L’anno solare della diplomazia pontificia si è chiuso il 30 dicembre, con la presentazione delle lettere credenziali dell’ambasciatore dell’Oman presso la Santa Sede. Con l’Oman, la Santa Sede ha allargato la sua rete diplomatica, che ora consta di piene relazioni con 184 Stati. Inoltre, durante l’anno, la Santa Sede ha definito anche lo statuto, e la conseguente nomina, di un rappresentante residente della Santa Sede in Vietnam, il penultimo passo prima dell’apertura delle piene relazioni diplomatiche. Ci sarà, dunque, anche l’ambasciatore dell’Oman presso la Santa Sede all’incontro tradizionale di inizio anno del Santo Padre con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il prossimo 8 gennaio.Quali saranno i possibili temi del discorso? E, soprattutto, quali sono le cifre della diplomazia della Santa Sede aggiornate all’ultimo anno?
Il nuovo ambasciatore dell’Oman presso la Santa Sede
Il 30 dicembre 2023, Mahmood Hamed Nasser Al Hasani, Ambasciatore del Sultanato dell’Oman, ha presentato le sue lettere credenziali a Papa Francesco. Classe 1969, sposato con cinque figli, laureato in Libraries and documents, è nel servizio diplomatico dal 1993. Ha avuto diversi incarichi di tipo amministrativo nel ministero degli Affari Esteri di Muscat, e una esperienza da vice capo missione in Austria dal 2013 al 2016. Nel 2022 è stato nominato capo del dipartimento delle Organizzazioni Internazionali, e dal novembre 2022 è ambasciatore di Oman nella Confederazione Svizzera. Al Hasani non sarà dunque un ambasciatore residente presso la Santa Sede, sebbene abbia presentato da solo le lettere credenziali. La sua nomina, comunque, porta a termine le procedure che hanno fatto seguito alle piene relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Sultanato. Il 22 maggio 2023, il Papa aveva nominato nunzio in Oman l’arcivescovo Nicolas Henry Marie Denis Thevenin, nunzio in Egitto. Santa Sede e Oman hanno firmato l’accordo per stabilire piene relazioni diplomatiche alle Nazioni Unite il 23 febbraio 2023. La Legge Fondamentale dell’Oman dichiara l’Islam religione di Stato e la sharia principale fonte della legislazione nazionale. Tuttavia al suo interno è anche affermata la libertà di religione, unitamente al divieto di discriminazioni su base confessionale. Circa la Chiesa Locale, il territorio dell’Oman fa parte del Vicariato Apostolico dell’Arabia del Sud, con sede ad Abu Dhabi, amministrato dal vescovo Paolo Martinelli, OFM. Cap. Sono 4 le parrocchie nel Paese, in cui svolgono il loro ministero 12 sacerdoti. L’apertura di un canale di contatto con il Sultanato di Oman nasce proprio ne 2017. In quell’anno, fu liberato dopo 18 mesi di prigionia padre Tom Uzhunnalil, il sacerdote salesiano rapito in Yemen in 2016. Il ruolo dell’Oman fu fondamentale per la sua liberazione. In effetti, l’Oman ha mantenuto relazioni equilibrate con tutte le parti del conflitto in Yemen, e aveva già ottenuto la liberazione di diverse persone rapite o scomparse dal Paese in guerra. In occasione della liberazione di padre Tom, la Santa Sede aveva anche rilasciato un breve comunicato in cui ringraziava vivamente “quanti si sono adoperati per il suo ritrovamento, in particolare, Sua Maestà il Sultano dell’Oman e le Autorità competenti del Sultanato” Quella situazione aveva aperto un canale di dialogo, che è poi sfociato nella telefonata del 4 novembre 2022 tra il ministro degli Esteri di Oman Sayyid Badr Hamad al Usaidi e l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati. Dopo la telefonata, il ministero degli Esteri di Oman aveva reso noto che l’arcivescovo Gallagher e il ministro degli Esteri avevano “concordato di stabilire relazioni diplomatiche tra il Sultanato di Oman e la Santa Sede”.
IL DISCORSO AGLI AMBASCIATORI
L’8 gennaio, domani, Papa Francesco terrà il consueto di discorso di inizio anno al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Il tema della pace sarà sicuramente centrale nel discorso, specialmente alla luce di quanto sta al momento avvenendo in Terrasanta, il ruolo dell’Iran con cui la Santa Sede mantiene un contatto costante, la situazione in Ucraina, che rischia di diventare un conflitto congelato. Sono tutti temi che entreranno probabilmente nel discorso del Papa, così come la situazione in Nicaragua, di cui il Papa ha parlato anche nell’Angelus dell’1 gennaio, Giornata Mondiale della Pace. Non andrebbe sottovalutata la situazione a Taiwan, con i venti di guerra promessi dal presidente cinese Xi Jinping nel messaggio del nuovo anno. Probabilmente, la Santa Sede terrà un profilo basso, anche considerando le aperture cinesi sulla questione della nomina dei vescovi – aperture che sono state mostrate durante l’ultimo viaggio della delegazione vaticana in Cina lo scorso settembre, e di cui però non si conosce ancora la reale concretezza. Ci sarà probabilmente anche un accenno al tema dell’intelligenza artificiale, nodo cruciale oggi. La Santa Sede è già impegnata da tempo sul tema, e la nomina del francescano Paolo Benanti a presidente della Commissione Algoritmi del governo al posto del dimissionario Giuliano Amato non fa che mostrare la lungimiranza del lavoro vaticano. Benanti è stato tra i promotori della Call for AI Ethics, siglata da Santa Sede con alcune delle più importanti aziende informatiche mondiali. Il tema dell’intelligenza artificiale è anche al centro del messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, e lo sarà anche in quello della Giornata Mondiale per le Comunicazioni Sociali. La questione di una etica per l’intelligenza artificiale è stata anche al centro del messaggio di Natale inviato dal presidente italiano Sergio Mattarella a Papa Francesco. Quanti sono gli Stati che hanno relazioni diplomatiche con la Santa Sede? Includendo l’Oman, la Santa Sede ha ora relazioni diplomatiche con 184 nazioni in tutto il mondo. Prima dell’ingresso dell’Oman, la lista non si aggiornava dal 2017, quando furono ripristinate le relazioni con il Myanmar, cosa che aprì anche al viaggio di Papa Francesco nella nazione. Sembrava un periodo di possibile rinascita democratica, si è trasformato in un incubo con il recente colpo di Stato. Restano così 12 le nazioni con cui la Santa Sede non ha piene relazioni diplomatiche, e in 8 di queste non ha nemmeno un rappresentante. Spicca, nella lista, la presenza dell’Afghanistan, dove dal ritorno dei talebani non c’è nemmeno una chiesa funzionante, considerando che quella che c’è era nell’ambasciata italiana poi evacuata e che anche i padri barnabiti che se ne prendevano cura hanno dovuto lasciare il Paese. Quindi, l’Arabia Saudita, con cui però la Santa Sede ha stabilito alcuni rapporti informali, prima partecipando come Paese osservatore alla Costituzione del KAICIID (il centro per il dialogo interreligioso sponsorizzato dai sauditi, con sede a Vienna fino a quest’anno e ora a Lisbona) e poi con un viaggio, storico, del Cardinale Jean-Louis Tauran da presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che riuscì persino a celebrare una Messa in un territorio considerato sacro per l’Islam. Altra nazione che non ha relazioni diplomatiche con la Santa Sede è la Cina. La nunziatura di Cina è a Taipei, in Taiwan, dove però dal 1979 non risiede più un nunzio, ma un incaricato d’affari da interim. C’è una missione diplomatica vaticana che risiede nella “missione di studio” ad Hong Kong, sebbene collegata formalmente alla missione della Santa Sede nelle Filippine. Nel 2016, l’Annuario pontificio recava per la prima volta, in nota, indirizzo e numero di telefono di questa missione ad Hong Kong. Dopo il rinnovo dell’accordo sino-vaticano, il Cardinale Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha fatto sapere che la Santa Sede sarebbe anche disposta a spostare la missione di studio a Pechino. Non ci sono relazioni diplomatiche nemmeno con Corea del Nord, Bhutan, Maldive, Oman e Tuvalu. La Santa Sede ha invece delegati apostolici nelle Comore e in Somalia in Africa, e in Brunei e Laos in Asia. In queste due ultime nazioni, Papa Francesco aveva anche avviato una particolare “diplomazia della porpora e dei martiri”: ha creato un cardinale in Brunei (deceduto improvvisamente lo scorso anno, senza mai vedersi imposta la porpora per l’impossibilità di viaggiare a causa della pandemia) e uno nel Laos, Paese da cui proviene anche uno dei gruppi di martiri beatificato nel corso del pontificato. Il Vietnam è il Paese più vicino ad avere piene relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Lo scorso 23 dicembre, Papa Francesco ha nominato l’arcivescovo Marek Zalewski, nunzio a Singapore e finore rappresentante non residente della Santa Sede in Vietnam, come rappresentante residente, vale a dire con una sede ad Hanoi, e questo cambia molto il senso dei rapporti tra Vietnam e Santa Sede. Non sono ancora piene relazioni diplomatiche, ma è il passo appena precedente. Il Vietnam è uno degli Stati che non ha piene relazioni diplomatiche con la Santa Sede. A partire da metà degli anni Novanta, però, si è operato un progressivo avvicinamento, anche con un accordo per la nomina dei vescovi che ha mostrato di funzionare, e poi con lo stabilimento di una commissione congiunta che si è riunita alternativamente in Vietnam e presso la Santa Sede. Si è arrivati così nel 2011 alla nomina di un rappresentante non residente della Santa Sede ad Hanoi, e poi, quest’anno, si è giunti finalmente all’accordo per la nomina di un rappresentante residente della Santa Sede. Si tratta dell’ultimo gradino prima delle piene relazioni diplomatiche, che permette uno scambio e una presenza più costante della Santa Sede sul territorio del Vietnam, sei milioni di cattolici che hanno un peso e un ruolo nella nazione comunista. Il Vietnam ha anche invitato il Papa ad un viaggio nel Paese, mentre si attendeva per il 2020 un visita nel Paese del Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Pietro Parolin, ma questa non c’è stata a causa della pandemia da COVID 19.
Le missioni diplomatiche della Santa Sede
La Santa Sede ha attualmente 180 missioni diplomatiche all’estero, e di queste 73 non sono residenti. Ci sono dunque 106 missioni, alcune delle quali non accreditate solamente nella nazione in cui sono situate, ma anche in uno o più altre nazioni o organizzazioni internazionali. Il numero delle relazioni diplomatiche della Santa Sede è considerevolmente cresciuto negli ultimi anni. All’inizio del Pontificato di Giovanni Paolo II, la Santa Sede intratteneva relazioni diplomatiche con 84 Stati. Nel 2005, all’elezione di Benedetto XVI, erano 174. Con Benedetto XVI si sono aggiunti il Montenegro (2006), gli Emirati Arabi Uniti (2007), il Botswana (2008), la Russia (2009), la Malesia (2011) e il Sud Sudan (2013). Con Papa Francesco, si sono aggiunte Palestina nel 2015, Mauritania nel 2016, Myanmar nel 2017 e Oman nel 2023. Per tradizione, il nunzio apostolico è decano del corpo degli ambasciatori accreditati presso una nazione, segno del credito dell’importanza che ha la diplomazia pontifica nel mondo. Basti pensare che dal 1871 al 1929, ovvero dall’annessione degli Stati pontifici fino al Trattato lateranense, nonostante il Vaticano non avesse più un vero e proprio territorio, il numero degli Stati con relazioni diplomatiche presso la Santa Sede comunque quasi raddoppiò, passando da 16 a 27, e questo nonostante alcuni Paesi avessero smesso di intrattenere rapporti diplomatici con la Santa Sede. Per questo motivo, la decisione del Nicaragua di non avere più il nunzio apostolico come decano del Corpo diplomatico è stata considerata un segno di rottura con la Chiesa. Il nunzio non è decano nemmeno in Repubblica Democratica del Congo, con una scelta fatta dal governo Mobutu per segnare una distanza dalla Santa Sede.
Ambasciatori presso la Santa Sede
Gli ambasciatori presso la Santa Sede residenti a Roma sono 91, inclusi quelli dell’Unione Europea e del Sovrano Ordine Militare di Malta. Le ultime ambasciate stabilite sono l’ambasciata svizzera e l’ambasciata azerbaijana presso la Santa Sede. L’ambasciata di Palestina presso la Santa Sede si è installata in seguito all’entrata in vigore dell’Accordo Globale tra la Santa Sede e dello Stato di Palestina del 26 giugno 2015, e nello stesso anno si erano aggiunte di Malesia e di Repubblica Democratica del Congo. Tra le relazioni con sede a Roma, anche gli uffici della Lega degli Stati Arabi, dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni – la Santa Sede è stato membro dal 2011 – e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Accordi e Concordati
Il 15 agosto 2023, la Santa Sede ha firmato l’accordo con la Repubblica Democratica di Sao Tomé e Principe. L’accordo è il numero 215 della Santa Sede con uno Stato, e rientra nell’ampia casisti di accordi o concordati che la Santa Sede sigla con le nazioni con cui ha rapporti bilaterali per definire meglio il ruolo e le competenze della Chiesa nello Stato. Per quanto riguarda accordi e concordati, si contano 261 accordi bilaterali della Santa Sede. Tra questi, alcuni sono modifiche di accordi, mentre altri sono accordi ancora in vigore. In tutto, secondo una relazione, ci sono 214 concordati e accordi tra la Santa Sede e 74 nazioni, e di questi 154 accordi sono stipulati con 24 nazioni europee.
Lo scambio di auguri tra Papa Francesco e Mattarella
Dopo la catechesi dell’Angelus dell’1 gennaio, Papa Francesco ha ringraziato il presidente della Repubblica Italiana Mattarella, il quale aveva a sua volta inviato, nel messaggio di fine anno, il ringraziamento per il suo “instancabile magistero”. Lo stesso presidente italiano ha indirizzato al Papa una lettera su rischi e benefici dell’intelligenza artificiale. La lettera giunge all’inizio dell’anno che vedrà l’Italia alla guida della presidenza G7, che avrà tra i suoi temi principali proprio quello dell’Intelligenza Artificiale. Nella lettera, Mattarella chiede alla comunità internazionale di rendersi protagonista di un dibattito “aperto e inclusivo” riguardo il rapporto con le innovazioni e le modalità necessarie a governarle, perché questo “ne va della stessa possibilità di assicurare al mondo intero prospettive di pacifica convivenza e uno sviluppo autenticamente umano e integrale. Ma ne va anche e soprattutto della dignità di ogni donna e ogni uomo, dignità fondata tra l’altro sul carattere unico di cui nell’ambito del Creato la persona umana è portatrice”. Secondo il capo dello Stato, le nuove tecnologie possono essere un “consistente moltiplicatore di ricchezza”, ma rischiano anche di aumentare “le già alte bandiere della diseguaglianza”. Mattarella mette anche in guardia dal pericolo di mettere a punto, grazie all’intelligenza artificiale, sistemi d’arma “sempre più distruttivi per incitare all’odio e all’intolleranza”, chiedendo di vigilare perché la produzione e l’utilizzo di nuove tecnologie “non siano improntati ad una logica di violenza”. Mattarella si unisce dunque all’appello di Papa Francesco affinché le nuovi tecnologie “siano umanizzate, servano il bene comune non siano mero strumento di interessi di parte”.
Nicaragua, la situazione
Al termine del primo Angelus del 2024, Papa Francesco ha anche richiamato la situazione in Nicaragua. Nel Paese centro americano, che ha visto anche l’espulsione di tutti i diplomatici della Santa Sede, sono stati arrestati finora 14 sacerdoti, mentre il vescovo di Matagalpa Àlvarez è in prigione da febbraio 2022 senza regolare processo. Papa Francesco ha auspicato che “si cerchi sempre il cammino del dialogo per superare le difficoltà”. Gli arresti e le restrizioni contro sacerdoti sono l’ultimo atto di una escalation che ha visto in Nicaragua prima episodi di violenza contro chiese e sacerdoti nel 2018, quindi l’espulsione nel 2022 del nunzio e di circa altri 220 religiosi, e quindi all’ultima escalation. Gli ultimi arresti nel Paese sono avvenuti nell’ultima settimana dell’anno, e hanno incluso anche il vescovo di Siuna, monsignor Isidoro del Carmen Mora Ortega. Questi è stato arrestato dopo aver pregato per monsignor Rolando José Álvarez Lagos, il vescovo di Matagalpa e amministratore apostolico della diocesi di Estelí, condannato a 26 anni di carcere senza regolare processo e in prigione dal febbraio dell’anno scorso. Papa Francesco aveva fatto vari appelli per la liberazione di Àlvarez, il primo già al termine dell’Angelus del 12 febbraio 2022. Il Papa ha parlato della situazione anche alla testata argentina Infobae, in occasione del decennale del pontificato, denunciando la mancanza di equilibrio di chi guida il Paese.
Ucraina, la testimonianza del nunzio apostolico
L’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico in Ucraina, ha celebrato la Messa di Natale a Kharkiv, in zona di guerra, a 50 chilometri dal confine con la Russia. In una intervista con Vatican News, ha fatto sapere che gli allerta aerei “hanno suonato proprio nei momenti più culmine della celebrazione, quando eravamo di fronte a Gesù”. Il nunzio ha detto ai media vaticani che “anche nel periodo di Natale, la guerra non è sparita, la guerra continua”. Il Natale, ha aggiunto, “si unisce a ciò che la guerra comporta”, e anche a Kyiv l’intera città è stata oggetto di attacchi e di esplosioni. Il nunzio ha detto di essere andato il giorno di Natale a Kharkiv sia “per pregare meglio”, che “per stare con chi soffre di più”, perché “per me il Natale più profondo è proprio questo: pregare insieme ai fedeli riuniti nella cattedrale – abbiamo celebrato nella cattedrale romano- cattolica, poi si è unito anche il vescovo greco-cattolico, e abbiamo continuato con la comunità greco-cattolica nella loro cattedrale – vedere gli occhi della gente, sacerdoti fedeli, gli occhi raccolti perché loro sanno che non hanno nulla, nessuno li proteggerà, proprio nessuno, non c’è nessun organismo mondiale, non c’è nessun esercito capace di proteggerli – rimane solo Dio. E quindi celebrare il Natale con loro è l’esperienza più profonda che ci possa essere. Ed è proprio questo che cercavo: pregare con chi vive seriamente il Natale”. Per l’arcivescovo Kulbokas, il Natale “rimane gioioso anche in queste condizioni, perché Gesù è il nostro Redentore che nasce, però questa gioia è unita a una grande serietà. Quindi addirittura mi sono reso conto che difficilmente in questo periodo potrei celebrare il Natale in un luogo dove la gente è troppo rilassata perché mi sentirei male e quindi anche per me era l’unico modo possibile di celebrare il Natale”. L’arcivescovo ha detto di pregare costantemente per i bambini, ma anche per i prigionieri perché “non sapete quanti conosco anche personalmente, quante famiglie che hanno i loro cari da qualche parte in Russia, non sappiamo dove, ma loro non sono neanche militari: sono medici, sono civili, oppure abbiamo i nostri due sacerdoti cattolici Redentoristi padre Ivan Levytskyi e padre Bohdan Heleta …Io comincio la preghiera da loro nella mia mente”.
Ucraina, il presidente Zelensky decora i cardinali Zuppi e Parolin
A fine anno, è arrivata la notizia che il presidente ucraino Volodymir Zelensky ha firmato un decreto che conferisce le massime onoreficenze ucraine ai Cardinali Pietro Parolin e Matteo Maria Zuppi per “aver riconosciuto il loro serio impegno nel supportare la Formula di Pace ucraina e la restituzione dei bambini e prigionieri” che si trovano adesso in territorio russo.
Iran, il cordoglio del Papa per le vittime di Kerman
Le esplosioni di Kerman, in Iran, hanno causato più di 100 morti e rischiano di causare una ulteriore escalation in un Medio Oriente già in fiamme. Papa Francesco ha fatto avere un telegramma di cordoglio, firmato a suo nome dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano. Nel telegramma, si legge che il Papa è “profondamente rattristato nell’apprendere della perdite di vite causate dalle recenti esplosioni a Kerman, e invia la rassicurazione delle sue preghiere per quanti sono morti e per le famiglie che li piangono. Allo stesso modo, mentre esprime la sua solidarietà spirituale ai feriti, Papa Francesco invoca su tutto il popolo dell’Iran la benedizione di pace e saggezza dell’Onnipotente”.
Libano, l’allarme dei vescovi maroniti
Secondo i vescovi maroniti, che si sono riuniti a Bkerké lo scorso 3 gennaio, in Medio Oriente, la guerra tra Hamas e Israele tocca ormai il Libano, accentuando i rischi di una situazione già trasformata in una “bomba a orologeria” dall’insostenibile presenza di oltre un milione di profughi siriani sul suolo libanese. In una dichiarazione in nove punti, i presuli sottolineano che “l’escalation ha già causato, nel Sud del Libano, vittime e feriti tra gli abitanti della regione, nonché massicce distruzioni in diverse località, per non parlare dell’uso di bombe al fosforo che hanno bruciato spazi verdi”, fino ad arrivare il 2 gennaio 2024 alla “periferia Sud di Beirut”, laddove è stato attaccato un quartiere roccaforte del partito sciita libanese Hezbollah e che ha ucciso, tra gli altri, il leader ‘numero 2’ di Hamas Saleh el-Arouri. In primo luogo, i vescovi maroniti chiedono ai deputati nazionali “di adempiere al loro obbligo costituzionale” eleggendo un nuovo presidente della Repubblica, “salvando così il Paese dal collasso e dall’instabilità”. Riguardo alla guerra in Terra Santa, l’episcopato maronita chiede “un cessate il fuoco definitivo” e negoziati tra le parti coinvolte sulla base della “soluzione dei due Stati”. Di fronte all’escalation del conflitto nelle zone vicine al confine israelo-libanese, i vescovi chiedono agli “amici del Libano nel mondo” di “contribuire fattivamente all’attuazione della risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza [delle Nazioni adottata nel 2006, ndr] , l’unico modo per porre fine all’aggressione israeliana e per definire un quadro chiaro ed efficace per la pace nel sud del Libano. I vescovi maroniti del Libano non mancano di notare le difficoltà connesse alla presenza di profughi siriani sul territorio libanese, in quanti “le ricerche condotte dalle forze militari e di sicurezza hanno dimostrato che gli sfollati sono in possesso di munizioni e armi sofisticate. Questa è una bomba a orologeria che rappresenta una vera minaccia per i libanesi”. La Chiesa maronita chiede quindi alle autorità nazionali e sovranazionali di “prendere misure serie e adottare le misure diplomatiche e politiche necessarie per liberare il Libano da questo peso che grava sulla sua demografia, sulla sua economia e sul suo equilibrio”. (ACI Stampa).
Foto: Vatican Media