante ferite del figlio», concludendo che «sulla base di questo cortocircuito amoroso, doloroso, salvifico, umano e divino si costruisce l’intera struttura dell’opera». Ben difficilmente si potrebbe meglio definire il rapporto di Fra Tommaso con questa «luna» assai particolare, che sarebbe quindi assurdo «misurare» con la disinvolta scaltrezza dell’antropologia attuale.
L’incessante reciprocità tra Gesù e Maria
Sebbene sia ancora oggetto di discussione il concetto stesso di paratassi, è forse possibile ascrivere a questa categoria quel costante, quasi obbligato ricorrere all’espressione di una reciprocità che, sia in Scala di perfezione che in Selva di contemplazione, caratterizza le descrizioni dei rapporti tra Gesù e sua madre Maria.
Per chiarire meglio l’oggetto di questa analisi, sarà opportuno allineare qualche esempio.
Vedi, anima divota, la tua Signora come cammina per quegli monti; vedi come alcune volte sentava in terra per stracchezza, pativa la Madre, pativa il figliolo. (Selva, 146, il corsivo è nostro sia qui che nelle citazioni che seguono)
Risguarda e contempla quel santo ventre con li occhi della mente tua: vedi il tuo tenero Gesù a patire, che patendo la Madre pativa anche il figlio; vedi quella tenera virginella che, reficiandosi alquanto, il santo sposo la compassionava, la consolava, e la santa Vergine consolava il suo Gioseffo. (Selva, 150)
Vedi, o anima, la tua regina come se ne sta povera in un vile presepio, patisse fame, sete, fredo, e patendo la Madre pativa così anche il suo caro figlio. (Selva, 151)
Vedi quegli sguardi che dava al suo figlio, li sguardi che dava il figlio alla Madre. (Selva, 152)
Basterà far caso al numero progressivo delle pagine da cui sono tratti questi esempi, per comprendere quanto siano frequenti e quasi stereotipati, nella loro formulazione. Tanto più che queste citazioni non esauriscono affatto il «materiale» in oggetto, che, anzi, si ripresenta con costanza lungo tutta l’opera, tanto che diventa necessario renderne conto, per avere, poi, di che commentare tale uso.
Aveva fredo la Madre, tremava il figlio. (Selva, 152)
Piange il figlio, piange la Madre. (Selva, 155)
Guarda il caro figlio sua Madre, rimira la Madre il suo caro figlio. Singultava il figlio, singultava la Madre; piangeva il figlio, piangeva la Madre; era adolerata la Madre, era adolerato il figlio; si lamentava il figliolo, si doleva la Madre (Selva, 165)
E patendo la Madre pativa anche il figlio, il incommodo della Madre era l’incommodo del figliolo (Selva, 168)
Piangendo il caro figlio, piangeva anche la cara Madre (Selva, 174)
E patendo la Madre pativa il figlio; compassionava la Madre al figlio e il figliolo alla Madre. (Selva, 176)
Oh che sguardi dava il figliolo alla Madre e la Madre al figliolo! (Selva, 178)
Oh chi avesse sentito a parlare il caro figliolo con la cara Madre! Oh chi avesse sentito la cara Madre parlare con il caro figlio!» (Selva, 181)
La Madre compassionava al tenero figliolo e il figliolo alla Madre, il figliolo faceva animo alla Madre e la Madre consolava il figlio […] Oh che sguardi dava la Madre al figlio e il figlio alla Madre! E quante volte il figliolo vedendo la sua amata Madre stanca e afflitta la compassionava, e così a l’incontro la Madre al figliolo! (Selva, 181)
Agonizzava la Madre e agonizzava il figliolo: la dolente Madre aveva compassione del figliolo Cristo e il figliolo della Madre, li sguardi della Madre saettavano il adolorato cuore del figliolo e il figliolo della Madre. (Selva, 252)
Ognuno facea la parte sua: allora il caro padre godeva in veder li cari figli, godevano i cari figli in veder il caro padre. (Selva, 260)
È quasi un ritornello trobadorico, tanto che, pur essendo utilizzato di preferenza per descrivere l’intimità di sentire di Gesù e di sua Madre, Fra Tommaso lo utilizza, al bisogno, anche nel rapporto tra Maria e Giuseppe, e in quello, finale, tra Cristo e i discepoli.
Non si deve, poi, pensare che sia funzionale al tono narrativo di Selva di contemplazione, poiché anche l’altra opera capitale di Fra Tommaso, Scala di perfezione, utilizza tale espediente stilistico.
Vedrai quelli sguardi che dava il figliuolo alla Madre, vedrai quelli sguardi che dava al Figliuolo caro la cara sua Madre. (Scala, 88)
Quelli beati occhi del Signore che miravano la sua afflitta Madre e gl’occhi della Madre rimiravano il capo dell’amato figlio. (Scala, 145)
Ferivano li sguardi di Gesù il cuore di Maria, feriva gl’occhi di Maria il cuore di Gesù. Vedeva Gesù l’agonie della Madre e la Madre vedeva li spasmi di Gesù; si lamentava, piangeva Maria: i dolori della Madre erano anco del figlio. Gesù compassionava la Madre e la Madre compassionava il figlio; saetava Gesù il core dell’afflita Madre, saetava la Madre il cuore dell’amato figlio. (Scala, 145-146)
Vedeva quegl’occhi i dolori, gli affanni, l’angonie della sua afflitta Madre, ed i dolori della Madre accrescevano i dolori del caro figlio. (Scala, 146)
Dio è l’amato, l’anima è l’amata, Iddio è ’l sposo e l’anima è la sposa; Dio rimira l’anima e l’anima rimira Dio. (Scala, 171)
È chiaro, dopo tutti questi esempi, che ci troviamo di fronte a un canone, utilizzato dal beato Tommaso nei momenti di maggiore pressione emotiva, quando egli voglia esprimere una condizione di totale compenetrazione reciproca, cioè, per dirlo con parole sue e limitatamente al rapporto Maria-Gesù, «quello che passava tra la Madre e il figliolo» (Selva, 178), dove il verbo «passare» assume il significato, per il quale mi appoggio al Vocabolario Treccani di «trasferirsi da una ad altra persona, detto di cose concrete o astratte». Un trasferimento strettamente spirituale, nel nostro caso, che, se non trasforma l’essenza di Cristo, Dio ab aeterno, profondamente informa l’anima di Maria e di tutti coloro che, a vario titolo, sono indicati nei brani precedenti.
È in questa intima comunione che la Vergine può diventare quella «secretaria de’ divini misteri» (Selva, 216), ricordata anche da papa Benedetto XVI, quando scrive, nell’opera già citata: «(Luca) a volte accenna al fatto che Maria stessa era una delle sue fonti».
Certo, vi è sempre (o, purtroppo, quasi sempre) un’intima corrispondenza tra una madre e un figlio, ma qui siamo su un terreno altro, rispetto all’umano: la vergine scelta da Dio dall’inizio dei tempi e il frutto del suo ventre ma anche Seconda Persona della Trinità. Per quanto stretto possa essere il rapporto tra madre e figlio, qui abbiamo, appunto, un trasferimento spirituale, starei per dire una «trasfusione» spirituale, cioè la grandezza del Figlio impronta di sé la verginità non soltanto fisica ma mentale e mistica di Maria, trasformandola, da una parte, nella vittima di «coltelli» insopportabili senza l’intervento divino, ma, dall’altra, nella Ausiliatrice, nella Consolatrice, nella Madre dell’umanità.