Estratto dell’ articolo di Lucia Galli per Credere
«Dobbiamo cercare dentro di noi Dio, insieme a quella forza che ci spinge alla vita». Lo sa bene Tamara Lunger, che nella sua carriera di alpinista si è più volte confrontata con difficoltà estreme e con la morte. Da qui la sua idea di non essere mai sola: «Gesù? Lo vedo come una persona, l’unica che mi possa almeno ascoltare quando le difficoltà sono troppe». Come dire che la fiducia in Dio fa scalare le montagne: «Nelle difficoltà ho capito che la vita lavora per noi e non contro di noi». Nel 2010 Tamara divenne, a soli 23 anni, la “ragazzina” del Lhotse (8.516 metri); nel 2016 ha scalato il Nanga Parbat (8.126) in prima invernale, fermandosi a 70 metri dalla cima e al titolo di first lady di quella vetta, fra le più maestose del pianeta.
Il salvataggio
Nel 2020 è poco oltre il campo base del Gasherbrum I – ancora con Simone Moro, come sul Nanga – e lo salva, trattenendolo con la corda dalla caduta in un crepaccio. Oggi Tamara è sicura: anche non riesce ad andare a Messa tutte le domeniche, il suo dialogo con l’alta quota dello spirito è costante: «E forse sono anche la più credente di tutta la mia famiglia!», azzarda sorridendo
Dieci anni fa era la più giovane. Oggi è sicuramente la più saggia. Su e giù dagli Ottomila, l’alpinista Tamara Lunger, classe 1986, ha inanellato tanti primati, «anche se ora, ai record, preferisco i ricordi». Nel 2010 divenne, a soli 23 anni, la “ragazzina” del Lhotse (8.516 metri); nel 2016 ha scalato il Nanga Parbat (8.126) in prima invernale, fermandosi a 70 metri dalla cima e al titolo di first lady di quella vetta, fra le più maestose del pianeta. (…)
Vita e Vangelo
Tamara ha sempre vissuto la fede con apertura e nauralezza ma rifiuta, forse con troppa con modestia, i titoli di giornale che, all’epoca, ne fecero una salvatrice: «Ho fatto quello che si deve, fin dove ho potuto. In montagna ho sempre accettato questo patto: ognuno è per sé. Devi custodire la tua vita, senza aspettarti aiuto dagli altri». Con un’eccezione: «Quando sono in montagna, parlo con Gesù: sì, tifo e scelgo Lui dalla Trinità, perché me lo immagino più giovane, più bello, più vicino». Come si dice, umano: «Lo vedo come una persona, l’unica, che mi possa almeno ascoltare quando le difficoltà sono troppe, quando fa davvero troppo freddo». (…)
Il dialogo interiore
«Mi sono trovata spesso vicino alla morte in montagna. Nelle difficoltà ho capito che la vita lavora per noi e non contro di noi». Accettare la morte di persone care è, però, una scalata estrema: «Quando vivi una tragedia sulla tua pelle o su quella di chi ami è naturale abbandonarsi alla disperazione di dire: “Dov’è Dio?”, ma Lui non può essere responsabile di tutto ciò che ci accade, perché siamo noi che contribuiamo a farlo accadere».
Nel profondo dell’anima
Ed è così che Tamara ha provato a ripartire, rifacendo uno zaino dove sistemare il senso e la prospettiva delle cose in una sorta di scalata al contrario, nel profondo della sua anima: «Dobbiamo cercare in noi sia Dio sia quella forza che ci spinge alla vita. Siamo tutti portatori del divino dentro di noi», dice l’alpinista con un sussurro che le illumina occhi azzurrissimi.
Poi allontana il velo di tristezza con il gesto di una mano e torna ai ricordi: «Non immaginatemi come un chierichetto fervente da bimba. Anzi, mamma, la sera, mi diceva sempre: “Se Dio vorrà, domani ti risveglierai”. E io mi domandavo: “Ma se non vuole, che cosa mi succede?”». Oggi Tamara è sicura: non riesce ad andare a Messa tutte le domeniche, ma il suo dialogo con l’alta quota dello spirito è costante: «E forse sono anche la più credente di tutta la mia famiglia!», azzarda sorridendo. (…)
«Nella Bibbia mi sembra che sia la montagna a vincere sul mare, quando si parla di simboli e di contatto con Dio: è la metafora perfetta». Il discorso della montagna, Elia e quel vento d’alta quota, Abramo, Mosè e le tavole della Legge: «Non ho un personaggio prediletto e confesso di amare più il Nuovo Testamento, più moderno, con Gesù al centro. Alcune storie delle Bibbia sono, invece, un po’ più ostiche da comprendere, però nelle Scritture, in generale, vedo tante storie di motivazione e di fatica per trovare due cose che oggi sempre più spesso perdiamo: il tempo e la pace con noi stessi». Soprattutto fra Pakistan, Karakorum e Himalaya, i campi base di tante avventure: è lassù che Tamara ha provato a fare una sintesi fra l’Occidente della nostra cultura e l’Oriente che tanto l’ha affascinata per la meditazione e anche lo yoga, sempre più parte integrante anche dei programmi di allenameno dei grandi atleti. «Non mi ritengo una esperta, ma ci sono cose che non riesco a comprendere su entrambi i motivatori: è questo che vado cercando perché mi sembra il messaggio e l’eredità più attuale».
Il tempo e la pace
Cercare un faro, una ispirazione nella parola, qualcosa di sacro e di alto da raggiungere nella vita. Chissà. Tamara riflette: «Non ho mai pensato di scalare le montagne sacre del pianeta perché in fondo lo sono tutte: una salita di qualunque difficoltà ti dà la possibilità, con la lentezza che richiede”. (…)
“Faccio fatica a trovare il senso in una religione che induce le bimbe, per esempio in Pakistan, a smettere con lo sport a 9 anni perché il corpo è troppo in vista. Abbiamo provato a scardinare questa idea con il progetto Climbing for a reason, in memoria di JP, ma dopo una prima campagna non abbiamo più potuto entrare nel Paese. Altrettanto non capisco perché io debba recitare il “mea culpa” a Messa: che colpa abbiamo in un falimento se ci siamo impegnati sempre per essere la forma migliore di noi stessi?».