Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento e proclamato beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni di oggi.
Il sacro tabernacolo
Fra Tommaso, a questo punto, fa ciò che gli è più congeniale: riempie con l’immaginazione della propria anima quanto i Vangeli non dicono. Descrive la Vergine tra il sonno e l’estasi: «Oh chi avesse veduta Maria quando si sentì ripiena di Dio! Oh che liquefazione sentiva, oh che svenimenti d’amore!» (Selva, 144).
Il suo ventre è diventato il «sacro tabernacolo» e la sua sapienza è moltiplicata, tanto che è in grado di riconoscere un capovolgimento di cui, per prima in tutta l’umanità, è testimone.
O figliolo de Dio e anche mio, quanto grande è la umiltà vostra in aver eletta me poverella per vostra Madre! Mancava, Iddio de l’anima mia, le verginelle nel mondo regine e imperatrice che vi averiano nutrito e arlevato in grandezza e maestà? E me avette eletto, me che non ho cosa alcuna, essendo io poverina, pupilla. (Selva, 144)
L’umiltà, dunque, non è più caratteristica fondante soltanto in lei, ma addirittura nel Figliolo di Dio che sceglie, tra tante possibili vergini collocate all’apice della scala sociale, l’intatta moglie di un povero falegname: lo avevano pur cercato i Magi in splendidi palazzi, poiché è lì che la breve immaginazione degli umani concepisce che possa incarnarsi non soltanto il re dei Giudei, ma la seconda persona della Trinità! È invece nella santa povertà di Giuseppe e di Maria che trova la sua più adatta collocazione chi è venuto per dare speranza prima di tutto agli umili.
Non sono affermazioni scontate, né all’epoca di Fra Tommaso, né nella nostra. Là, la Chiesa usciva da un duro confronto con le accuse di eccessiva ricchezza, formulate, non senza un interessato aspetto economico e politico, da Lutero e dai suoi principi sostenitori; papa Francesco ricorda continuamente l’attenzione agli umili, in un mondo che, se non è diventato luterano, ne ha tuttavia in gran parte sposato una morale semplificata attraverso le teorie liberiste che si fondano sul primato del denaro.
Scala di perfezione
È tuttavia in Scala di perfezione che questa dicotomia tra la felicità riservata, un giorno, agli umili e il triste destino di chi opera per interesse raggiunge la sua più compiuta ed esplicita espressione, in una progressione che, se è funzionale all’argomento della sua opera, non per questo è meno priva di un pathos, di una carica emozionale coinvolgente.
Fra Tommaso qui è categorico.
E sappi che più profitto farai in dieci anni caminando con atti amorosi, affettuosi e con atti interni e con frequenti mottivi, cercando Dio per Dio e non per te stessa, che non farai in cent’anni, se tanto vivesti, servendo a Dio in altro modo. E quegl’anni che consumeran quelli che serviranno a Dio con l’interno e che serviran a Dio lontani dal suo interesse saranno anni felici, pieni di delizie, né lingua umana può capire i giubili, l’allegrezze, i contenti, i colloqui, gl’innamoramenti, i lumi, le cognizioni che Dio dà ad una tal anima, né si può dir i dolori, i romori, gl’affanni, l’angonie che patiscono quelli che servono a Dio con interessi, con proprietà, perché sono tiranneggiati, maltrattati dalle sue passioni che mai li lasciano in pace, ma li fanno sempre crudel guerra. (Scala, 133)
Tanto da prorompere, poco dopo, in un’esclamazione piena di gioia.
Oh, beati gl’umili, perché chi averà in aiuto l’umiltà perché con questa farà acquisto di tutte le virtù cristiane. Quest’umiltà è la più favorita dama ch’abbia Dio nella sua corte: sta alla destra di Dio vestita di sole, adorata da gl’angeli, coronata da Dio; né niun già mai sarà introdotto nel cielo se non averà l’umiltà: perché chi averà in suo aiuto l’umiltà, averà ogn’altra virtù, perché l’umiltà tira seco ogn’altra virtù. (Scala, 133)
La verità
Dichiarazione che pare definitiva. Ma il beato Tommaso scava in questa verità e vuole metterla del tutto a nudo.
E tanto se capirà quanto se amarà: più capirà una semplice vecchiarella con l’amore che non farà un gran litterato senz’amore, perché quella vecchiarella e semplicella con l’amore pratticherà il suo Signore e questo amore lo pratticherà nell’interno con l’affetto. Ché il litterato, avendo la semplice teologia senza lo spirito di Dio, caminerà per termini scolastici, per via dell’intelletto non pratticherà al cuore la vera teologia. Vero è che il litterato, avendo la scienza scolastica accompagnata con lo spirito di Dio, molto maggior amore porterà a Dio di quello de l’idiota e semplice, quando però i gradi dell’amore del teologo superano l’amore del semplice: perché Dio non guarda alla gran scienza, ma guarda il grand’amore con il qual è amato dall’anima. Molte volte il litterato cercarà Dio nelli libri e volumi, ma il semplice lo troverà in prattica entro l’anima sua e lo possederà non nelli libri ma nel cuore, nell’anima. Tutta volta io m’assicurarei più nei dubi conciliandomi con un litterato che con un semplice, quando però il litterato fusse di buona vita se ben non di tanta santità di quanta saria il semplice: ben vero è che da’ semplici s’impararà cose più affettuose, più divote, perché il semplice s’unisce con Dio con maggior simplicità, umiltà; ma è cosa certa che il sapiente può aver gran cognizione di Dio, più che il semplice, quando si serve della dottrina con sentimento d’amore e d’umiltà; e però l’uno e l’altro ponno essere grandi santi ed amici di Dio. Ma essendo io semplice, idiota ed ignorante, parlarò con semplici ed idioti, ed anco con litterati se vorrano sentire e legere la mia semplicità. (Scala, 187-188)