Un signore. Il suo essere in continua ricerca della verità teologica di Dio dentro gli abissi del cuore dell’uomo ha fatto in modo che il suo Signore lo rendesse “un signore” nel pensiero, nel tratto, nella discrezione, nell’umiltà, nella delicatezza, nella semplicità, nella galanteria, nell’eleganza, nell’animo e soprattutto nell’anima.
Il primo incontro
Ho avuto il grande dono di incontrarlo nel 2002, quando sono entrato in servizio in Santa Sede come segretario del Cardinale Re, prefetto dei Vescovi. Joseph Ratzinger era allora Cardinale Decano e Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Per 3 anni quanti fascicoli, quanti problemi, ma anche quanti frutti di bene e di grazia della Chiesa sparsa nel mondo si condividevano in ore di riunione settimanali e lui con sapiente delicatezza aveva sempre l’intuizione più giusta e più opportuna.
L’acuto teologo
L’acuto teologo che incantava per la cultura interdisciplinare, il sofisticato Cardinale che chirurgicamente cercava di sanare le situazioni, l’uomo di Dio che traduceva gli abissi dell’infinito in piccoli passi possibili per chiunque, era anche quello che la sera usciva per dare da mangiare ai gatti del borgo. E lui in casa ne ha sempre avuto uno.
Il papato di Benedetto XVI
Poi nel 2005 è diventato Papa e in Vaticano ho vissuto 6 anni del suo pontificato fino alla fine del 2011. La sua calligrafia minuscola era un ricamo sul pesante plico di fogli che settimanalmente il Santo Padre doveva leggere dando la sua decisione o le sue indicazioni. Dietro la fredda inflessione tedesca, sotto una immagine spesso scelta dai collaboratori a cui lui si affidava con rara semplicità, c’era un uomo timido, ma con un’armonia interiore magnifica come le musiche di Bach che amava suonare al pianoforte. Eppure io non ho mai incontrato un uomo più dolce, più sensibile, più carino di Papa Benedetto XVI. Ti trovavi di fronte al Sommo Pontefice e lui per una piccola cosa ti ringraziava in continuazione, ti chiedeva scusa se magari ti aveva disturbato, ti riempiva di “per favore” se aveva bisogno di qualcosa, stava a motivare con abbondanza di dettagli un “no” per non offendere o far rimanere male. Tutto questo secondo me lo ha dimostrato nel gesto di grande forza, di estrema modernità, di abissale spiritualità, di genuina umiltà che sono state le dimissioni.
La sucessione difficilissima
È diventato Papa dopo i 28 anni di Giovanni Paolo II. Successione difficilissima. Conoscendo a fondo la grande energia che doveva gestire, ha scelto di indirizzarla, di plasmarla, di incanalarla nei vari ambiti. Anche quelli più duri e scomodi, perché è stato lui il Papa che ha per primo aperto e affrontato i grandi problemi anche più scomodi come quelli della pedofilia. La sua grande saggezza gli ha fatto capire che era giunto il momento della scelta non facile di fare un passo indietro e di chiudersi in monastero nel silenzio della preghiera. Un conclave inaspettato – si dice nella tradizione vaticana – dà il Papa inaspettato. Così era stato per l’elezione di Wojtyla dopo la morte improvvisa di Papa Luciani. Così è stato con Papa Francesco, che può offrirci frutti di rinnovamento, grazie a quella linfa di energia che Giovanni Paolo II ha sparso il tutto il mondo e che Papa Benedetto ha coltivato sapientemente giorno per giorno.
Il primo discorso
Nel suo primo discorso disse di essere “un umile operaio nella vigna del Signore” e lo è stato davvero fino in fondo, perché Papa Francesco non potrebbe riuscire a riformare così la Chiesa e ad aprire un profondo cammino sinodale, senza il lavoro silenzioso ed efficace di Papa Benedetto nelle zolle spesso dure delle diverse realtà ecclesiali. Nel suo stemma campeggia il motto “cooperatores veritatis”, collaboratori della verità. Lo è stato da prete, da teologo, da Papa e fino all’ultimo giorno, ritirato nel silenzio, consumandosi come una candela per quel Signore che lo ha reso un gran signore. (Bergamo News).